“Si fa politica a caso se con la propria azione non si stabilisce un rapporto concreto con la condizione umana effettiva e con il corso delle cose, il corso della storia, che è determinato dai bisogni e dai problemi degli uomini di oggi, con le loro capacità ed i loro limiti”.

Con queste parole Mario Albertini sottolineava la necessità di comprendere il processo storico nella sua interezza, individuarne il senso, e trovare la collocazione dell'attualità in tale processo, ancor prima di strutturare un certo pensiero politico, e la relativa azione.
Esiste un processo storico? Quando è iniziato? A che punto del processo si colloca il nostro tempo? Quale sarà la fine del processo?
Seguendo il consiglio di quell'eccellente federalista, è opportuno cercare di rispondere a queste domande.

1) Il  punto attuale del processo: il mondo non è un luogo sicuro

Il mondo di oggi è estremamente contraddittorio: da un lato, l'umanità dispone di strumenti tecnologici e conoscenze scientifiche sufficienti per ottenere progressi civili e sociali incredibili, che potrebbero garantire prosperità e benessere al mondo intero.
Dall'altro, proprio il livello di sviluppo raggiunto ha posto le basi per lo sviluppo di due crisi globali, ben evidenti agli occhi di tutti: la proliferazione di armi di distruzione di massa e l'olocausto ecologico.
Queste ultime sono subordinate ad una terza crisi,  troppo spesso ignorata, nonostante sia l'origine unica dei grandi mali della nostra epoca: l'interdipendenza economica tra stati sovrani, privi di un governo unico; in altre parole, la mancanza di una sovranità globale, e l'esistenza dello stato di anarchia internazionale, che determina lo stato di guerra permanente.
L'umanità, oggi, è in grado di autodistruggersi, e non dispone di un'autorità politica abbastanza forte da evitare il dramma, se il rischio dovesse concretizzarsi.
In questo senso, è nocivo il ruolo dell'internazionalismo, che altro non è se non una ulteriore legittimazione del modello stato-nazione: tale assetto ostacola lo sviluppo civile ed economico, e non è più in grado di rispondere ai bisogni essenziali della comunità umana: benessere, occupazione, pace.
Gli stati sono detentori illegittimi di sovranità, e la comunità umana, unica vera detentrice  della sovranità, avrebbe il diritto di delegare tale potere ad istituzioni capaci di rispondere ad esigenze e bisogni collettivi.
Pare chiaro che la pace, intesa come assenza totale di guerra, anche solo nelle sue forme potenziali o passive (difesa, diplomazia), oggi non esiste.

«Sperare in una permanenza di armonia fra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andare contro l’esperienza accumulata dal tempo»
Hamilton, The Federalist.

2) Il fine ultimo del processo storico: l'emancipazione umana e la pace

Molte sono le premesse filosofiche che ci permettono di studiare ed interpretare il processo storico, ponendo un ottimo terreno per lo sviluppo del paradigma federalista: lo sfondo filosofico kantiano, il materialismo storico di Marx, e contributi di molti altri autori.
Oggi, grazie alle conoscenze accumulate e rielaborate, è lecito affermare che il processo storico si sviluppa secondo due tendenze: meccanismi di autoconservazione ritmicamente rotti e rinnovati (materialismo storico), e lo svilupparsi di una sempre più raffinata ragione comune, che deposita la sua saggezza nel linguaggio, nella cultura e nelle istituzioni.
Teorizzando che la realtà storica seguisse un certo processo, Kant profetizzò che lo stato di guerra si sarebbe annullato da sé stesso, una volta che il suo potere distruttivo totale non sarebbe stato ulteriormente accettabile.
Una congettura ragionevole, a questo punto, può essere la seguente: l'uomo, da sempre e per sempre piegato sotto spinte egoistiche e solidali,  potrà godere in un futuro momento storico di una completa emancipazione, grazie ad una saggezza civile e politica ereditata, in grado di andare incontro agli interessi di ogni individuo, generando così una sorta di volontà generale, e le premesse per una nuova epoca di storia, fondata sulla libertà, sull'uguaglianza e sulla pace.

«Dobbiamo rassegnarci ad essere governati da uomini mediocri; la nostra salvezza non sta nella saggezza degli uomini, ma nella saggezza delle leggi.»
Emery Reves

Oggi, coscienti che la storia, pur ordinata secondo alcune dinamiche, non segue un corso determinato, è lecito chiedersi: a quali condizioni si realizzerà lo stato di pace perpetua?

3) La costituzione civile perfetta: il modello federale come condizione per la pace

I meccanismi appena descritti, oggi, hanno determinato fortissime crisi: il mercato globale, ragione della profonda interconnessione ed interdipendenza del nostro mondo, richiede un'evoluzione politica non ancora attivata: ciò comporta una fortissima tensione; è necessario sostenere il cambiamento richiesto con progetti politici seri e ben studiati, se si vogliono evitare conflitti sempre più tremendi.

Il federalismo come teoria politica, che si propone di superare questa crisi, ha goduto di una certa fortuna, ed oggi i suoi contorni sono ben delineati.
Tale modello ha il potenziale necessario per garantire la costituzione civile perfetta del mondo; l'idea, espressa con semplicità e chiarezza, è la seguente: l'assetto politico internazionale, ormai dannoso e pericoloso,  che sostiene uno stato di guerra perpetuo,  va sostituito con la costituzione di un vero governo mondiale, dotato della sovranità necessaria ad emanare leggi universalmente rispettate, capace quindi di riunire più stati sotto un potere decisionale superiore, in grado di fronteggiare con una sola voce le grandi crisi del nostro secolo; gli stati membri manterrebbero poteri limitati alle loro capacità di azione, e così le regioni, le città, i comuni, secondo un modello di governo a più livelli, e di divisione delle competenze.
Nonostante la definizione appena proposta sia molto sbrigativa, è intuitivamente facile capire perché un modello così organizzato, oltre ad essere rivoluzionario rifiutando l'idea di un solo potere centrale, possa riuscire ad affrontare e risolvere i problemi e le sfide dettate da un mondo estremamente complesso, che necessita di una gestione altrettanto complessa ed organizzata.
La pace, che riunisce i valori di libertà ed uguaglianza politica, economica ed individuale delle ideologie precedenti, è il primo valore del pensiero federalista, ed il fine della nostra azione politica.

«Nel mezzo del ventesimo secolo, non si può considerare rivoluzionario nessun movimento che non concentri la sua azione e la sua forza nello sradicare quella istituzione tirannica (lo Stato nazionale) che, per la propria autoconservazione e autoglorificazione, trasforma gli uomini in assassini e schiavi» 
Emery Reves

4) Il senso dell'impegno politico dei giovani

A questo punto della riflessione, è doverosa una specificazione: la pace, intesa come fine di un processo di evoluzione storica, non è garantita: il fatto che si possa auspicare a tale conquista non implica che tale conquista sia certa.
I meccanismi di evoluzione dialettica della civiltà eliminano sicuramente alcuni mali d'epoche passate, ma ne presentano di nuovi: lo scenario di una completa autodistruzione umana è verosimile.
Per questa ragione è doveroso ricordare che, sebbene esistano alcuni processi indipendenti dalla volontà dei singoli individui, è necessaria un'azione politica forte, decisa e coesa, che presenti il piano federalista come condizione necessaria per accompagnare l'evoluzione sociale e culturale che oggi investe il mondo intero;  come disse Mario Albertini nel celebre Discorso ai Giovani Federalisti, “se i giovani hanno una responsabilità specifica nel fare politica, questa dev'essere caratterizzata proprio da un maggiore impegno nel battersi non solo per il possibile immediato, ma anche e sopratutto per il possibile futuro”.

5) Federalismo europeo e federalismo mondiale

Concludendo questa riflessione, esaurita nel suo tema centrale, cioè il significato storico della pace per la battaglia federalista, è opportuno specificare quale può essere e deve essere il ruolo della Federazione Europea, una volta costituita.
In effetti, il dubbio sorge spontaneo: “la formazione della federazione europea non comporta unicamente la nascita di una nuova superpotenza, in grado di giocare un ruolo politico decisivo sul piano internazionale, ma contribuendo di fatto a sostenere l'attuale stato di guerra?”
La preoccupazione è corretta, il rischio esiste.
Proprio per questa ragione noi federalisti abbiamo il dovere di produrre cultura politica raffinata e precisa, specificando a più riprese quello che deve essere il ruolo della federazione europea:  essa sarà un laboratorio del modello federale, un progetto politico da offrire al mondo intero; per questa ragione, il nostro compito non terminerà una volta ottenuta le federazione.
Mi permetto, a questo punto, di introdurre una considerazione personale e sincera; l'identità europea non sarà un' identità esclusiva, chiusa, nazionale: essa sarà l'identità transitoria di un popolo che desidera la pace, e che ha compreso che la pace è un affare globale.
La chiamo identità transitoria perché non potrebbe essere definita altrimenti: data l'estrema contaminazione culturale che da sempre colora il nostro mondo, e riconosciuto che non esistono comunità pure e definite, tantomeno razze, le uniche identità  delle quali è possibile discorrere con una certa coerenza sono l'identità individuale, in riferimento alle singole persone con le proprie specificità irripetibili, e l'identità collettiva, in riferimento all'intera umanità, dotata di tratti sempre identici, inviolati persino dal tempo e dallo spazio.


Traccia della relazione svolta da Andrea Apollonio nella prima sessione su “Il processo di unificazione europea: laboratorio per un nuovo modello di convivenza tra gli Stati e tra i cittadini” nell’ambito del XX seminario di Desenzano del Garda “Il federalismo e l’unità europea”, che si è svolto dal 29 aprile al 1° maggio 2016.

 

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