Il Forum mondiale dei movimenti sociali si è concluso il 30 marzo 2013 con una dichiarazione in cui sono riassunti i punti della piattaforma strategica comune. Il documento definisce gli ambiti in cui i movimenti intendono concentrare la loro azione:

  • nell’ambito dell’economia e della finanza globalizzate, contro le multinazionali e le organizzazioni internazionali (FMI, BM, OMC);
  • sul tema dell’accesso e della gestione delle risorse naturali, contro l’attuale sistema di produzione, distribuzione e consumo e per la sovranità alimentare;
  • contro ogni forma di violenza sulle donne e i traffici di persone;
  • nell’ambito dei rapporti internazionali, contro l’attivismo delle potenze mondiali, motivato dal “falso discorso in difesa dei diritti umani e della lotta contro gli integralismi” e in favore dell’autodeterminazione e della solidarietà tra i popoli;
  • per la “democratizzazione dei mezzi di comunicazione di massa e per la costruzione di media alternativi”.

I movimenti sociali si sono riuniti nella città in cui sono cominciate le proteste della “Primavera araba”, per difendere con forza il movimento popolare che ha sconvolto il Nord-Africa, e che “ha contagiato tutti i continenti del mondo generando processi di indignazione e di occupazione delle pubbliche piazze”.

In effetti la globalizzazione, e a maggior ragione in questa fase di crisi economica e finanziaria che sta colpendo tutto il mondo, ha ridato vigore ai movimenti che agiscono al di fuori del quadro istituzionale e propugnano cambiamenti radicali delle istituzioni economiche e sociali in nome dei valori della giustizia sociale, della pace, della democrazia e della libertà dei popoli.

Sotto questo aspetto i movimenti globali di oggi richiamano i movimenti sociali e politici che hanno occupato la scena a partire dall’Ottocento e per tutto il secolo scorso. Questi movimenti storici, e gli ideali che li hanno caratterizzati, hanno giocato un ruolo importante nell’emancipare e unire gli uomini all’interno degli Stati. La differenza maggiore, rispetto a d oggi, è dovuta al fatto che essi, agendo in un periodo storico in cui la dimensione delle relazioni economiche e sociali non aveva ancora raggiunto il livello globale, hanno potuto porre in secondo piano le istanze universalistiche, che pure costituivano un aspetto essenziale dei valori che propugnavano, e stabilire uno stretto rapporto con i movimenti nazionali che in quello stesso periodo si stavano diffondendo in tutto il mondo. Il fatto di agire all’interno di un quadro statuale adeguato rispetto all’interdipendenza sociale, economica e politica del tempo, con l’obiettivo di farne evolvere il regime, ha reso questi movimenti straordinariamente efficaci.

Il legame tra il nazionalismo e i movimenti liberale, socialista e democratico (incluso quello pacifista) è entrato in crisi in Europa già all’inizio del secolo scorso con la prima guerra mondiale (che ha reso evidente l’incompatibilità del nazionalismo con il pacifismo) e con il fascismo, sintomo drammatico del fatto che gli Stati nazionali non riuscivano più a conciliare le istituzioni e la vita democratiche con la seconda rivoluzione industriale, che richiedeva una dimensione continentale dei mercati e delle istituzioni statali.

In questo modo, l’inadeguatezza del quadro statuale nazionale rispetto al livello effettivo di interdipendenza ormai raggiunto, ha minato la vita dei partiti politici che, pur essendo stati uno strumento efficace per l’affermazione a livello nazionale dei valori democratici e di giustizia sociale, si sono dimostrati inadatti a portare avanti la battaglia per la creazione di un potere statuale sovranazionale democratico e quindi a portare oltre i confini nazionali la lotta per l’emancipazione degli uomini, a causa del loro ruolo di organizzatori del consenso nell’ambito delle comunità nazionali. Distaccandosi dalle motivazioni profonde che animano l’impegno politico degli individui, i partiti sono pertanto andati incontro ad un processo, lungo ma inesorabile, di corruzione che ha coinvolto gli ideali stessi che ne stanno alla base.

I movimenti sociali sono anche il frutto di questa situazione di crisi della politica nazionale. Ma se da una parte essi traggono alimento da quelle istanze di giustizia sociale e di pace che non trovano più nei partiti degli strumenti efficaci di affermazione, tuttavia sono tra i sostenitori più intransigenti del diritto dei popoli alla loro sovranità e non riconoscono in genere la necessità di istituzioni sovranazionali la cui autorità nei settori a loro assegnati stia al di sopra degli Stati.

Per questo da un lato contestano i governi delle potenze mondiali, le istituzioni internazionali e le grandi corporation, fino a spingersi, in alcuni casi, ad una critica radicale degli assetti economici e politici mondiali; tuttavia, quando cercano con le loro azioni di incidere sulla realtà concreta, non sono in grado di proporre istituzioni alternative a quelle nazionali e a quelle internazionali create per promuovere la cooperazione internazionale, ma che hanno nella sovranità esclusiva degli Stati la fonte della loro legittimità e del loro potere.

Analogamente, il programma dei movimenti sociali, pur dando espressione ad esigenze reali, non riesce ad essere convincente perché, al pari di quelli dei partiti, non sa dare una risposta efficace ai problemi dello sviluppo dei paesi più deboli e dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Il problema centrale che il mondo ci impone oggi di risolvere è infatti la contraddizione tra l’estensione delle comunità sociali, che ha ormai raggiunto la dimensione dei continenti in buona parte del mondo e si sta ormai spingendo fino a coincidere con il mondo intero, e le istituzioni politiche, cioè gli strumenti che gli uomini si danno per governare la società e per risolvere in modo pacifico le controversie che in essa si pongono.

E’ chiaro ormai che nelle regioni che non si sono ancora unite politicamente a livello continentale, cioè l’Europa, l’ Africa, larghe parti dell’America latina e dell’Asia, l’ottica in cui devono porsi i partiti e i movimenti sociali è quella di trovare un mezzo più efficace del semplice coordinamento delle politiche decise a livello locale per risolvere i problemi comuni, siano essi quelli della crescita economica e sociale o dell’indipendenza politica. La stessa qualità degli obiettivi e dei programmi, e l’incisività delle proposte di cui intendono farsi portatori, dipendono in larga parte dalla capacità di acquisire questa nuova visione. “Think globally, act locally” è la risposta sbagliata perché insufficiente di fronte a problemi che superano le dimensioni degli Stati nazionali e che devono necessariamente essere affrontati insieme per essere risolti. E per questo le soluzioni che anche il Forum prefigura appaiono così poco adeguate rispetto alla reale sfida dello sviluppo e del progresso delle regioni ancora depresse. Il compito principale e la principale responsabilità dei popoli di queste aree è di trovare la loro via verso l’unità per poter giocare un ruolo positivo e non essere semplicemente al traino (o vittime) del progresso della comunità internazionale.

Gli europei hanno una particolare responsabilità perché in Europa è stato avviato il processo che ha portato all’unione economica e monetaria, ma che risulta ancora molto carente sul piano delle istituzioni dell’unità politica. L’attuale crisi economica e finanziaria ha posto gli europei di fronte ad una scelta cruciale che determinerà il futuro non solo per loro, ma per il mondo intero. I cittadini europei possono limitarsi ad opporsi con le manifestazioni alle lobby della finanza e dell’economia internazionale e possono ottenere, votando per i partiti euroscettici, il ritorno alle monete nazionali e la riduzione dei poteri delle istituzioni europee nell’illusione che ciascuna comunità nazionale possa trovare al proprio interno la forza per uscire da sola dalla crisi; oppure possono concordare un programma comune di interventi coordinati a livello europeo. Ma devono anche capire che questo programma può avere successo solo se a fianco degli Stati esisteranno delle istituzioni europee dotate di strutture di governo indipendenti da questi ultimi, che possano procurarsi autonomamente le risorse finanziarie necessarie e che rispondano direttamente ai cittadini attraverso il voto. Solo così gli europei potranno ridare un senso al loro impegno politico e riacquistare fiducia in quegli ideali di libertà, democrazia e giustizia sociale dei quali l’Europa è stata maestra nel mondo.

Gli Stati che si sono spinti più avanti nel processo di integrazione e, tra questi, quelli più influenti – la Germania, la Francia e l’Italia – hanno in questo momento una particolare responsabilità perché è ormai sul campo la proposta di dotare l’Eurozona di un bilancio comune finanziato con risorse proprie e di realizzare per questa strada un governo comune, responsabile di fronte ad un Parlamento, col compito di amministrarle. E’ oggi possibile dar vita al primo nucleo della Federazione europea, dal quale potrà prender forma il progetto dell’unità politica degli europei.

Per questo ai movimenti sociali, al pari dei partiti, è oggi offerta una grande opportunità per stabilire un legame sano e vitale con i cittadini: porsi al fianco dei federalisti europei  per dar vita ad un grande movimento popolare che colga questa occasione che ci viene offerta. E’ finito il tempo delle perplessità ed è giunto il momento di agire: per la Federazione europea, subito!

 

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