Di recente è stato pubblicato il libro Il ritorno della storia e la fine dei sogni di Robert Kagan, un conservatore americano molto noto anche in Italia per le sue pubblicazioni e per le sue posizioni critiche fondate sul realismo politico. Il testo presenta un’analisi ampia, precisa e ben costruita della situazione geopolitica mondiale, con spazi e riflessioni dedicati ai diversi protagonisti della situazione odierna. Il titolo è chiaro: il mondo, negli anni che hanno seguito la guerra fredda, si è crogiolato nel sogno di vivere una situazione militare globale trasformata, grazie all’assenza di potenze che potessero contendere il primato statunitense e quindi scatenare il conflitto. La congruenza della parola sogno appare evidente di fronte alla disamina degli interessi, sia economici sia geostrategici, delle numerose potenze protagoniste di questa fase complessa della politica internazionale. Fin dai primi capitoli del libro, Kagan chiarisce bene il “ritorno della storia”, soffermandosi sulla politica estera della Russia, della Cina, del Giappone, dell’India e dell’Iran, ed evidenziando altrettanto chiaramente la marginalità dell’Unione europea, che più di tutti aveva creduto che fosse ormai superata la logica dei rapporti di potere a livello internazionale.

L’eco delle iniziative russe è giunto ben udibile ai paesi dell’UE. Basti pensare, come lo stesso Kagan ricorda, alla crisi georgiana l’estate scorsa. Ma questo non basta per parlare, come sostiene qualcuno, di possibile ritorno alla guerra fredda; la situazione oggi è ben diversa da quella del secolo scorso, in quanto multipolare. La rinascita della Russia è una realtà evidente, così come lo è il suo sforzo di riguadagnare influenza ed egemonia nei confronti degli Stati confinanti, tipica di ogni politica di potenza. Georgia, Ucraina, Moldavia, il Caucaso, l’Asia centrale e i Balcani appartengono tutti all’area su cui la Russia cerca di riacquisire controllo. Ma la preoccupazione maggiore americana riguarda la forma autocratica del governo di Putin – duramente attaccato, infatti, dal politologo – che si manifesta nell’allontanamento degli avversari politici interni e in una strategia internazionale fortemente nazionalista. Non per niente Putin considera il collasso dell’Unione Sovietica “la più grande catastrofe politica del ventesimo secolo”.

Per quanto riguarda la Cina, Kagan ricorda che, benché l’ingresso di un paese così dinamico dal punto di vista della produzione e della dimensione del mercato non possa essere considerato un evento economico a somma zero, bensì costituisca un’opportunità di crescita per l’economia globale, tuttavia non si può ignorare che il governo del paese è autocratico e autoritario e che la Cina, come tutte le grandi potenze nazionaliste, tende ad allargare la propria sfera di influenza a cerchi concentrici intorno a sé. L’oceano Pacifico e quello Indiano sono aree particolarmente sensibili e la Cina è fortemente impegnata a rafforzare il proprio settore militare, soprattutto costruendo navi da guerra, con l’obiettivo di poter arrivare a controllare i passaggi strategici. Questo tipo di politica non può non allarme i governi degli altri due Stati che hanno interessi analoghi e in cui sta crescendo la tendenza nazionalistica. Si tratta del Giappone e dell’India, che hanno interessi strategici in questa area e che mirano a contenere l’allargamento dell’orbita cinese. Recentemente, il ministro della difesa indiano ha definito la Cina “la minaccia numero uno per l’India”, in seguito agli aiuti militari dati al Pakistan, in particolare per la costruzione del suo arsenale nucleare, e per il coinvolgimento militare marittimo ci

nese in Myanmar, Bangladesh, Sri Lanka, Maldive, Seyshelles, Mauritius e Madagascar. Kagan sottolinea come la questione di Taiwan abbia influenzato la politica delle alleanze in Asia: a fronte del fatto che la Cina mira all’annessione di questa “tigre dell’Oriente” per ragioni sia di potere che di sentimento nazionalista, non solo il Giappone, che è un tradizionale alleato, ma anche l’India si è avvicinata agli Stati Uniti che mantengono tutt’ora in loco due portaerei. Durante l’estate del 2007 India, Giappone, USA e Australia hanno compiuto congiuntamente un’esercitazione militare in Myanmar che i cinesi e i russi hanno definito come la nascita di un “asse occidentale” e a cui a loro volta hanno reagito compiendo, insieme all’Iran ed altri quattro Stati del Medio Oriente, esercitazioni in Russia che hanno mobilitato quantità impressionanti di soldati. Questa volta sono stati gli americani a definire questa iniziativa “la nascita della associazione delle autarchie”.

 

L’obiettività dell’analisi di Kagan si dimostra proprio nei confronti degli USA. Egli non ha problemi ad ammettere il fatto che il crollo del muro di Berlino abbia incrementato la spinta statunitense ad espandere la propria egemonia globale (ciò vale per tutti i presidenti) sulla base dei propri interessi specifici, e a concepirsi come l’unica superpotenza globale. Egli ammette anche l’ipocrisia degli Stati Uniti quando questi si schierano contro determinati paesi, come la Russia, o certi Stati del Medio Oriente, sostenendo la causa della difesa della democrazia (come ad esempio in Georgia, in Kuwait, in Myanmar o a Taiwan), mentre essi stessi allargano la propria sfera egemonica supportando altre autarchie quali l’Egitto e il Marocco. Ironizza anche sul curioso paradosso dell’opinione pubblica statunitense, in base alla quale la maggior parte degli americani non crede di avere ambizioni nazionali che oltrepassino quelle della sicurezza e del benessere economico: “gli americani si ritengono un popolo insulare per natura ripiegato su se stesso”.

Si può ben notare che di Europa non si parla. Il centro della politica mondiale, oggi, si sta spostando in Asia e in Medio Oriente e l’Europa è del tutto marginale. Il peso politico dei singoli Stati è pressoché nullo, ma gli europei sembrano preferire l’illusione del soft power; in realtà, come il diritto internazionale non può risolvere i problemi nelle zone calde del globo, così l’Unione europea non ha gli strumenti per governare e per avere un ruolo nel quadro mondiale, dato che sono ancora i singoli Stati nazionali a prendere le loro decisioni prive di efficacia.

Nonostante le analisi accurate della situazione globale, le conclusioni di Kagan mantengono però un’ottica nazionalista americana inadeguata a prospettare una soluzione accettabile. Egli propende per la creazione di un asse occidentale, che egli chiama “asse della democrazia”, con l’obiettivo di opporsi alle autarchie e ai loro interessi non democratici. A suo parere, il modello vincente della democrazia liberale di stampo illuminista degli Stati Uniti è in grado di portare gradualmente alla prosperità tutte le nazioni, e può quindi imporsi in tutto il mondo, rendendo gli interessi di tutti convergenti. La sua visione mantiene, quindi, la centralità degli Stati Uniti nell’equilibrio mondiale.

La critica che si può muovere alla ipotesi che i mercati possano unire il mondo superando non solo le diversità culturali, ma anche i rapporti di potere tra gli Stati, è immediata. Già il passato ha dimostrato che l’illusione degli effetti positivi del libero mercato, a fine Ottocento, non ha potuto impedire lo scoppio di due guerre mondiali. Lo stesso Kagan, con le sue analisi, ha appena dimostrato il ritorno del nazionalismo che spinge gli Stati ad aumentare la propria spesa militare e che rende concreta la possibilità che si riformino barriere protezionistiche. La realtà è che l’anarchia internazionale si può superare solo creando un governo mondiale, ovvero uno Stato federale globale che ponga fine alla divisione dell’umanità e quindi ai rapporti di forza tra gli Stati e sia capace di coniugare l’unità con il mantenimento delle diversità e delle specificità. Fino a che questa prospettiva non sarà realistica, il maggiore contributo alla stabilità del quadro internazionale e alla progressiva pacificazione potrà venire solo dall’instaurazione di rapporti cooperativi tra i diversi paesi, e in questa ottica la creazione artificiosa di blocchi contrapposti sulla base di differenti ideologie politiche è un grave e pericoloso errore. Se l’Europa sapesse unirsi e dar vita ad un potere statuale potrebbe dare un contributo decisivo alla cooperazione internazionale, aiutando gli stessi Stati Uniti ad orientarsi in questa direzione. Inoltre, sarebbe un modello per il mondo che ha bisogno di capire come sia concretamente possibile avviarsi verso una maggiore unità: la Federazione europea realizzerebbe per la prima volta la nascita di un potere democratico sopranazionale e mostrerebbe a tutti gli Stati che è possibile unirsi e porre fine al nazionalismo.

 

 

 

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