Un aspetto fondamentale per la costituzione di uno Stato federale europeo è, ed è sempre stato, fin dal secondo dopoguerra, quello della creazione di un esercito europeo. Già con il progetto della Comunità europea di difesa (CED) del ’53, era chiaro che in questo settore non sarebbe stato fatto solamente un grande passo avanti nel quadro della semplice integrazione tra Stati, bensì si sarebbe realizzato un passaggio decisivo e fondamentale per arrivare alla creazione di un governo e di un potere politico europeo.

Il legame tra questi due aspetti costitutivi di ogni forma statuale (esercito e governo) è innegabile ed evidente, ma provando a ragionare in un’ottica funzionalista – quella che domina in Europa e che cerca di negare questo legame è altrettanto chiaro che per poter mettere in moto il processo di fondazione di un esercito che possa davvero definirsi europeo, devono comunque essere considerati alcuni elementi basilari. Da una parte l’esercito dovrebbe essere costituito da un numero sufficiente di militari ben organizzati che possano essere efficaci nelle occasioni in cui venga richiesto il loro intervento. Dall’altra, l’istituzione responsabile del controllo e dell’utilizzo di questo esercito dovrebbe essere dotata di un potere sufficiente a garantire almeno la stabilità necessaria per pianificare una politica estera e di difesa e la possibilità di dare le direttive di mobilitazione alle forze armate in tempi ragionevolmente brevi.

Persino rapportando questo modello teorico minimale con quanto sta accadendo in Europa, appare evidente come non esista ancora alcuna forma di difesa comune che possa essere considerata tale e, soprattutto, come i tentativi per cercare una soluzione a questo problema siano inadeguati e insufficienti. L’ultimo accordo prodotto da Francia, Germania e Gran Bretagna ne è un esempio: nel Consiglio di Bruxelles del 12 dicembre scorso si è stabilita la fondazione di una “Cellula di pianificazione militare europea” che nono stante sia stata presentata da molte fonti come un grande passo avanti è il frutto di un compromesso dai contenuti minimi . La “Cellula”, infatti non si propone assolutamente come un Quartier Generale europeo stabile e autonomo, ma come un organismo temporaneo che non debba interferire con l’attività dell’Alleanza Atlantica. La sua attivazione è possibile, prima di tutto, solo se la NATO nella sua interezza non decide di impegnarsi militarmente. Inoltre rimane sempre la possibilità, per gli Stati membri, di agire, per conto proprio o in gruppo, sulla base delle proprie strutture nazionali. Solo in ultima istanza, in caso di accertata necessità, sarà richiesto il contributo della “Cellula europea” che coordini lo svolgimento di una particolare missione. E’ facile quindi capire la grande debolezza e inefficacia di questa iniziativa. Questo progetto non ha i caratteri di una possibile difesa europea ed è una dimostrazione dell’impasse in cui si trovano sia l’Unione – sempre più paralizzata dalla divergenza di interessi degli Stati che la compongono sia Francia e Germania – che vorrebbero approfondire l’integrazione europea senza intaccare la sovranità nazionale.

Gli Stati Uniti, da parte loro, esercitando la loro influenza tramite l’Inghilterra (che si presta facilmente, essendo ben lontana dall’avere una posizione a favore della difesa europea), hanno invece potuto far valere il loro peso politico riuscendo ad escludere anche il minimo passo in avanti e riuscendo a far sfociare il tutto in un sostanziale nulla di fatto. Le motivazioni della posizione statunitense si basano sulla necessità di non indebolire la NATO o di non creare doppioni, allo scopo di impedire che le ambizioni autonome europee prendano concretezza. Si tratta di un comportamento inevitabile nell’ottica della gestione del potere e degli interessi da parte degli Usa, che non può essere ignorato dagli Stati europei che vogliano modificare lo status quo. Ma il punto è proprio che, se si analizza la situazione internazionale, ci si rende conto di quanto sia necessario modificare lo status quo affinché, in breve tempo, l’Europa abbia una voce unica e forte che permetta al popolo europeo di avere una sua difesa e una politica estera, senza essere dipendente da altri e senza rimanere impotente di fronte ai problemi che il quadro internazionale pone sempre più pressantemente.

Per questo è necessaria un’iniziativa forte e determinata da parte di quei paesi – e il riferimento non può che essere ai Sei fondatori che più sono legati al processo storico di unificazione europea, e non solo per ragioni economiche, ma per una comunanza di valori e prospettive. Ma tale iniziativa, se si vuole non essere più soggetti al volere e agli interessi americani e se si vuole, al contrario, dare nuovi significati ai rapporti con gli Stati Uniti, deve riguardare sia l’esercito che il potere politico che lo deve controllare, che non può non essere dotato di poteri sovrani. La difesa è quindi il settore forse più importante dal quale emerge con evidenza la necessità – e quindi la possibilità – di avviare la creazione dello Stato federale europeo. Il modello funzionalista in questo campo, infatti, è inapplicabile nella realtà, sia perché non riesce a risolvere in modo efficace il problema del governo dell’esercito, sia perché pone un problema di deficit democratico di proporzioni insostenibili.

Dal canto loro i cittadini sono particolarmente sensibili, e favorevoli, all’ipotesi di una politica estera e di un esercito europeo, e di conseguenza all’idea di uno Stato europeo. I problemi drammatici ai quali gli Stati nazionali, a causa della loro inadeguatezza, non sanno e non possono dare una risposta efficace sono sotto gli occhi di tutti. L’opinione pubblica avverte che la creazione di un’Europa democratica e capace di agire è un passo fondamentale per la diffusione della democrazia internazionale, che può avvenire solo con l’estensione del diritto e con la possibilità di applicarlo creando istituzioni sovrannazionali.

 

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