Nel novembre del 2013 il governo ucraino guidato da Viktor Janukovyč annunciò di aver rifiutato l’accordo di associazione con l’Unione europea lasciando intendere che l’Ucraina avrebbe aderito alla proposta di Vladimir Putin di entrare a far parte dell’Unione eurasiatica. La scelta di Janukovyč diede il via ad una serie di manifestazioni di piazza che portarono alla caduta del suo governo e allo scoppiare del conflitto che vede l’Ucraina divisa tra l’attuale governo, guidato da Petro Porošenko, e i separatisti russofoni.

Nonostante Porošenko abbia scelto di non aderire al progetto di Putin, il 29 maggio è stato firmato l’accordo tra Russia, Bielorussia e Kazakistan che darà vita a partire dal 2015 all’Unione eurasiatica; si tratta di un faraonico progetto di cooperazione economica che ha come scopo  quello di creare un “ponte commerciale” (così è stato definito da Putin stesso) tra Oriente e Occidente. Il valore degli scambi tra questi paesi non è da sottovalutare; l’unione doganale tra i tre paesi, in atto dal 2010, ha visto crescere del 50% gli scambi commerciali in tre anni e arrivando ad un valore di circa 66 miliardi di dollari nel 2013. All’Unione si uniranno presto anche l’Armenia, il Kirghizistan e il Tagikistan.

I tre paesi fondatori detengono importanti risorse soprattutto dal punto di vista energetico: circa il 20 % delle riserve di gas e il 15% del petrolio si trovano infatti all’interno del territorio dell’Unione eurasiatica. Saranno queste risorse a garantire uno sviluppo solido e duraturo dei paesi membri, riuscendo ad attirare ingenti capitali dall’estero.

Oltre all’Unione eurasiatica Putin ha ottenuto un altro importante risultato: il 25 maggio è stato firmato a Shangai un accordo sulla fornitura di gas tra Russia e Cina. Da circa 10 anni la compagnia russa Gazprom cercava di raggiungere un accordo col governo di Pechino per vendere il gas, ma è stato l’inasprirsi dei rapporti tra Russia e Occidente per via della crisi ucraina ad aver accelerato le negoziazioni. L’accordo, molto vantaggioso per i cinesi, partirà dal 2018 e vale circa 400 miliardi di dollari in 30 anni. Resta ancora da costruire il gasdotto che collegherà la Siberia alla Cina orientale, tuttavia è chiaro che il mercato cinese potrebbe persino superare quello europeo, che finora era il principale “cliente” di Mosca. Lo stesso Barroso ha inviato a Mosca una lettera in cui chiedeva rassicurazioni sulle forniture di gas verso l’UE.

L’Unione eurasiatica e l’accordo con la Cina non esauriscono gli interessi commerciali della Russia. Mosca sta infatti stringendo delle relazioni anche con paesi fuori dalla sua ex area di influenza sovietica; tra questi vi è la Norvegia con cui nel 2010 si è trovato un accordo sulla spartizione delle risorse nel Mar di Barents cui è seguito un accordo di cooperazione economica e militare. Anche la Svizzera ha rilevanti interessi verso la Russia, dato che rappresenta già oggi uno dei principali investitori stranieri e che ha agevolato l’entrata della Russia nell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO).

E’ chiaro come la Russia stia cercando di svincolarsi dalla dipendenza nei rapporti commerciali con l’UE. Resta dunque da chiedersi se la politica delle attuali sanzioni commerciali verso la Federazione russa volute dagli Stati Uniti e dall’UE siano la giusta risposta verso una Russia che sembra puntare verso Oriente.

L’UE, priva di una vera ed efficace politica estera, non solo non è stata in grado di proporre delle soluzioni per la crisi in Ucraina, ma si è limitata all’imposizione di sanzioni economiche alla Russia senza pensare alle possibili conseguenze di tale scelta. Mentre la Russia infatti getta le basi per una strategia commerciale a livello globale, cercando alternative al mercato europeo, l’Europa manca di una visione di lungo periodo, soprattutto per le politiche energetiche. Le sanzioni non solo costituiscono un danno economico per le esportazioni europee verso la Russia, ma non si inseriscono in un quadro strategico di ricerca di nuovi mercati e nuovi partner commerciali. Da non sottovalutare è il rischio che l’inasprimento dei rapporti con la Russia comprometta le forniture di gas nei prossimi anni, soprattutto ora che è stato raggiunto l’accordo tra Gazprom e Pechino.

E’ evidente che i rapporti con la Russia entro pochi anni rappresenteranno una questione importante per l’Europa; tuttavia un’Europa divisa in stati nazionali incapaci di adottare una politica estera e di difesa comune (e troppo dipendente dagli USA in politica estera) e priva di un’alternativa valida alla fornitura di gas russo, non sarà in grado di vincere la sfida di una globalizzazione che vede emergere nuovi attori e nuove potenze.

 

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