L’Europa è ormai da decenni una delle mete principali dell’esodo di immigrati che dal sud del mondo e dall’oriente si spostano nel vecchio contiente alla ricerca della terra promessa dove realizzare la propria fortuna. Si calcola che i cittadini stranieri nei 25 Stati dell’Unione, escludendo quelli che hanno già acquisito la cittadinanza, siano superiori a 26 milioni su una popolazione di circa 460 milioni di abitanti e abbiano quindi un’incidenza di poco superiore al 5%, con punte del 9% in Germania e Austria, dell’8% in Spagna, del 5% nel Regno Unito, Francia e Italia.

Anche senza conoscere questi dati statistici il fenomeno è sotto gli occhi di tutti: basta camminare per strada per incontrare persone di altre etnie, di altre religioni, con un accento e, a volte, con abiti diversi dai nostri. Nel nostro Paese gli immigrati sono oggi più di 3 milioni. Ci siamo abituati a vedere gli immigrati sbarcare disperati sulle nostre coste, svolgere lavori umili nelle grandi città, finire in carcere per qualche reato.

Rimaniamo invece stupiti nel trovare oggi i loro figli nelle nostre scuole, oppure nel vederli condurre i TG e fare domande ai politici nostrani o affrettarsi in giacca e cravatta al lavoro. In Italia tale fenomeno è recente, ma basta andare in Francia o in Inghilterra per trovare società profondamente eterogenee al loro interno.

L’Europa oggi si fa sempre più multietnica, multiculturale, multireligiosa. Eppure questa pluralità anziché diventare la ricchezza di una società che condivide valori e speranze, integrata nelle sue diversità, è invece la causa di aspre tensioni e conflitti. I giornali europei ce ne danno costante notizia: le rivolte delle banlieues parigine, gli attentati alla metropolitana di Londra organizzati da giovani mujaheddin inglesi, le violenze perpetrate da giovani di destra contro negozi turchi in Germania, la ragazza di origine pakistana uccisa dal padre perché fidanzata con un giovane italiano. L’integrazione è oggi un problema serio che l’Europa deve affrontare a rischio del suo futuro. Per il momento ogni paese ha adottato la sua ricetta di integrazione. L’Inghilterra e l’Olanda hanno puntato sul melting pot, cioè sulla creazione di una società multiculturale dove viene lasciata una grande libertà di espressione a tutti. Qui i cittadini di origine straniera possono manifestare liberamente le loro idee e il loro culto, possono portare il velo se lo vogliono, chiedere le ferie per il Ramadan e andare a pregare nei loro templi; basta che tutti paghino le tasse e rispettino la legge. Tale modello si è però dimostrato fallimentare perché ha creato di fatto delle comunità separate all’interno della società, come dimostrano drammaticamente anche gli episodi di grave violenza che si sono verificati: i già citati attentati alla metropolitana di Londra o l’assassinio del regista olandese Theo Van Gogh per mano di un estremista islamico. Queste nazioni hanno puntato sulla tolleranza, ma non sono riuscite a rendere partecipi i figli degli immigrati dell’identità nazionale; si pensi che in GranBretagna l’81% dei musulmani considera se stesso in primo luogo come detentore di una identità islamica e solo il 7% dichiara di essere in primo luogo britannico.

La Francia ha invece cercato la via dell’integrazionismo: il sentimento di appartenenza alla nazione francese trascende tutte le differenze di carattere religioso ed etnico. Una recente legge approvata nel 2004 vieta l’esibizione di qualunque simbolo religioso nel luoghi pubblici; a scuola e in TV viene proposto un modello laico di integrazione fondato sull’ “essere Francesi”. Tuttavia anche questo modello fallisce dal momento che non permette la traduzione delle parole nei fatti: in Francia i figli degli immigrati vivono in condizione spesso di profonda povertà ed emarginazione sociale. I cittadini di origine straniera si sentono i figli bastardi nella nazione francese e la rabbia delle banlieues ne è la prova.

In Italia e in Germania la situazione è ancora diversa. In questi Stati il fenomeno è più recente rispetto ai paesi di più antica tradizione colonialista. Italia e Germania non hanno potuto seguire il modello francese, dato un più debole patriottismo, né hanno voluto percorrere la via del più largo multiculturalismo. La Germania, dove risiede oggi il maggior numero di stranieri, cerca di puntare sull’integrazione degli immigrati nel mondo del lavoro, fissando regole come il divieto di indossare il velo per gli impiegati pubblici. Gli sforzi non impediscono la creazione di ghetti nelle grande città e i numerosi casi di xenofobia da parte della popolazione autoctona. In Italia gli stranieri residenti sono meno che negli altri paesi europei avanzati. Negli ultimi anni si è cercato di limitare l’immigrazione clandestina, di regolarizzare le migliaia di lavoratori irregolari, di creare l’immagine di una società più integrata e di garantire servizi di denuncia di episodi di razzismo e sfruttamento. Anche l’Italia però non ha saputo evitare il fenomeno dei ghetti urbani nei sobborghi, né l’assoggettamento di moltissimi immigrati alla criminalità organizzata.

Sono molti a criticare l’Europa e i suoi modelli di integrazione. Gli Usa hanno rilevato che l’incapacità di integrazione ha permesso in Europa lo sviluppo di numerose cellule di alQaeda. Gli stessi cittadini europei chiedono maggiore sicurezza sociale per il domani. La verità è che la sfida dell’integrazione non può essere vinta dai singoli paesi europei. Il problema è globale e troppo complesso per essere superato dagli Stati nazionali privi delle risorse materiali e spirituali per realizzare una reale e profonda integrazione. L’Europa deve agire unita se vuole ottenere dei risultati concreti. Si pensi solo all’incapacità attuale di regolare i flussi migratori. Ogni paese agisce da solo cercando come può di dare ordine all’arrivo degli stranieri. I risultati sono scarsi. La verità è che l’Europa ha bisogno degli immigrati per correggere il declino demografico e per rafforzare l’economia. Disuniti, i singoli Stati non riescono a controllare il fenomeno, ma si limitano a subirlo. Mai come ora la necessità di unità si fa sentire, non solo nel momento della gestione dei flussi, ma ancora di più nel processo di integrazione. L’immigrazione di cittadini stranieri costituisce sicuramente un fattore notevole di disgregazione sociale se non subentra la capacità reciproca di ascoltare chi è diverso e accogliere quanto di bene esiste in lui.

L’integrazione sostanziale deve allora poggiare su due pilastri. Innanzitutto è necessario inserire attivamente gli immigrati e i loro figli nella società, dando loro un lavoro e un’educazione di cittadini. Senza lavoro e benessere economico è difficile sentirsi a casa. In secondo luogo è giusto puntare sul senso di appartenenza a un’identità europea che si basa sugli ideali del liberalismo, della solidarietà e dell’uguaglianza. Non si può guardare al futuro senza conoscere il proprio passato e non si può rendere l’altro partecipe del proprio punto di vista se non lo si ha bene in mente. Soprattutto è ora di lasciare da parte la banale tolleranza ed abbracciare il rispetto reciproco: non basta non fare del male a chi la pensa diversamente da te, ma bisogna stimare l’altro, trovare quanto di bene esiste in lui e sapersi confrontare per creare una base di valori comune e per costruire insieme il futuro.

Una società che non sa confrontarsi con l’altro rendendolo partecipe dei suoi sogni e ascoltandone gli insegnamenti è una società in declino. Bisogna puntare su quello che Habermas chiama Verfassungspatriottismus , cioè sul patriottismo della Costituzione, un insieme di principi e valori fondamentali in cui credere e per cui lottare. La vera integrazione è possibile solo nel quadro di un grande progetto politico che dia non solo slancio alla società, impregnandola concretamente dei valori che propugna, ma che sappia farsi anche portatore nel mondo del modello che incarna. Nessuno Stato nazionale ha ormai più queste risorse, né può certo averle la debole Unione europea attuale, che si fonda proprio sulla cooperazione tra questi Stati. La realtà è che gli europei potranno trasformare l’immigrazione in una risorsa preziosa per la loro società solo se sapranno realizzare, per se stessi e per coloro che vengono a cercare una vita migliore, il sogno della vera unità politica. Ma è evidente che solo un Stato federale europeo può offrire, e diventare, un simile punto di riferimento.

 

Informazioni aggiuntive