Dopo il fallimento delle due conferenze intergovernative che, rispettivamente nel ‘96 e nel 2000, hanno tentato di sciogliere il nodo delle riforme istituzionali europee, i Capi di Stato e di governo hanno varato a Laeken una Convenzione sull’avvenire dell’Europa, che sarà presieduta dal francese Valery Giscard D’Estaing e sarà composta dai rappresentanti dei governi e dei parlamenti degli Stati membri e dai rappresentanti del Parlamento europeo e della Commissione, oltre che dagli osservatori inviati dai paesi candidati, da alcuni membri del Comitato delle Regioni e da alcuni rappresentanti della società civile. Sotto la pressione della sfida che l’imminente allargamento pone alle istituzioni europee, i rappresentanti dei 15 Stati membri dell’Unione hanno voluto, con questa iniziativa, avviare un dibattito che dovrebbe chiarire come l’Europa potrà diventare “più democratica, più trasparente e più efficace”. Il mandato affidato a questa assise è quello di valutare il modo per avvicinare maggiormente i cittadini all’Unione, per semplificare i trattati, per definire meglio la divisione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, per includere nei trattati la Carta europea dei diritti fondamentali. Questa riflessione potrebbe sfociare nella stesura di una carta costituzionale, che dovrebbe esplicitare “i valori su cui si fonda l’Unione, i diritti fondamentali e i doveri dei cittadini e le relazioni degli Stati membri all’interno dell’Unione”. I lavori della Convenzione dovranno concludersi con un documento finale che potrà contenere più opzioni, nel caso in cui non si raggiungesse un accordo unanime, oppure delle raccomandazioni su cui si è raccolto il consenso di tutte le componenti. “Insieme ai risultati dei dibattiti nazionali sull’avvenire dell’Unione, il documento finale servirà come punto di partenza per le discussioni della Conferenza intergovernativa, che prenderà le decisioni definitive”.

Il varo di questa convenzione ha suscitato molte speranze, soprattutto per il riferimento alla possibilità di arrivare a definire una Costituzione europea. Tuttavia, al di là delle formulazioni verbali, la Convenzione, ad un’analisi più approfondita, si rivela più una trappola che non un’opportunità, sia per quanto riguarda il mandato che il metodo di lavoro. Dopo il Trattato di Maastricht, e a maggior ragione oggi che il processo di creazione della moneta unica si è concluso, la possibilità di migliorare il funzionamento delle istituzioni con piccoli aggiustamenti e quella di individuare obiettivi intermedi che permettano ancora di avanzare a piccoli passi sulla via dell’unità, non esistono più. L’Unione europea, ormai da dieci anni, deve fronteggiare l’alternativa tra compiere il salto federale o accettare la diluizione e la conseguente disgregazione che il continuo allargamento a paesi sempre più eterogenei e sempre meno interessati al traguardo dell’unità politica comporta. La dichiarazione finale di Laeken sulla Convenzione, coerentemente con le decisioni prese lo scorso anno al Vertice di Nizza, non fa riferimento al traguardo originario che era alla base della nascita della prima Comunità, cioè la Federazione europea; al contrario, riafferma l’obiettivo di non modificare la natura attuale dell’Unione, e chiede che tutti i cambiamenti istituzionali invocati non vadano a scalfire l’attuale equilibrio di potere tra gli Stati membri e l’Unione, ma che, piuttosto, si garantisca la possibilità di un maggiore controllo da parte di questi ultimi.

Il richiamo alla Costituzione europea perde così ogni significato, perché serve solo a definire una revisione dei trattati, e diventa addirittura un imbroglio nella misura in cui si vuol far credere ai cittadini che è possibile avere una costituzione senza creare uno Stato. E lo stesso vale per gli obiettivi indicati, democrazia, trasparenza ed efficienza: solo la creazione dello Stato federale europeo permetterebbe di migliorare in questo senso le istituzioni europee. Non esistono democrazia e trasparenza al di fuori dello Stato, perché senza il quadro statuale non si crea il rapporto diretto tra cittadini e istituzioni e non può esserci partecipazione popolare alla formazione della volontà politica. E anche l’efficienza è una conseguenza della capacità delle istituzioni di perseguire l’interesse generale europeo, e non si ottiene senza porre il problema del trasferimento di sovranità dagli Stati all’Europa.

E’ pensabile, allora, che il dibattito che si svolgerà all’in terno della Convenzione faccia emergere queste contraddizioni e crei le condizioni per superarle? In realtà, è difficile che un organismo di questa natura possa farlo. E non solo perché non ha poteri e deve limitarsi ad affidare dei pareri alla solita Conferenza intergovernativa che deciderà all’unanimità (e che quindi si sa già che non potrà neppure prendere in considerazioni opzioni troppo avanzate); ma anche per ché la sua logica interna, che continua ad essere intergovernativa, anche se coinvolge rappresentanti di altre istituzioni nazionali ed europee, la spinge verso la ricerca di indicazioni che possano raccogliere un vasto consenso, an che se non necessariamente l’unanimità. Al momento nessuno dei suoi componenti ha dimostrato anche solo di capire che la battaglia dovrebbe essere spostata sul fronte dello Sta to federale europeo. Al massimo, i più euro-entusiasti, pensa no a riforme che aboliscano in alcune materie il diritto di veto, forse sperando in questo modo di avvicinare il traguardo della federazione senza che gli Stati, ancora contrari, se ne accorgano. Ma la grande maggioranza dei membri viene da paesi in cui non è ancora maturata la scelta a favore dell’unità politica dell’Europa e si batterà nella Convenzione per il sostanziale mantenimento dello status quo, o addirittura per l’indebolimento degli aspetti sovranazionali dell’Unione.

Con questi equilibri all’interno della Convenzione è facile ipotizzare che non potrà emergere la consapevolezza del l’obiettivo della federazione e che anche le opzioni più audaci non riusciranno ad andare oltre a qualche proposta di riforma a metà strada tra il salto federale e il mantenimento dell’assetto attuale; la loro intrinseca debolezza le renderà facilmente vittime della Conferenza intergovernativa.

La domanda da porsi allora è: esistono delle alternative, c’è una possibilità di uscire da questa impasse che sta bloccando l’Europa e che rischia di travolgerla? E se c’è, la Convenzione può contribuire a farla maturare?

Un’iniziativa alternativa è possibile, ma è difficile pensa re che la Convenzione possa dare un contributo reale in que sto senso. L’iniziativa può nascere solo sulla base di un pro getto radicale, volto a fondare lo Stato federale europeo con i paesi che decideranno di aderire, e può essere promossa solo da quel piccolo gruppo di Stati che ha legato al processo di unificazione europea tutta la sua storia e la sua politica, dal dopoguerra ad oggi. Sono i sei paesi fondatori della Comunità che hanno la responsabilità storica di riprendere in mano il processo e di avviarlo verso la sua necessaria conclusione. In questo senso la Convenzione non può far molto, se non diventare un riflesso di un’iniziativa che però può solo nascere al di fuori.

In conclusione, la Convenzione, pur costituendo un’occasione di dibattito pubblico sul futuro dell’Unione, e pur essendo il sintomo della percezione, da parte della classe politica, di una impasse dell’Europa e del metodo intergovernativo fondato solo sulle consultazioni diplomatiche, non solo non riesce a superare i limiti della concertazione tra Stati, ma rischia di oscurare i termini reali del problema. In questo senso costituisce una scappatoia sia per i governi che per la classe politica nazionale ed europea, perché sembra garantire la possibilità di affrontare per l’ennesima volta il problema del miglioramento delle istituzioni europee evitando la questione spinosa della sovranità e della statualità e, di fatto, aiuta a consolidare un clima in cui l’obiettivo federale si allontana sempre più, oscurato da formule ambigue e rinnegato nella sostanza, a favore di un progetto nettamente confederale.

Chiunque voglia battersi per l’Europa deve quindi saper cogliere le ambiguità contenute nel processo avviato dai go verni a Laeken e capire che il nodo da sciogliere è quello di un’iniziativa dei paesi fondatori per gettare le basi dello Sta to federale con tutti i paesi che vogliono aderirvi.

Per questo alcune sezioni della Lombardia hanno deciso di avviare un’azione specifica, nell’ambito della Campagna per la Costituzione federale europea, nei confronti dei Capi di Stato e di governo dei Sei (si veda il testo dell’appello riportato in prima pagina). Questa azione, sulla quale torneremo nel prossimo numero di Alternativa europea, si svilupperà attraverso raccolte pubbliche di firme e contatti con la classe politica a partire dalle prossime settimane.

 

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