Nello scorso mese di novembre si sono verificati due eventi di una certa rilevanza negli equilibri geopolitici europei e mondiali: la sottoscrizione dell’accordo militare franco-britannico e l’elaborazione del Nuovo Concetto Strategico della Nato all’ultimo vertice di Lisbona.

Tali eventi trovano una spiegazione nell’evoluzione del quadro di potere mondiale nato alla fine della Guerra fredda con la dissoluzione dell’URSS e con il crollo di quell’assetto stabile bipolare garantito dall’equilibrio del terrore e fondato sul deterrente atomico americano e sovietico. Con la caduta dell’Unione Sovietica si era infatti aperta una nuova fase caratterizzata inizialmente dall’egemonia degli Stati Uniti, che aveva comportato, tra l’altro, la necessità di rivedere le vecchie alleanze al fine di riadattarle al nuovo contesto. Se prima, infatti, l’avversario era ben individuato con chiari confini, ora non c’era più nessun nemico da circondare e contenere, bensì il problema era diventato quello di garantire il mantenimento di un equilibrio possibilmente pacifico del mondo: un compito, sia detto per inciso, per molti aspetti superiore alle forze della potenza americana.

L’alleanza politico-militare di più vecchia data, la NATO (creata allo scopo di difendere l’Europa occidentale da un’invasione sovietica), fu quindi la prima a subire modifiche. Nel nuovo contesto, la NATO sembrava aver perso ogni significato, così come la necessità che gli USA stanziassero in Europa armi atomiche e contingenti militari in assenza di una specifica minaccia reale. Ma l’Alleanza atlantica aveva anche una seconda funzione storica: garantire l’equilibrio e la stabilità del continente europeo, data l’incapacità dei singoli Stati di avere una propria politica estera e di sicurezza autonoma da un lato e il permanere della divisione politica e militare degli Europei dall’altro. Questi ultimi, pertanto, non potevano colmare né il vuoto di potere lasciato dall’URSS nei paesi centro-orientali, né quello che si sarebbe venuto a creare in seguito ad un ritiro americano dall’Europa occidentale. Neppure l’ultimo passo verso l’integrazione economica e materiale dell’Europa compiuto in quegli anni attorno al patto politico di Francia e Germania poteva bastare: benché in cambio del consenso francese (ed europeo) alla riunificazione tedesca, la Germania avesse rinunciato al marco per consentire la creazione dell’euro, il fatto che la nascita della moneta unica non fosse stata accompagnata dall’unificazione politica rendeva questo passo ancora insufficiente. La NATO continuava, pertanto – e continua – ad avere una funzione come strumento necessario agli Americani per garantire la stabilità del continente europeo.

In questo contesto, gli USA optarono per l’utilizzo della NATO anche a sostegno del loro nuovo ruolo globale. Le prime azioni furono quelle volte a stabilizzare l’area balcanica – per fermare la guerra seguita all’implosione della Jugoslavia – e la partecipazione alla prima guerra del Golfo. Inoltre la NATO, come subito dopo avvenne anche per l’Unione europea, fu allargata all’Europa centro-orientale per stabilizzare i paesi dell’ex blocco sovietico. Per inciso, quella dell’allargamento dell’UE, fortemente voluto dagli Americani per ragioni di sicurezza e dagli Inglesi sia per fedeltà verso gli Stati Uniti sia per diluire ed indebolire il processo di integrazione europea, fu, di fatto, una scelta che allontanò nettamente la possibilità del raggiungimento dell’unità politica dell’Unione europea: la Federazione infatti non sarebbe più potuta scaturire dall’evoluzione di questa organizzazione così vasta ed eterogenea, ed avrebbe richiesto una volontà politica ancora più forte da parte dell’avanguardia che avesse voluto prendere l’iniziativa in tal senso. In questo modo, rafforzando la divisione europea invece della coesione, l’allargamento ha contribuito a rendere più difficile la nascita di una politica estera e di sicurezza europea in grado di dare agli stessi Americani un supporto effettivo nell’opera di stabilizzazione globale.

Dopo quasi vent’anni di leadership unilaterale, gli USA si ritrovano oggi, agli albori della nascita di un nuovo ordine mondiale dai tratti ancora difficili da definire, spossati dallo sforzo di essere il garante della sicurezza mondiale. Da un lato, la rapidissima ascesa della Cina, che inizia a minacciare il primato economico e politico americano, ma che si prepara in tempi rapidi ad essere anche un antagonista sul piano geostrategico, sta spostando inesorabilmente il baricentro dell’equilibrio mondiale, e le preoccupazioni statunitensi, dall’Atlantico al Pacifico. Dall’altro, i numerosi fronti ancora aperti, sui quali gli Americani si sono impegnati senza peraltro riuscire a garantire la stabilità, ed in particolare tutta l’area mediorientale, richiedono ancora la mobilitazione di molte energie. In tutto ciò, il persistere della divisione, e della conseguente assenza, dell’Europa negli equilibri mondiali, accentua con il suo vuoto squilibri pericolosi, soprattutto a fronte di una Russia tornata con decisione sulla scena internazionale; squilibri che pesano ancora una volta sugli USA, costretti a mantenere il loro impegno sul continente europeo e a sostenere i costi della sicurezza di quest’area. Un simile cumulo di fronti e responsabilità non poteva non provocare una radicalizzazione della politica estera americana, ed è in questo contesto che si inseriscono il Nuovo Concetto Strategico della Nato e l’accordo di cooperazione militare franco-britannico.

Nel Nuovo Concetto Strategico gli USA confermano, da un lato, che continueranno a garantire “l’ombrello atomico” sull’Europa e che soprattutto si impegnano a costruire un nuovo scudo antimissile attorno al continente europeo, che offrono di allargare fino alla Russia. Si tratta di un chiaro segno della volontà americana di costruire un nuovo rapporto meno conflittuale nei confronti della Russia, in previsione della futura competizione americana con il gigante cinese, che si accompagna al successo della ratifica degli accordi START con cui le due potenze nucleari hanno concordato una riduzione dei rispettivi arsenali strategici; ma gli sbocchi di questo tentativo russo-americano di trovare forme di convivenza di tipo cooperativo sono difficili da prevedere, perché l’accordo sulla difesa antimissile è in realtà ancora lontano. E ancora una volta sarebbe l’Europa il teatro e la posta in gioco dello scontro. Dall’altro lato, la nuova strategia NATO si basa sull’allargamento delle competenze dell’alleanza che si occuperà, a livello globale, anche di terrorismo, di proliferazione nucleare, di difesa da attacchi cibernetici, di sicurezza nelle forniture energetiche, di crisi intra-statuali. Il ruolo riservato agli Europei in questo quadro si limita però al sostegno alle iniziative americane e a una nuova condivisione dei costi, senza prevedere nessuna concessione riguardo alla condivisione delle responsabilità nelle scelte strategiche. Ciò significa che i diversi problemi saranno affrontati dalla NATO mettendo insieme risorse, uomini e mezzi ma, di fatto, lasciando la regia politica nelle mani statunitensi. Dal canto loro, gli Europei si sentono costretti ad accettare questo ruolo subordinato proprio perché la difesa del continente continua ad essere garantita dal deterrente atomico americano.

I paesi europei, invece di affrontare uniti i problemi posti dagli USA su come condividere le scelte della sicurezza mondiale, continuano dunque a cercare di ritagliarsi ciascuno un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. Persino la Francia, che storicamente ha sempre avuto l’ambizione di costruire in Europa un polo autonomo rispetto a Washington, sembra ormai aver optato per una politica di sapore nazionale, e quindi subalterna: rientro nel comando NATO e firma di un accordo di cooperazione militare con il paese meno europeista e più filo atlantico del continente, ossia la Gran Bretagna. Tale inversione di rotta della Francia, che va in direzione opposta rispetto al progetto di una politica europea di sicurezza, è in parte anche la reazione all’indebolimento dell’asse franco-tedesco (su cui Parigi ha sempre contato per la sua politica europea) in seguito al risveglio delle ambizioni tedesche nei confronti dell’Europa centro-orientale dopo la dissoluzione dell’URSS e in seguito al nuovo rapporto russo-tedesco in campo commerciale ed energetico.

Non è difficile prevedere che le scelte divergenti e nazionaliste di Francia e Germania si ripercuoteranno ben presto su loro stesse e sull’Europa intera, perché la mancanza di una politica estera comune impedirà loro di tutelare le proprie economie, strettamente integrate, rispetto alle scelte e alle politiche delle potenze americana, russa e cinese. Già oggi sono ben chiari, anche agli occhi degli osservatori americani, gli obiettivi della politica energetica della Russia, volta a dividere gli Europei e a riaffermare la propria influenza in Ucraina e Bielorussia. Se l’Europa vuole sinceramente contribuire alla stabilità e alla pace deve assumersi le proprie responsabilità per ridurre gli squilibri nel mondo: un’Europa unita non avrebbe bisogno dell’intervento americano per mantenerne la stabilità interna e la difesa del continente. In tal modo smetterebbe di costituire un pericoloso vuoto di potere e potrebbe iniziare a dare un contributo effettivo sullo scacchiere internazionale, in molti casi anche a sostegno degli Stati Uniti nella misura in cui condividessero gli stessi obiettivi. Ma per raggiungere il traguardo dell’unità è necessario che Francia e Germania tornino a guardare al di là di ciò che le separa per vedere piuttosto ciò che le unisce, e decidano di avviare l’iniziativa per unirsi in un patto federale assieme a quei paesi che vorranno aderirvi. Solo così potrà nascere una politica estera e di difesa europea, come strumento per riportare il nostro continente ad essere un soggetto attivo della storia.

 

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