"… La zona euro deve integrarsi sempre di più e strutturarsi democraticamente. È chiaro che la zona euro deve avanzare più rapidamente. Questo avrà due conseguenze. La prima conseguenza è che ci dovranno essere delle entrate per un bilancio, per una capacità di bilancio per la zona euro. Con la cancelliera Merkel abbiamo convenuto, e la cancelliera lo ha già annunciato ieri al Bundestag, di istituire un fondo per la zona euro alimentato da sue entrate. Spetterà poi evidentemente alla zona euro decidere come impiegare questo fondo. Tutto ciò evidentemente implicherà una revisione dei Trattati, sulla base del chiarimento che la costruzione europea non potrà basarsi sul quadro a Ventotto. La zona euro, con dei mezzi supplementari ed un sistema decisionale diverso, è l’avvenire della costruzione europea. Questo non vuol dire escludere altri paesi che manterranno la vocazione ad aderire all’euro, ma avere coscienza del fatto che bisogna innanzitutto concretizzare l’integrazione solidale tra chi l’ha già adottato …”

Queste parole sono state pronunciate dal presidente francese Hollande nel corso della conferenza stampa tenuta a Bruxelles al termine del Consiglio del 28 giugno. L’occasione, offerta dalla domanda di un giornalista, sembra essere stata sfruttata da Hollande per indicare la road map su cui faticosamente Francia e Germania in questi ultimi mesi stanno cercando di convergere, stretti tra l’esigenza ineluttabile di consolidare in modo definitivo l’eurozona e le differenze che da sempre dividono Francia e Germania sul tipo di assetto da dare all’Europa. Queste indicazioni sono state precedute anche da una dichiarazione molto rilevante sul piano politico, sempre del presidente francese, fatta nel corso di una conferenza tenuta all’Eliseo il 16 maggio scorso, con cui, per la prima volta, Parigi accettava di confrontarsi sul terreno indicato dalla Germania, ossia quello dell’integrazione politica: “La Germania ha detto più volte di essere pronta ad un’Unione politica, ad una nuova tappa di integrazione. La Francia è ugualmente disposta a dare un contenuto a questa Unione politica. Due anni per giungervi. Due anni, qualunque siano i governi in carica. Non è più una questione di sensibilità politica, è una questione di urgenza europea”.

Francia e Germania sembrano quindi iniziare ad avvicinarsi, incalzate dalla profondità della crisi in corso, che rischia di spazzare via l’Europa dalla scena internazionale e che ne minaccia fortemente la coesione sociale. Quale sembra essere il terreno di incontro? Per la Germania il limite invalicabile è sicuramente quello di far corrispondere un aumento ulteriore della solidarietà reciproca all’interno dell’eurozona (in particolare la mutualizzazione dei debiti) con la creazione di legami politici tra i paesi membri che ne vincoli la condotta politica, portandola a convergere verso un modello sostenibile sul piano degli equilibri fiscali e compatibile con le sfide imposte dal nuovo quadro mondiale. Un simile passaggio, che rappresenta un trasferimento di sovranità dal quadro nazionale a quello europeo e che può funzionare solo costruendo un potere politico europeo in grado di governare in modo indipendente, anche se coordinato, rispetto agli Stati membri, non può non accompagnarsi con la creazione di un meccanismo di legittimazione democratica del nuovo potere europeo. Anche su quest’ultimo punto i termini usati da Berlino hanno una valenza precisa. La Corte costituzionale tedesca vincola il governo a posizioni molto serie e molto di sostanza in questo campo. La richiesta di un’Unione politica non è quindi un bluff da parte tedesca. Viceversa, il passaggio di potere reale dagli Stati all’Europa è proprio quello che la Francia ha sempre rifiutato, in nome di un attaccamento alla sovranità nazionale che affonda le radici nella storia del paese e nella sua fondazione democratica sulla coincidenza del concetto di popolo con quello di nazione.

E’ evidente che tra le due posizioni quella insostenibile è quella francese. Una volta accettato di abbandonare la sovranità monetaria, non esistono alternative (come la crisi in corso dimostra) tra il consolidamento definitivo dell’unione monetaria – attraverso la creazione di un bilancio sovranazionale, di un governo comune dell’economia e del relativo completamento politico-istituzionale – e il suo fallimento. Ci sono ragioni strutturali che impediscono di condividere a lungo la stessa moneta senza un governo politico, ragioni che comportano una divergenza crescente all’interno dell’area monetaria unica e il conseguente accumulo di squilibri che impediscono di sopravvivere alle inevitabili crisi. A questo si deve aggiungere, nel caso specifico dell’UEM, che le condizioni del quadro globale sono tali da richiedere di per sé agli Stati europei una nuova tappa di integrazione, perché pongono sfide insostenibili sia a livello nazionale sia a livello dell'attuale Unione. Al tempo stesso, perché la Francia possa spostarsi sul terreno indicato dalla Germania, quest’ultima deve riuscire a rendere più concrete e pragmatiche le sue indicazioni. Innanzitutto, nel proporre cambiamenti istituzionali, deve riuscire a non oscillare tra il quadro dell’UEM e quello dell’Unione a Ventotto, e quindi non limitarsi ad associare all'indicazione dell'Unione politica proposte relative alle istituzioni comunitarie, ed in particolare il rafforzamento della Commissione non accompagnato da piani di riforma di questa istituzione che, nella sua attuale composizione, rispecchia un modello incompatibile con l'assunzione di prerogative democratiche e federali. Deve inoltre abbandonare a sua volta gli arroccamenti nazionalistici che, nel suo caso, sono quelli che la spingono a ricercare comunque quadri di riferimento della propria strategia politica allargati rispetto all'unione monetaria, soprattutto quello del mercato unico. C'è una ragione fondata nella preoccupazione tedesca di non compromettere i risultati raggiunti in questo campo (e di mantenere l'attenzione sulla sua possibile ulteriore espansione), ma c'è anche un interesse di parte nel cercare intese con paesi che meglio corrispondono alla sua vocazione e che le permettono di compensare, siano i partner del Nord e dell'Europa centro-orientale, o sia persino la Gran Bretagna, l’influenza della Francia e il suo possibile asse con i paesi del Sud. È essenziale che Berlino riesca a tenere separati i due piani, quello del mercato che va preservato e quello dell'UEM che va completata, e che non devii mai dalla consapevolezza che il piano dell'Unione politica è pensabile solo con i paesi con cui c'è la condivisione della moneta. Infatti, il principale nodo da scogliere sul piano istituzionale è proprio quello di riuscire a conciliare la convivenza del mercato unico con la zona euro unita politicamente da un vincolo federale di tipo sostanzialmente statuale. Sotto questo profilo, le ultime dichiarazioni della Merkel, da molti giudicate rinunciatarie rispetto all'obiettivo degli "Stati Uniti d'Europa" proprio perché denunciano i limiti della Commissione come possibile organo di governo democratico, potrebbero invece essere il segnale che Berlino inizia a prendere atto dell'impossibilità di raccogliere il consenso su una proposta di riforma complessiva, ma indefinita, dei trattati e accetta di misurarsi sul terreno proposto dalla Francia, ossia quello della costruzione di un governo dell'eurozona, attraverso riforme parziali ma capaci di modificare il quadro di potere. Fra tutte, la più importante riguarda sicuramente il fatto di dotare l'eurozona di una capacità di bilancio basata su risorse proprie, ossia la creazione di un potere di tipo fiscale, perché si tratta di un passaggio che, oltre ad essere indispensabile per il consolidamento dell'Unione monetaria, al tempo stesso non può non porre il problema delle necessarie riforme istituzionali indispensabili per evitare la nascita di un insopportabile vulnus democratico. Questo punto specifico negli scorsi mesi è stato sicuramente causa di attrito tra Parigi e Berlino, che si devono essere scontrati sulle finalità e sull'entità di questo fondo specifico per i paesi dell'euro, e il fatto che oggi ne parlino in modo concordato è un progresso importantissimo.

A sua volta la Francia deve dimostrare di essere realmente disponibile a dare un contenuto di tipo federale e non intergovernativo all'Unione politica che dice di voler contribuire a costruire. A questo riguardo il segnale più interessante viene dal dibattito che si è aperto sul controllo parlamentare del governo dell'unione monetaria. Mentre inizialmente la Francia sosteneva la necessità di un Parlamento ad hoc per i paesi dell'euro, eletto indirettamente dai parlamenti nazionali dei paesi membri, ora si accetta l'idea che questo compito venga affidato al Parlamento europeo in composizione ristretta (ossia non all'intera assemblea, che include parlamentari provenienti da molti paesi che non fanno parte dell'euro, ma ad una sua parte ad hoc, anche se come definire tale "parte" è una questione estremamente complessa e sono al vaglio diverse ipotesi). È questo uno degli indicatori  più importanti del fatto che la rigidità intergovernativa inizia a cedere e una delle maggiori dimostrazioni dell'autenticità delle dichiarazioni di Hollande sull'unione politica.

Un altro punto su cui è importantissimo che cali la tensione tra Francia e Germania è quello dell'arbitraria contrapposizione tra sostenitori della crescita e fautori del rigore. Che la Francia si ritenga, per vocazione nazionale e per orientamento politico del suo governo, paladina delle politiche per la crescita, contro la difesa dell'austerità che sarebbe perseguita dal partito cristiano-democratico al potere in Germania – ed in particolare dalla cancelliera Merkel – rappresenta un grave ostacolo affinché i due paesi trovino un terreno di intesa. Se esiste una differenza sostanziale tra i due paesi, essa riguarda piuttosto il fatto che la Germania ha un'economia fortemente improntata all'esportazione, mentre la Francia persegue un modello più orientato ai consumi interni, con tutte le differenze sul piano politico e persino psicologico che ne conseguono. Si tratta innanzitutto di una differenza che non ha colore politico, perché nei rispettivi paesi è sostenuta da tutti gli schieramenti; e che, in secondo luogo, va valutata alla luce della sostenibilità dei due diversi orientamenti nel nuovo quadro mondiale, in cui la competizione è diventata tale, insieme alle difficoltà dell'Occidente, da costringere a rivedere i vecchi modelli statalisti del Sud Europa. Sotto questo profilo la Germania andrebbe piuttosto valutata per il fatto di offrire  un'alternativa che non si appiattisce sul  modello liberistico anglosassone, specie quello degli ultimi vent'anni, ma che mantiene un forte ruolo regolatore ed equilibratore dello Stato e un eccellente livello di welfare, con la duplice caratteristica di essere organizzato su base interna federale (e quindi con un forte coinvolgimento anche in termini di responsabilità dei Länder e delle municipalità, e con una notevole flessibilità), e di puntare molto sulla produttività, frutto anch'essa in larga parte della capacità statale di promuovere le condizioni adeguate. Senza che nessuno debba sentirsi spinto ad imitare modelli di altri paesi, è comunque necessario che il confronto abbandoni i riferimenti a vecchi schemi ideologici ormai del tutto inadeguati per comprendere la società contemporanea e che si inizi a ragionare in termini di un nuovo modello europeo, cercando di far evolvere la politiche nazionali in questa direzione. Infine, è evidente che nel quadro attuale dell'Unione, in cui gli Stati hanno voluto mantenere la sovranità politica, sostenere la posizione di allentare i vincoli fiscali per lasciare più risorse per la crescita a livello nazionale, non può che acuire le tensioni con gli Stati più forti, chiamati, di fatto, a sostenere i debiti dei partner. È un circolo vizioso da cui si esce solo spostando le strategie di crescita sul piano europeo e muovendosi con rispetto nei confronti delle opinioni pubbliche chiamate ad offrire la propria solidarietà.

Se, dunque, come i segnali che abbiamo cercato di analizzare sembrano confermare, Francia e Germania sono realmente incamminate lungo un percorso comune che dovrebbe portarle a breve a fare proposte comuni per il governo dell'eurozona, il ruolo che può giocare l'Italia diventa importantissimo. Non solo il nostro paese dovrebbe impegnarsi allo spasimo per non diventare il più grave problema europeo che rischia di contagiare nuovamente l'eurozona, e quindi ascoltare con attenzione le parole del presidente Napolitano ed evitare di avvitarsi in una una crisi disastrosa dagli esiti imprevedibili, ma dovrebbe anche sfruttare le opportunità offerte da un governo che, comunque sia nato e comunque sia composto, ha immediatamente dichiarato di avere come stella polare il perseguimento dell'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa. E non si tratta di un'indicazione generica e fumosa, ma della dichiarata consapevolezza che solo creando un governo dell'eurozona efficace e legittimato democraticamente l'Italia può trovare il quadro di riferimento politico e le risorse necessari per uscire dalla crisi. Il presidente Letta ha pronunciato parole che denotano una visione chiara degli obiettivi da perseguire, individuando nella spinta che il nostro paese può dare all'obiettivo dell'unione politica dell'UEM la specificità del ruolo italiano; e all'interno del Consiglio dei ministri c'è un amplissimo consenso, specie nei dicasteri chiave, su questo punto.

La necessità di un'iniziativa italiana in questo campo sarebbe realmente decisiva: sia la Francia sia la Germania hanno bisogno di essere sostenute e indirizzate con coraggio verso le scelte sovranazionali che entrambe ormai credono necessarie ma che costano uno sforzo e implicano una volontà spesso superiori alle capacità dei singoli leader o paesi. Il ruolo di un terzo interlocutore diventa decisivo in questi casi, come tutta la storia del processo europeo dimostra. Nelle scorse settimane il Parlamento italiano ha approvato una mozione in cui rivendica la convocazione nel primo semestre del 2014 di un'Assemblea interparlamentare (ossia composta da delegazioni dei parlamenti nazionali e da una delegazione del Parlamento europeo) per discutere del rilancio dell'Unione politica. In vista delle elezioni europee del 2014, e nell'ottica di un'iniziativa rivolta ai paesi dell'euro, questa iniziativa può fornire l'occasione e la spinta per accelerare l'accordo su un patto precostituzionale tra i paesi dell'eurozona, che tracci la via della costruzione dell'Unione politica, indicandone gli obiettivi, i percorsi e le strategie. La esplicitazione di una visione chiara e condivisa delle modalità con cui realizzare il salto politico per completare l'Unione monetaria è indispensabile in tempi rapidissimi anche per permettere il completamento dell'Unione bancaria e l'avvio di quella di bilancio e di quella economica. È in questa ottica che dovrebbero porsi tutte le forze politiche e gli esponenti responsabili sia al governo sia all'opposizione, nella consapevolezza che la priorità assoluta per salvare il nostro paese è quella di accelerare il completamento della costruzione europea e che, sotto questo profilo, non abbiamo più tempo da perdere.

 

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