Lo squilibrio di potenza fra USA e resto del mondo è sempre più evidente e sempre più spesso in Europa si invoca la necessità di una politica estera e di sicurezza europea in grado di ridare un ruolo agli europei nel mondo. Ma alle analisi e ai commenti continuano a non seguire i fatti e gli europei vengono sempre più apertamente considerati dei pusillanimi ed emarginati dalla scena mondiale. Questo è quanto emerge anche dai contributi pubblicati dal n. 3/ 2002 della rivista Limes, alcuni dei quali meritano di essere citati per la chiarezza e spietatezza con la quale vengono descritti i rapporti di forza attualmente esistenti a livello internazionale, a partire dall’editoriale, in cui si ricorda una lontana intervista all’allora Presidente USA Richard Nixon, pubblicata nel gennaio 1972 dalla rivista Time. In quell’intervista Nixon spiegava: “Dobbiamo ricordare che gli unici periodi della storia del mondo in cui abbiamo avuto lunghe fasi di pace sono stati quelli segnati dall’equilibrio della potenza. E’ quando una nazione diventa infinitamente più potente in rapporto al suo potenziale competitore che cresce il pericolo di guerra. Io credo in un mondo in cui gli Stati Uniti siano potenti. Io credo che sarà un mondo più sicuro e migliore se abbiamo gli Stati Uniti, l’Europa, l’Unione Sovietica, la Cina, il Giappone – tutti forti e in salute – che si bilanciano equamente fra loro e non giocano gli uni contro gli altri”. Dal crollo dell’Unione Sovietica sta accadendo esattamente il contrario e la potenza americana non ha cessato di crescere molto di più rispetto a quella degli altri Stati. In questo quadro è evidente l’assenza dell’Europa e la responsabilità degli europei.

Di ritorno dalla sua prima visita in Europa come Presidente degli USA , sembra che George Bush non sia stato ben impressionato dalle accoglienze presuntuose riservategli dalle “élites smidollate” (sic!) del vecchio continente.

Questo atteggiamento è del tutto comprensibile, come ha commentato Michael Hirsh, senior editor di Newsweek :”Perché agli americani dovrebbe interessare, dopo tanto tempo, di essere gli eredi delle migliori idee prodotte dall’illuminismo europeo, più di quanto interessi all’Europa di dovere tanta parte della propria cultura a quel piccolo paese periferico che è la Grecia?”(1). Anche alcuni leader europei cominciano a rendersi conto delle conseguenze a livello europeo ed internazionale dell’aggravarsi dello squilibrio di potenza – non solo militare – tra Europa e USA. Per esempio il Ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer in una colazione di lavoro con i giornalisti americani ha recentemente commentato: “I rapporti tra Europa e Stati Uniti dipendono molto dall’Europa. Io non penso che ci sia troppa America. Penso che ci sia troppo poca Europa. Siamo 200 anni indietro rispetto a voi. Dal punto di vista istituzionale, abbiamo appena raggiunto il livello del federalismo teorico”. Purtroppo anche questa dichiarazione di umiltà, commenta l’autore dell’articolo citato, “fa a pugni con il buon senso: oggi sembra che ci sia molto più dissenso all’interno dell’Unione europea sulla formazione degli Stati Uniti d’Europa di quanto ce ne fosse a Filadelfia 225 anni fa”.

I ritardi europei sono oggetto di preoccupazione anche in un altro angolo del mondo, la Cina, il cui “rapporto con l’Europa,” ha scritto Cheng Yawen, “è basato sull’idea di un mondo multipolare.. Per chi, come i cinesi, ha interesse a un maggior equilibrio su scala planetaria, è irrinunciabile la speranza che un giorno l’Unione europea possa diventare un polo di pace e di sviluppo accanto all’America, alla Cina, alla Russia ed eventualmente anche ad altre potenze” (2). Non è certo casuale il fatto che le autorità cinesi abbiano continuato a scommettere sull’Euro, tanto che il primo ministro Zhu Rongi nell’autunno 2000 promise che “la Cina non svenderà mai le sue riserve valutarie estere, i vostri euro. Mai”. Ma anche in Cina le speranze devono fare i conti con la realtà. Così commenta infatti amaramente Cheng Yawen: “sappiamo bene che una moneta da sola non crea una potenza geopolitica. Vediamo le difficoltà dell’Unione europea di pesare nelle grandi crisi mondiali. I più ottimisti fra noi, sono convinti che l’euro sia la premessa dell’Europa politica, dunque di un nuovo polo geopolitico capace di bilanciare la potenza americana su scala planetaria. In questo i nostri eurottimisti seguono il modo di pensare degli europeisti europei. Ma i nostri euro-pessimisti invece temono che l’euro non sia sufficiente a questo scopo, e sono pronti a scommettere che l’Unione europea non sarà mai quel polo che servirebbe anche gli interessi cinesi nei rapporti internazionali”. I leaders europei più avveduti sono evidentemente al corrente della crescente insofferenza americana e delle preoccupazioni cinesi nei confronti dell’”insostenibile leggerezza dell’Europa”, ma non riescono tuttora ad andare al di là di dichiarazioni di principio. Nessuna concreta iniziativa è all’orizzonte per invertire il declino europeo. Nel frattempo la stessa opinione pubblica europea mostra dei preoccupanti segnali di superficialità nell’affrontare i temi scottanti da cui dipende il futuro dell’Europa. Basti considerare che sulla politica estera e di difesa, in assenza di iniziative e di obiettivi politici chiari, le idee restano vaghe e divergenti, e sono ben lungi dal porsi nell’ottica dell’evoluzione dell’ordine mondiale nella quale bene o male le opinioni pubbliche americana e cinese incominciano a porsi. Come mostrano i risultati di un rapporto commissionato dal governo belga alla fine del 2000 all’Accademia militare reale su un campione di 16.000 cittadini dell’Unione europea per preparare la sua presidenza di turno del Consiglio europeo nel secondo semestre del 2001, “la maggioranza degli europei è favorevole all’istituzione di una difesa europea, in una forma o nell’altra … ma solo il 12% vuole un singolo esercito europeo che dovrebbe sostituire i vari eserciti nazionali… In maniera abbastanza sistematica la pubblica opinione dei sei paesi fondatori della Comunità europea (in particolare Belgio, Italia, Lussemburgo e Francia) mostra il maggior consenso verso una politica comune di sicurezza e difesa e verso l’idea di un esercito europeo. All’altro estremo ci sono spesso Regno Unito, Irlanda e Austria”(3).

Non è dunque più tempo di piccoli miglioramenti e piccoli passi sulla strada dell’unificazione europea: il mondo avrebbe bisogno subito degli Stati Uniti d’Europa. Perciò è sempre più indispensabile denunciare con fermezza le responsabilità dei governi e delle classi politiche di quei paesi – in primo luogo i sei paesi fondatori – che non hanno ancora assunto l’iniziativa di creare lo Stato federale europeo. Chiedere qualcosa di meno o di diverso significherebbe, in questa fase del corso storico, tradire non solo le aspettative della parte più consapevole dell’opinione pubblica europea, ma anche quelle del popolo americano e cinese.

1) Michael Hirsh, Per Bush gli europei sono smidollati, Limes, N. 3 –2002, pag. 69

2) Cheng Yawen, Con gli europei costruiremo un mondo multipolare, op. cit. pag. 84

3) Carlo Finizio, L’esercito europeo non entusiasma gli europei, op. cit. pag. 259 

 

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