Il prossimo 27 settembre i tedeschi verranno chiamati al voto per rinnovare il Bundestag e scegliere il nuovo Cancelliere. Ad un anno di distanza partiti grandi e piccoli iniziano già a prepararsi e a prendere fiato per una gara che si preannuncia molto tesa. E’ soprattutto la crisi economica e finanziaria ad interessare l’opinione pubblica. Nonostante i buoni risultati relativi all’occupazione, le stime di crescita del FMI per la Germania sono solo di +1% nel 2008 e di +0,2% nel 2009. L’economia ferma e il crollo finanziario, secondo in Europa solo a quello della Gran Bretagna, spingono i tedeschi a ridurre i consumi e soprattutto accrescono la loro diffidenza verso quei partiti che li hanno governato negli ultimi cinque anni. La Grosse Koalition ha resistito, ma non è riuscita a convincere davvero la maggioranza degli elettori. Secondo gli ultimi sondaggi la CDU si attesterebbe al 30% e l’SPD al 25%. Volano invece le opposizioni: i Liberali al 10% e soprattutto Die Linke di Lafontaine al 15%. Quasi un quarto della popolazione rimane indecisa.

Tutto sommato ci troviamo ancora una volta di fronte ad una Germania in affanno, resa fragile dalle proprie contraddizioni e quindi più facilmente incline ad intraprendere scelte sbagliate. Quale Europa e quale Germania avremo tra mezzo secolo? A questa domanda i politici tedeschi non sanno rispondere. Sarà forse una Germania potenza regionale, influente nell’Europa orientale e ancora abbastanza florida dal punto di vista economico, almeno rispetto agli altri paesi europei? Sarà forse una Germania soffocata dalla Russia, che forte del suo monopolio in campo energetico riuscirà ad avere la meglio ancora una volta del suo storico rivale occidentale? O sarà forse una Germania europea, cioè uno Stato fondatore degli Stati Uniti d’Europa, cuore pulsante del continente finalmente unito? Sono prospettive molto divergenti nel loro sviluppo, ma che inizieranno a concretizzarsi, pur lentamente, già dalle decisioni di oggi.

Osservando la politica estera tedesca degli ultimi cinque anni non si può non notarne le profonde contraddizioni: riavvicinamento agli Usa da un lato e avvicinamento alla Russia dall’altro; ottimi rapporti formali con la Francia e politiche economiche antifrancesi in Africa centrale; rilancio del processo di integrazione europea con il trattato di Lisbona e rifiuto di un’Europa e due velocità che favoriscano le scelta dell’unità politica. Sembra quasi che la Germania stia ancora prendendo tempo. Questo tentativo di continuare a battere, al momento, tutte le strade è scandito da strategie di breve respiro, senza un progetto autentico. I tedeschi sanno di essere potenti, ma hanno ancora paura di questo potere; sanno di vivere in un contesto europeo vitale per la loro prosperità e sicurezza, ma non riescono ancora a fidarsi completamente dei loro partner, in particolare della Francia, e soprattutto rifiutano di intraprendere passi che rafforzino in senso politico e sovranazionale questo contesto.

Certo, tutta questa indecisione e questa miopia della classe politica non stanno giocando a favore del processo di unificazione europea. La scelta più facile per i tedeschi sarà infatti quella di tornare alle logiche dello Stato nazionale ed inaugurare la politica del “bastare a sé”. D’altronde la Germania è l’unico paese in Europa ad avere le risorse umane e materiali e soprattutto le capacità economiche per rimanere ancora a galla in un panorama internazionale dominato dai grandi Stati continentali. Se volessimo fare un parallelo storico, è possibile che la Germania possa seguire l’esempio della Repubblica di Venezia, unica tra gli Stati italiani del Rinascimento a mantenere un certo benessere e una certa importanza nel contesto europeo degli Stati nazione in formazione, dopo la mancata unificazione della penisola nel ‘500. Ma non si tratta di un’ipotesi ottimista: le capacità e le risorse non basteranno alla Germania a lungo, proprio come non bastarono al piccolo Stato veneto. E’ necessario qualcosa di più: la potenza è legata anche alla dimensione e ai numeri. I tedeschi non riusciranno a riempire abiti troppo grandi per loro. Il mondo è diventato globale e a governare sono i giganti continentali. Senza poter incidere in modo significativo sulle scelte strategiche in campo finanziario, ambientale e industriale, la Germania si troverà a competere da sola in una partita dove le regole del gioco saranno sempre fatte dagli altri.

E’ triste osservare la maggioranza dei politici tedeschi rimanere ignara dei limiti dello Stato nazionale. I pochi che se ne accorgono si rifugiano nell’alibi che per questo esiste l’Unione europea e che da sempre la Germania si batte per farle giocare anche un ruolo di spicco nella politica internazionale. Ma non si tratta di risposte convincenti. La realtà dei fatti dimostra che la Germania è ancora indecisa e nel frattempo sta giocando un doppio ruolo. Là dove la dimensione europea è indispensabile, come nella politica commerciale ed ambientale, Berlino si comporta da brava europeista; invece quando è il momento di fare scelte coraggiose e più profonde – si pensi alle possibili iniziative dopo il No irlandese al Trattato di Lisbona – i politici tedeschi si attestano su posizioni vaghe, chiedono pause di riflessioni e ribadiscono che bisogna andare avanti tutti insieme. Costantemente viene recuperata in parallelo una strategia nazionale, essendo questa dimensione, per quanto inadeguata, l’unica a disposizione per cercare di dare ancora qualche risposta alle sfide in corso. Insomma l’Europolitik della Germania consiste nel consolidare l’Unione a ventisette, ma anche nel garantirsi margini di autonomia e indipendenza per tutte quelle circostanze in cui le istituzioni di Bruxelles non funzionano.

Ora si dirà che bisognerà anche capire il punto di vista dei tedeschi. Come si può chiedere ad una nazione efficiente e ricca come la Germania, la quarta economia mondiale, di accodarsi a dei vicini più deboli e non sempre affidabili, all’interno di istituzioni, quelle europee, che funzionano male? Ma non è questa la nostra richiesta. L’invito che si rivolge alla Germania e a tutta la sua classe politica è un ritorno alla responsabilità e a quel coraggio che avevano caratterizzato il paese negli anni che seguirono il crollo del muro e la creazione dell’Euro. La Germania, data la sua forza, la sua posizione e il suo ruolo in Europa, è l’unico Stato, ancora più della Francia, ad avere la capacità di mettere in moto quella reazione a catena che porti gli europei a vincolarsi reciprocamente in un legame politico e quindi in uno Stato. Solo la Germania, insieme con la Francia, può creare quel nucleo duro che come una calamita attiri tutti gli altri paesi europei, in primis l’Italia, nella creazione degli Stati Uniti d’Europa. Certo ci vuole molto coraggio e soprattutto intelligenza politica. Ma la suggestione di poter bastare a se stessi, anche senza l’Europa, è un miraggio. Questa crisi finanziaria ha dimostrato l’interdipendenza indissolubile del sistema europeo e la fragilità di tutti i singoli Stati, perfino di quello tedesco. Bisogna comprendere che, per quanto più lentamente, anche la Germania, senza l’Europa unita, è destinata alla decadenza.

Tornando alla campagna elettorale per le prossime elezioni, al momento non si può che rimanere delusi. Né la Merkel, né Steinmeier, candidato SPD, hanno detto qualcosa di rilevante rispetto alle tematiche europee. Sfogliando i loro programmi si scorgono poche differenze. Entrambi vogliono ripartire dal Trattato di Lisbona per consolidare l’Unione a ventisette. Mentre i socialdemocratici vagheggiano la necessità di un’Europa anche sociale, la CDU ricorda quanto sia più importante estendere l’unione ai Balcani piuttosto che alla Turchia. Insomma non c’è nessun progetto di lungo respiro, nessun desiderio di essere protagonisti di una svolta. E’ vero che la strada verso il 27 settembre è ancora lunga e che sicuramente i politici tedeschi parleranno più nel dettaglio della questione europea: e allora chissà che queste voci che chiedono gli Stati Uniti d’Europa non possano arrivare a bussare anche alle loro orecchie.

 

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