Di fronte alla prospettiva della loro definitiva marginalizzazione a livello internazionale, resa sempre più concreta dagli squilibri di potere economici e militari che si vanno delineando a livello mondiale fra Stati di dimensioni continentali (USA, Russia, Cina), e Stati più piccoli, la Francia e la Germania hanno ultimamente reagito con tre iniziative: il rilancio del patto franco-tedesco; le proposte congiunte in seno alla Convenzione europea; la ricerca di una posizione comune di fronte alla crisi USA-Iraq. Vediamo di analizzare brevemente le prime due, rimandando all’editoriale (la lettera aperta ai Sei), per una interpretazione della terza.

1) “La nostra ambizione è quella di rifondare l’Europa”, ha annunciato Chirac (Le Figaro, 200103). Per questo il 22 gennaio è stato solennemente presentato a Versailles il nuovo Trattato di cooperazione bilaterale franco-tedesco, alla presenza dei due parlamenti riuniti in sessione straordinaria. Un atto che, oltre ad avere un forte significato simbolico – a Versailles erano state umiliate la Francia della guerra franco-prussiana e la Germania della prima guerra mondiale – segnala una svolta nei rapporti europei. Qualcosa di analogo era già accaduto nell’Europa dei Sei nel 1963, quando il Generale De Gaulle ed il Cancelliere Adenauer sottoscrissero il Trattato dell’Eliseo all’indomani dell’annuncio del veto francese all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea. Dopo quarant’anni, nonostante l’elezione diretta del Parlamento europeo e la creazione della moneta unica, la Francia e la Germania non hanno ancora risolto il problema della reciproca integrazione, e per questo hanno deciso, secondo l’espressione coniata da Chirac, di intraprendere la strada verso un destin maîtrisé,con l’obiettivo di creare una véritable union fra i due paesi. Le formule proposte per percorrere questo cammino vanno da un maggior coordinamento dei lavori dei rispettivi parlamenti e governi, ad un approfondimento della collaborazione nel campo della politica estera e di sicurezza, all’istituzione di un servizio civile internazionale franco-tedesco ecc. Come si vede, sul piano psicologico Francia e Germania sono proiettate verso una fusione delle società, delle culture, delle economie e delle politiche. Tutto ciò è apparentemente in contrasto con i ripetuti omaggi e richiami alla necessità di dotare l’Europa intera, e non solo una sua parte, di istituzioni adeguate per metterla in grado di affrontare con successo le sfide di fronte alle quali si trova. Ma forse la Francia e la Germania incominciano seriamente a dubitare che l’Europa dei quindici o dei venticinque-ventisette possa davvero diventare, in tempi ragionevoli, più coesa e solidale di quanto non lo sia ora. Tuttavia è pensabile una fusione dello Stato francese con quello tedesco al di fuori di una struttura federale? In verità, se intendono seriamente proseguire il cammino intrapreso, Chirac e Schröder dovranno prima o poi fare i conti con lo stesso problema che hanno deciso, con la proposta comune di riforma rivolta alla Convenzione europea, di accantonare a livello di Unione europea: quello di fare uno Stato federale. E a quel punto la loro risposta deciderà definitivamente del destino non solo dei due paesi ma dell’Europa stessa.

2) L’impotenza è il destino che Francia e Germania prevedono per l’Europa dei quindici e dei venticinque. Questo è quanto traspare dalla proposta di compromesso confederale presentato alla Convenzione europea. Preannunciando le grandi linee del compromesso sull’elezione ed il ruolo delle presidenze della Commissione e del Consiglio e su altri dettagli che non intaccano la sovranità degli Stati membri, Chirac e Schröder hanno implicitamente confermato di non credere nel potere taumaturgico della Convenzione, alla quale, per usare un’espressione spregiativa, ma significativa, dell’Economist (180103), hanno dato in pasto l’ennesima frottola (fudge). Come ha commentato Le Monde (220103), la dichiarazione solenne franco-tedesca “riflette l’attuale difficoltà degli europei di accettare un salto qualitativo nella loro integrazione”. Si tratta di uno sviluppo dei fatti prevedibile per i federalisti, visto che, come aveva intuito Spinelli, un vero dibattito costituente potrà svilupparsi solo quando “gli Stati disposti ad accedere al principio della limitazione parziale della sovranità, ed essi soli, accettino di convocare un’apposita Assemblea europea per la redazione del patto di unione federale” (Novembre 1950, ripubblicato nei Quaderni del Dibattito Federalista del MFE, n. 1, 2002). Il fatto è che nonostante i solenni richiami all’unità europea e oltre cinquant’anni di processo di integrazione economica e politica, non siamo ancora giunti a quel punto. Oggi la volontà e l’iniziativa franco-tedesca, pur cogliendo le difficoltà a cui va incontro l’Europa, si limitano ancora a proporre una cooperazione rafforzata a due in un’Unione che, nelle parole di Chirac, “allargata a 25 nel 2004 e successivamente a 27 nel 2007, sarà più ricca di diversità, ma anche necessariamente più pesante e meno omogenea. Essa difficilmente potrà affermare la propria coesione e difendere esternamente i propri interessi comuni”. Proprio per questo, prosegue Chirac, “la Germania e la Francia hanno la responsabilità, in quanto nazioni fondatrici del progetto europeo, situate per la loro posizione geografica e per il loro peso specifico, al centro della nuova Europa, di definire insieme i compromessi attraverso i quali l’Europa può rafforzare le sua coesione e la sua capacità d’azione, e determinarne l’avvenire ”. Certo, ha ammesso Chirac, “le forze congiunte della Germania e della Francia non possono sempre essere sufficienti per superare le difficoltà che l’Europa troverà sulla sua strada” ma, così ha proseguito, “l’esperienza prova che nessun progetto europeo ha delle possibilità di successo quando la Francia e la Germania non lo appoggiano insieme con determinazione”. (Rheinischer Merkur, 150103).

In quale quadro muoversi allora per superare questa contraddizione? Evidentemente in un quadro ristretto ma più realistico, integrando l’esperienza e la coesione franco-tedesca con l’ idée de groupe pionnier, ricorda Chirac nella già citata intervista a Le Figaro, la sola che “permette a un certo numero di paesi, e questo è ancora più vero a venticinque che a quindici, di procedere più spediti e andare più lontano, in politica estera o in altri campi. Guardate l’euro, che non è la moneta di tutti i Quindici, o Schengen, che non coinvolge tutti i paesi. Il gruppo dei paesi pionieri comprenderà tutti quelli che sono pronti a fare di più. Tutti quelli che decidono di andare in questa direzione devono potersi integrare se possono e vogliono”. Certo il coeur du groupe pionnier, come ha ribadito Chirac nel discorso pronunciato il 22 gennaio a Versailles, continuerà ad essere costituito dalla Francia e dalla Germania. Ma a questo punto, per coerenza, Chirac e Schröder dovrebbero far subito loro il progetto di Federazione tra Francia e Germania aperto agli altri paesi, proposto dai rispettivi Commissari europei Lamy e Verheugen (Süddeutsche Zeitung, 210103). Il problema è che l’alleanza franco-tedesca non potrà sciogliere questo nodo fino a quando non si porrà nell’ottica di coinvolgere davvero gli altri paesi fondatori in un progetto federale.

Nel complesso questi orientamenti prefigurano lo sviluppo della lotta europea nei prossimi anni in un nuovo quadro, sia per i governi e le forze politiche dei paesi europei, che per i federalisti. Sapranno i primi influenzare la politica di coesione franco-tedesca verso uno sbocco federale? Come potranno i secondi stimolare l’andamento e l’esito di questa lotta? Il tentativo dell’Italia di ritagliarsi uno spazio in questi nuovi equilibri rilanciando il ruolo storico dei Sei, come hanno fatto il Presidente Ciampi, il Vice-Presidente della Convenzione europea Amato, il Vice-Presidente del Consiglio italiano Fini ed il Ministro degli Esteri Frattini, seppure ancora solo sul piano intergovernativo delle cooperazioni rafforzate, conferma l’urgenza di intensificare l’azione federalista sul terreno della richiesta dello Stato federale ai paesi fondatori. Quanto più quest’azione si articolerà e svilupperà in Italia e nei Sei paesi fondatori, tanto meglio sarà per il successo della lotta per la Federazione europea e per la credibilità del ruolo del Movimento.

 

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