La COP21 ha riscosso un notevole interesse da parte della comunità scientifica, dei governi e dell'opinione pubblica. L'importanza della conferenza e degli accordi raggiunti in quella sede è da ricollegarsi al fatto che mai prima d'ora i paesi del mondo avevano trovato un’intesa globale riguardo al problema ambientale.

In questo breve articolo non ho intenzione di analizzare i provvedimenti tecnici che il testo finale della conferenza contiene, ma vorrei piuttosto soffermarmi sullo statuto generale di quest'ultima e sulle possibilità che le proposte concordate in occasione della CoP21 possano essere messe in atto, a livello di interventi da parte degli Stati e di comportamenti adottati dal mercato. Pertanto analizzerò dapprima l'aspetto economico, e poi quello istituzionale.

L'inquinamento è, in economia, l'esternalità per definizione, ossia l'impatto che le attività economiche hanno su soggetti terzi. La peculiarità delle emissioni di anidride carbonica consiste nel fatto che esse riguardano il mondo intero e che nel lungo periodo il prezzo da pagare per contenere i danni di questa esternalità sarebbe ben superiore al profitto di breve periodo che le imprese che ne trascurano gli effetti possono trarre. Alla luce di questo sembrerebbe ovvia la scelta delle imprese di ridurre le emissioni, in vista di un costo successivo. Tuttavia la situazione reale non coincide con questa osservazione. La ragione principale è che le imprese tendono ad avere un orizzonte temporale limitato, e quindi a preoccuparsi innanzitutto dei profitti a breve termine, e a programmare la propria strategia futura entro un arco di tempo breve, in cui facilmente non rientra la prospettiva delle spese che dovranno affrontare per rimediare i danni ambientali (ben sapendo, inoltre, che questo tipo di spese pesano soprattutto sui bilanci pubblici). Inoltre, gran parte della politica delle aziende deriva dall’evoluzione del mercato in cui devono operare. La spiegazione dei loro comportamenti, in questo caso, si può trovare facilmente prendendo in considerazione il modello della teoria dei giochi riguardo la cooperazione, in una situazione simile a quella del celebre dilemma del prigioniero.

 

B riduce le emissioni

B non riduce le emissioni

A riduce le emissioni

Il problema delle emissioni è risolto e la concorrenza non ne risente

A fallisce perché non regge la concorrenza di B, il problema non è risolto

A non riduce le emissioni

B fallisce perché non regge la concorrenza di A, il problema non è risolto

Il problema delle emissioni non è risolto, conseguenti problemi a lungo termine

Siano A e B imprese. Gli agenti economici in questa situazione sono portati a collaborare – in questo caso si tratta di un accordo sulla riduzione delle emissioni – solo in caso di ripetizione del gioco. Dato che l'accordo necessita di essere approvato continuativamente, siamo di fronte a uno di questi casi. Tuttavia il numero di soggetti non è limitato a due, ma si tratta di tutte le imprese mondiali, pertanto il dilemma non si risolve. Il mercato potrebbe far fronte a questo problema tramite lo sviluppo tecnologico: innovando nei settori chiave delle produzioni di energia rinnovabili o a basse emissioni si potrebbero superare alcune risorse come il carbone o il gasolio che contribuiscono notevolmente alle emissioni mondiali, assecondando la domanda di consumatori sempre più consapevoli che chiedono alle aziende maggiori investimenti in questo ambito. Tuttavia, secondo la comunità scientifica, il processo sarebbe troppo lento per impedire da solo il superamento della soglia dei 1,5°C prevista dalla CoP21. Pertanto la conclusione di queste considerazioni è che il mercato non riesca a regolamentarsi autonomamente e quindi solo uno stimolo proveniente dalle istituzioni può risolvere definitivamente il problema.

Analizzando il problema dal punto di vista delle istituzioni significa porre l'attenzione sui temi dei poteri, della legittimità, della sovranità e della cooperazione. Gli Stati, dotati di legittimità democratica, hanno il potere per intervenire in maniera diretta o indiretta sulle emissioni. L'intervento diretto consisterebbe nell'imposizione alle imprese di limiti alle loro emissioni. L'approccio indiretto, ben più ragionevole, creerebbe degli stimoli tali per cui le imprese hanno interesse nel ridurre le emissioni.

Due esempi di azioni indirette sono l'introduzione della carbon tax, vale a dire una tassa sull'inquinamento di CO2, e il mercato delle emissioni, già in vigore in diverse parti del mondo. Quest'ultimo provvedimento (il cosiddetto cap-and-trade) si basa sul fatto di individuare le emissioni, attribuire loro un valore e creare un mercato in cui si scambi la quantità massima consentita emettibile di CO2. In questo modo il surriscaldamento globale non sarebbe più considerato dalle aziende come un'esternalità ma come una vera e propria voce di bilancio.

Nell’Unione europea questo sistema prende il nome di Emissions Trading Scheme (ETS), ed è il primo e tuttora più avanzato esempio di sistema di controllo di gas ad effetto serra su scala internazionale. Anche la Cina ha annunciato di voler avviare un sistema analogo di contrattazione delle emissioni di CO2, mentre negli Stati Uniti sono stati creati mercati cap-and-trade per diverse emissioni considerate nocive per la salute causate dalle piogge acide, ma non per l’anidride carbonica. Il funzionamento di questo sistema ricorda vagamente il vecchio gioco delle sedie a cui si giocava da bambini: si compete per delle sedie disponibili in quantità limitata, che vengono ridotte numericamente con il passare dei turni finché non ne resta nessuna. Allo stesso modo, riducendo progressivamente la quantità massima di CO2 che le imprese possono emettere tramite acquisizioni di quote da parte dell'autorità pubblica, si potrebbe creare il presupposto per eliminare drasticamente le emissioni nel giro di un tempo ragionevole.

L’altro provvedimento è la carbon tax. Imporre una tassa sulle emissioni è vincente su tutti i fronti: si scoraggia l'utilizzo di fonti di energia inquinanti e, tramite i proventi dell'imposta, si può finanziare un fondo autonomo che può essere destinato, ad esempio, all'aumento dell'efficienza energetica degli edifici grazie a ecobonus, contribuendo ulteriormente al taglio delle emissioni stesse. Tuttavia un accordo internazionale come quello raggiunto al termine della conferenza parigina non ha il potere di imporre agli Stati nazionali politiche di questo tipo, poiché, in materia fiscale, la sovranità appartiene ai singoli Stati nazionali, capaci dunque di disattendere le intese raggiunte in ambiti sovrastatali sulla base di interessi immediati.

Applicare una tassa sulle emissioni per iniziativa dei singoli Stati,pertanto, non è una soluzione valida, poiché, da un lato sarebbe inefficiente in quanto frammentata, e dall'altro ci si troverebbe in una situazione simile a quella descritta precedentemente tramite la teoria dei giochi: uno Stato ha interesse a imporre una tassa solo se lo fanno anche le altre nazioni, altrimenti viene penalizzato e il problema non si risolve. L'unica via di uscita sembrerebbe quella di creare una nuova sovranità a livello internazionale, tale da garantire il potere agli organi sovrastatali di imporre decisioni assolutamente vantaggiose che gli stati da soli non avrebbero il coraggio di prendere. E l'unica forma di governo in grado di rispettare la sovranità degli Stati esistenti, da un lato, e di crearne di nuova comune, dall'altro, è la federazione.

L’Europa quindi ha una duplice responsabilità sotto il profilo della lotta al cambiamento climatico: non solo quella di continuare ad essere un punto di riferimento per le politiche adottate, ma anche e soprattutto quella di completare la costruzione di un governo europeo federale, democratico e dotato di poteri e risorse autonome, per indicare al mondo la prospettiva istituzionale necessaria per affrontare le emergenze globali.

 

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