Viste le numerose voci euroscettiche che si levano in questo momento, chi sostiene di voler meno integrazione ha valutato i costi della non Europa? Conosce i benefici e i vantaggi di azioni comuni intraprese a livello europeo in riferimento ad aree o settori specifici? E cosa vorrebbe dire rinunciarvi?

Alcuni esempi: l’11 ottobre 2012 la commissione giuridica ha commissionato una relazione in prospettiva a istituire un codice europeo del diritto internazionale privato, in ambito economico, sociale e di tutela dei diritti privati. Un’azione in questo senso era già stata fatta nel 1997 nel Trattato di Amsterdam negli articoli 61 e 65 e ancor prima nel 1992 per il mercato unico interno nel paragrafo 2 dell’articolo 81. Visto che questi articoli non sono ancora sufficienti, secondo il rapporto sono ancora tredici le aree non disciplinate; e questa mancanza di disciplina comune europea comporta un costo elevatissimo ogni anno per le varie attività legali (perdite economiche per contratti non onorati, non riconoscimento dello stato civile - si pensi ad esempio ai matrimoni omosessuali -, difficoltà a ottenere adozioni, riconoscimento di documenti di Stato, lasciti ed eredità, consulenze legali). Si tratta di ambiti importanti, soprattutto per la vita quotidiana di milioni di persone, considerando che il 3,2% della popolazione europea non risiede nello Stato di nascita e che il 4% della popolazione è coinvolta in attività transfontaliere. Queste ultime potrebbero essere di più se non ci fossero dei fattori deterrenti, quali barriere amministrative, difficoltà di accesso ai servizi e l’incertezza in ambito legale, lingua e cultura. Se le attività economiche fossero più armonizzate si potrebbe sfruttare meglio la potenzialità di circa 5 milioni di cittadini europei e si risolverebbe molto più facilmente anche il problema della disoccupazione, garantendo maggiore mobilità ed effettuando politiche economico-sociali a livello europeo.

Un’altra voce consistente di “spreco” legata all’assenza dell’Europa è la difesa. Il problema della sicurezza è molto sentito, eppure la sicurezza internazionale è considerata competenza della NATO e non dell’Europa. Basti pensare al caso della Libia: gli Stati europei si sono divisi riguardo l’intervento, e hanno di fatto trascinato gli Stati Uniti nel conflitto. In Europa, ogni anno le spese militari pesano attorno al 3% del PIL, mediamente, mentre negli USA sono intorno al 4%. Eppure, la differenza dei risultati tra l’Europa e gli Stati Uniti è imparagonabile. Gli europei, di fatto, non sono in grado di sostenere neanche una missione. Tutto questo perché le spese e le politiche per la difesa vengono gestite a livello nazionale, senza sfruttare le economie di scala, l’incentivo degli obiettivi comuni, mantenendo la produzione di equipaggiamenti limitata da misure para-protezionistiche, con le relative ricadute anche sulla ricerca tecnico-scientifico.

Altro “spreco” si ha a livello energetico. Secondo il World Economic Forum i paesi europei, per quanto riguarda la competitività nel settore della Green Economy (rispetto alla quale si valuta anche l’intensità energetica, calcolata come il rapporto tra i consumi energetici e il PIL), sono indietro rispetto ai grandi paesi come Cina, India e Stati Uniti perché, privi di risorse proprie, gli europei dovrebbero puntare molto di più in innovazione ed efficienza. Forse è anche un fatto culturale, ma sicuramente non sarà un caso che il 70% degli investimenti nell’eolico e che il 40% per il fotovoltaico siano stati effettuati fuori dall’Europa.

Un altro esempio del fatto che gli Stati nazionali investono male lo si ha nel settore della ricerca. A parità (praticamente) di spesa in percentuale rispetto al PIL l’effetto della parcellizzazione in Europa degli investimenti e dei programmi di ricerca è che l’incremento della richiesta di brevetti all’Ufficio Brevetti Europeo (EPO) nel 2011 è da attribuire soprattutto al Giappone, alla Cina, alla Corea (+9,6%), agli Stati Uniti ( + 5,6%). Germania, Francia, Svizzera, Gran Bretagna e Olanda (i migliori in Europa) complessivamente registrano un incremento delle richieste di 2,3%.

Come in campo militare, ciò è dovuto dal fatto che ogni Stato ha i propri centri di ricerca che non sono coordinati tra loro. Capita quindi che lo stesso tipo di studio venga portato avanti da più centri, con la conseguenza che si ha uno spreco di risorse.

Sembra quindi chiaro il binomio “coordinare uguale risparmiare”; cosa che è possibile solo grazie ad un unico potere centrale in Europa.

Quindi, integrazione europea: retrocedere o andare avanti? Non ci sono dubbi!

 

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