In questa fase della politica internazionale, in cui gli equilibri sono in rapida evoluzione, l’urgenza di una politica estera e di difesa unica europea si manifesta in maniera ancora più evidente. Gli elementi di profonda instabilità creati dalla crisi economica e finanziaria, uniti alle emergenze già presenti in campo alimentare, energetico e climatico, rendono necessarie scelte coraggiose. L’Unione europea, invece, continua a trovarsi nella condizione di subire le decisioni che vengono prese dalle altre potenze mondiali. Le sue reazioni si limitano in ultima istanza al coordinamento di politiche nazionali. Anche il ritardo e la natura nazionale degli interventi elaborati in Europa per affrontare la crisi finanziaria sono un evidente segno di questa debolezza che riduce notevolmente l’efficacia e l’autorevolezza con cui si sarebbe potuto reagire in questo frangente.

Lo stesso vale per la politica estera: persino quando l’Unione riesce ad avere una propria posizione, proponendosi come interlocutore internazionale, il suo peso è oggettivamente secondario e subalterno. Ad esempio, durante la crisi con la Georgia il ruolo europeo è stato di fatto marginale, nonostante l’iniziativa del presidente francese Sarkozy che sfruttando il turno di presidenza dell’Unione ha potuto porsi come rappresentante dei Ventisette. La mediazione europea si è infatti manifestata solo quando i giochi si erano sostanzialmente conclusi e le azioni militari russe avevano ormai ristabilito il controllo sulle regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, strategiche per le politiche energetiche di Mosca, ma anche per quelle europee.

Le nuove linee della politica russa dovrebbero essere uno dei più importanti campanelli di allarme per gli europei. E’ evidente che il nuovo ruolo che Mosca sta assumendo sullo scacchiere internazionale ha tra i suoi pilastri quello del controllo della produzione e del trasporto del gas sul suo territorio e su quello delle exrepubbliche sovietiche, in modo da creare una sostanziale situazione di monopolio. In questa condizione le compagnie “parastatali” russe hanno la possibilità di fissare quantità e prezzi delle materie prime e comportarsi a loro volta come monopolisti nei confronti dei paesi europei. L’aspetto inquietante, ed in parte nuovo, che caratterizza questo atteggiamento russo è legato alla politica militare e di riarmo che viene perseguita da Putin e Medvedev, la cui strategia si estende oltre che all’area asiatica e medioorientale (Cina e Iran ad esempio) anche ad alcuni paesi del Centro e del SudAmerica. Recentemente, ad esempio, la Russia ha stipulato accordi militari con il Venezuela del presidente Chavez che vanno di pari passo con importanti accordi energetici. Le campagne militari di addestramento comuni svoltesi a fine 2008 tra le rispettive marine in acque venezuelane e la recente disponibilità offerta all’utilizzo di basi militari per l’atterraggio di bombardieri russi evidenziano la rilevanza strategica di simili accordi. E’ dalla fine della guerra fredda che la Federazione russa non si spinge così vicino ai confini statunitensi e questo costituisce sicuramente un problema serio nello sviluppo dei rapporti reciproci.

D’altra parte gli Stati Uniti, che hanno perso il ruolo di unica potenza egemone a livello mondiale, e che sono travolti dalla crisi finanziaria, stanno rimodellando le relazioni internazionali in base ai nuovi rapporti di forza con le potenze continentali, Russia e Cina in primis. La volontà statunitense è, nelle dichiarazioni, quella di lasciarsi alle spalle le strategie dell’era Bush (l’idea del “reset” delle relazioni russoamericane proposta da Segretario di Stato Hillary Clinton nel recente incontro con il ministro degli esteri russo) e promuovere il dialogo e la diplomazia internazionale. In realtà la strategia americana non si discosta molto dalla precedente specialmente in Europa, dove continua ad essere incentrata sull’allargamento dell’Alleanza Atlantica per arginare il protagonismo russo. L’ingresso della Francia e gli accordi sulle basi in Polonia e nella Repubblica Ceca sono aspetti di questa strategia e sanciscono la dipendenza degli europei dagli alleati americani ponendosi, di fatto, come freno alla creazione di un’autonoma politica di difesa europea. Per i paesi dell’Est europeo, d’altra parte, la NATO risulta l’unica soluzione al momento potenzialmente credibile per la loro difesa. L’alternativa che potrebbe offrire l’Unione europea, a causa del suo attuale assetto politico che rende impossibile scelte e decisioni sovranazionali, non è semplicemente credibile. Le innovazioni presenti nel Trattato di Lisbona, d’altra parte, nonmodificano tale situazione; l’UE continua a concepirsi come un soggetto che si muove esclusivamente nell’ottica di politiche puramente reattive e non costruttive, in grado, cioè, di prevenire i problemi e di assumersi responsabili tà nel caso in cui si devono operare delle scelte politiche che solo un potere esecutivo di governo a livello continentale può adottare.E’ questo ciò di cui gli europe

i hanno bisogno per offrire un proprio contributo per affrontare i problemi globali: le attuali debolezze e divisioni in politica estera presenti in Europa sono il riflesso della divisione politico-istituzionale in Stati nazionali che permane anche nelle istituzioni comunitarie e che vanno contro gli interessi degli stessi europei, perché impediscono di persegui re obiettivi comuni e lungimiranti. Purtroppo anche l’allargamento dell’Unione, che potenzialmente rappresentava un importantissimo atto di politica estera per offrire ai nuovi Stati membri sviluppo, stabilità politica e sicurezza, di mostra, (come previsto dai federalisti) i suoi grandi limiti. Da una parte non si è in grado di garantire la difesa di questi paesi perché non si ha un assetto istituzionale adeguato e dall’altro risulta ormai pressoché impossibile riformare le istituzioni a ventisette per rafforzarle. Il punto è che l’istituzione di una efficace politica estera di sicurezza e di difesa europea non può essere delegata a qualche agenzia intergovernativa o a forme di cooperazione più stretta tra Stati nazionali che mantengono la propria sovranità, ma è realizzabile solo attraverso l’iniziativa di un’avanguardia di paesi che creino le basi di uno Stato federale europeo.

Germania e Francia sono i paesi cardi ne per rendere possibile quest’iniziati va insieme agli altri paesi fondatori che hanno condiviso le responsabilità di avviare il processo di integrazione europea con la prospettiva dell’unificazione politica.

 

 

 

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