"Ma se dobbiamo usarla è perché noi siamo l'America, noi siamo la nazione indispensabile. Stiamo in alto, vediamo più lontano nel futuro di quanto vedano altri paesi, vediamo il pericolo da cui siamo minacciati." Così commentava nel febbraio del 1998 Madaleine Albright parlando dell'uso della forza come mezzo necessario alla diplomazia. Ma sono stati davvero così numerosi i pericoli che minacciavano la sicurezza e l'equilibrio mondiale nel Novecento da richiedere l'intervento dell'esercito americano?

Se, infatti, il XX secolo è stato sicuramente attraversato da profonde tensioni e conflitti drammatici, dalle due guerre mondiali, alla guerra fredda con l’Unione Sovietica, ai conflitti in Medio Oriente, alle dittature in America Latina e alle tensioni nel Sud-est asiatico, d’altro lato è innegabile che l'intervento americano è stato spesso dettato anche da una logica imperiale in cui si sono mescolate ragioni economiche e di consolidamento del potere. Questi interventi sono spesso stati mascherati dal nobile intento di portare la democrazia nel mondo o di contrastare il terrorismo, piuttosto che scongiurare l'uso o la creazione di armi di distruzione di massa. Ne sono un esempio le due guerre lampo in Iraq, o quella in Afghanistan, dove l’obiettivo, in realtà, era quello di ridisegnare a vantaggio degli USA la geografia politica della regione.

Spesso, un ulteriore fattore che ha rafforzato la tendenza americana ad esercitare la propria egemonia a livello globale, è stata proprio l’assenza dell’Europa come potenza regionale responsabile, in grado di farsi carico della pacificazione e della stabilità delle aree contigue. Un caso eclatante è stato quello dell’intervento americano nella ex-Jugoslavia, deciso proprio per supplire all’impotenza europea.

Logorata dai costi imposti dal ruolo di “gendarme del mondo”, sfidata dalla nascita di nuove potenze regionali e dall’ascesa di un colosso come la Cina, l’America sta ormai cercando di ripensare gli strumenti per esercitare in modo diverso e su scala differente la propria egemonia. Le vicende in Iraq e, in genere, nella regione mediorientale sono state una sconfitta clamorosa per gli USA. Come commenta Sergio Romano nel libro Il declino dell'Impero americano, "quando sopravvive ai duri colpi di un nemico potente, un piccolo Stato o una banda di guerriglieri può vantare una vittoria morale. Quando distrugge il regime di una Stato ostile ma non riesce a raggiungere gli obiettivi che si era prefisso, un grande Stato è politicamente sconfitto". E, scrive sempre Romano, “la crisi dell’impero americano è cominciata a Kabul e a Baghdad, ma diviene ancora più evidente quando i più vecchi e fedeli alleati degli Stati Uniti – l’Arabia Saudita, Israele, la Turchia, il Giappone, alcuni paesi europei e latino-americani – lanciano segnali di fastidio e cominciano a fare scelte politiche che danno per scontato il declino della potenza americana”. Non c'è da stupirsi allora che alla domanda di Condoleeza Rice "Che cosa posso fare per lei?" in una conversazione nel 2007 con Nicolas Sarkozy egli rispose " Migliorare la vostra immagine nel mondo. È una cosa un po' difficile quando il paese più potente, quello di maggiore successo – quello che, necessariamente, è il leader della nostra parte – è uno dei paesi più impopolari del mondo."

In questo quadro l’assenza dell'Europa sullo scenario internazionale diventa drammatica. Escludendo esigui interventi per missioni di pace e di sostegno alle popolazioni interessate dai conflitti, gli Stati europei, divisi e incapaci di costruire una politica estera unica ed autorevole, non sono in grado di sostenere posizioni alternative rispetto a quelle di un alleato tanto potente come gli USA.
E proprio la crescente debolezza di questo grande alleato-padrone, e la sua incapacità di farsi carico dell’instabilità delle aree che sono strategiche per gli europei, è destinato ad avere ripercussioni gravissime sul nostro continente, già indebolito e reso fragile dalla crisi economica. Per gli europei è tempo di prendere in mano il proprio destino, completando il processo di unificazione e dotandosi finalmente di una vera politica estera: prima che sia troppo tardi.

 

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