L’intesa tra la Francia e la Germania è stata il motore del processo di unificazione europea a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Tutti i passaggi fondamentali del processo di integrazione sono stati infatti compiuti a partire dall’iniziativa di questi due paesi: l’esempio più recente è quello della creazione dell’euro. Sia la classe politica francese sia quella tedesca sono state pertanto capaci di comprendere la necessità di creare un’Europa unita per mantenere la pace e assicurare il benessere economico e sociale del continente.

Il processo è stato sostenuto a lungo da un fortissimo consenso da parte dei cittadini. Il problema è che questo sostegno ha iniziato ad affievolirsi in coincidenza con la creazione dell’euro e ancor di più con l’allargamento. Questo, perché, nel primo caso la nascita della moneta era stata accompagnata da promesse, che poi non sono state mantenute, di rendere l’Europa l’economia più competitiva del XXI secolo; nel secondo caso perché non è stato chiarito il progetto che ha guidato l’allargamento, che ha di fatto trasformato l’UE da costruzione politica in fieri in un’organizzazione che si concepisce, quasi esclusivamente, come un grande mercato unico integrato. L’attuale Unione, quindi, non gode più della fiducia di buona parte dei suoi cittadini perché non è all’altezza delle sfide poste da questa fase del processo globale.

Analizzando i dati più in dettaglio si vede che in Germania la sfiducia dei cittadini riguarda soprattutto l’euro: ad esempio il 34% degli imprenditori teme che l’eurozona vada in pezzi; mentre il 67% degli elettori avrebbe addirittura visto con favore l’uscita della Grecia dalla moneta unica, opinione condivisa anche da alcuni economisti. La diffidenza verso i paesi più indebitati dell’Europa meridionale aumenta, nel timore di dover pagare gli effetti della loro crisi.

Resta il fatto che sia gli esperti sia l’opinione pubblica concordano sul fatto che la causa per cui l’euro non può funzionare risiede nella mancanza di un’unione politica ed economica. Questo dovrebbe spingere il governo a proporre un piano strategico di avanzamento dell’integrazione; in questo modo avrebbe anche maggiori probabilità di recuperare l’appoggio degli elettori, ora in calo, come dimostrano i sondaggi che, ad esempio, denunciano che solo il 14% degli imprenditori dichiara di avere piena fiducia nel lavoro dell’esecutivo. Ma l’esecutivo preferisce attuare politiche attente più ai propri interessi elettorali a breve piuttosto che a quelli europei; ed in generale la classe politica tedesca ha una visione nazionalista dell’interesse del paese.

Un segnale in questo senso è dato dalle modalità con cui viene perseguita l’apertura del paese verso i nuovi mercati e i soggetti politici emergenti. Un esempio sono gli accordi stretti con la Russia per le forniture energetiche, con il progetto di costruzione dei due nuovi gasdotti, North e South Stream. In questi progetti sono coinvolti anche altri paesi, come la Francia e l’Italia, ma la Germania ha costruito un rapporto molto più stretto con i Russi. Basti vedere che l’unico membro del consiglio di amministrazione di Gazprom non russo è tedesco.

Anche in Cina e in India la politica tedesca è molto attiva per far guadagnare spazio alle proprie imprese: molte delle grandi infrastrutture urbane e ferroviarie in questi paesi sono appaltate a società tedesche. I dati sul commercio estero confermano questa tendenza della Germania: malgrado i maggiori partner siano ancora paesi come la Francia, l’Italia e l’Olanda, le vendite verso la Cina e l’India sono triplicate in un de cennio, mentre l’incremento delle esportazioni verso i paesi europei è trascurabile. La Germania sembra interessarsi sempre più agli scenari mondiali piuttosto che a quelli europei, forte del fatto che gli attuali tassi di crescita sembrano confermare che è l’unico paese europeo che può illudersi di trovarsi, tra quindici o venti anni, tra i primi paesi industrializzati.

La Germania, tuttavia – e questa è la miopia della politca del paese in questo momento – si trova comunque in una posizione di debolezza nel rapportarsi con questi Stati, pur essendo l’economia con l’industria più solida in Europa, proprio a causa della disparità di dimensioni rispetto a questi colossi continentali. Inoltre i Tedeschi sembrano sottovalutare il sostegno che il mercato europeo, per certi aspetti modellato sulle loro esigenze, fornisce alla loro economia e alla loro capacità competitiva. E’ grazie all’integrazione che la Germania ha potuto ricostruire la sua economia dopo la guerra e raggiungere gli attuali livelli; e, in questi mesi, è stata proprio l’esistenza dell’euro che ha in parte attenuato le conseguenze, pur pesanti, della crisi economica. L’atteggiamento della Germania, che contribuisce pesantemente a bloccare il processo di integrazione, è pertanto miope e controproducente. E’ ormai evidente che l’Unione europea, se non si costruisce una vera unità politica, rischia di disgregarsi. In questo caso anche i Tedeschi subirebbero gravi conseguenze e le loro aspirazioni di potenza economica mondiale sarebbero destinate a fallire.

D’altra parte anche la Francia negli ultimi anni ha dimostrato di non avere progetti chiari riguardo all’unificazione europea. Anzi, il governo tende a perseguire i propri interessi soprattutto in politica estera, sfruttando anche la force de frappe e il seggio permanente all’ONU. In particolare in Medio oriente, la Francia persegue una propria politica, non sempre contribuendo alla pacificazione e alla stabilità di questa zona. Nel 2009 una nuova base militare francese stata inaugurata ad Abu Dhabi. Inoltre è stato rinegoziato l’accordo di difesa con gli Emirati Arabi Uniti: secondo le clausole segrete dell’accordo, la Francia si impegna a utilizzare tutti i mezzi militari a sua disposizione per difendere gli Emirati Arabi nel caso in cui venissero attaccati, e tra questi potrebbe esserci anche l’arma atomica, benché formalmente non venga menzionata nell’accordo. Inoltre, il paese cerca di sfruttare in politica estera la sua tecnologia nucleare, secondo quanto è emerso dalla conferenza internazionale sul tema del nucleare civile tenutasi a marzo alla sede OCSE di Parigi, cui hanno partecipato alcune decine di paesi e organizzazioni. Ufficialmente, la filosofia francese è che l’applicazione pacifica del nucleare debba essere accessibile a tutti i paesi in modo uguale, ma l’obiettivo sono in particolare alcuni paesi del Medio oriente. Ad esempio, la Francia sembra disposta a sostenere una collaborazione tra Israele e la Giordania per la produzione di energia nucleare in Giordania, anche se la delegazione giordana ha negato l’esistenza di un simile progetto. Di fatto, però, la Francia ha già avviato una collaborazione con la Giordania, che ha un crescente bisogno energetico, per sfruttare le risorse di uranio del paese, ed già stata annunciata la costruzione di una centrale nucleare con il sostegno francese. Il problema, dunque, è che la Francia cerca di ritagliarsi in quest’area un proprio spazio, non a sostegno di un progetto politico di respiro internazionale, o meglio ancora europeo, ma esclusivamente perseguendo i propri interessi immediati.

Questa tendenza ad allargare le divergenze negli obiettivi di politica internazionale rispetto ai partner europei, si accompagna anche ad un crescente scetticismo dell’opinione pubblica nei confronti dell’attuale modello di costruzione europea. A loro volta le élite dirigenti, che sperano che la crisi imponga l’attuazione di un governo economico dell’Europa, non riescono a chiarire in che cosa esso debba realmente consistere, né sanno proporre un piano strategico per realizzarlo. Si può concludere che il motore franco-tedesco è in una fase di grave stallo, ma resta il fatto che nei due paesi le problematiche e i valori che hanno portato a proseguire sulla via dell’unificazione sono ancora presenti, e che la coscienza del ruolo cruciale che Francia e Germania sono chiamate a giocare è ancora viva (come dimostrano i frequenti appelli a rilanciare l’intesa franco-tedesca da parte di leader politici e uomini di cultura dei due paesi). Il governo francese e quello tedesco hanno dunque la responsabilità, e la possibilità, di fare il primo passo per completare la costruzione della Federazione: nel ’90 la Germania ha ceduto il marco per creare l’euro, ora la Francia dovrebbe capire l’importanza di rinunciare al monopolio della difesa, offrendo ai Tedeschi una piena partnership in questo settore. Una proposta di questo genere non solo sarebbe difficilmente rifiutabile da parte della Germania, ma permetterebbe di riaprire il dialogo tra i due paesi per salvare insieme il processo di unificazione fondando uno Stato federale europeo.

  

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