L’Unione Europea, giudicata sul piano strettamente economico, dovrebbe avere radici nella teoria dell’Area Valutaria Ottimale elaborata dal Premio Nobel Robert Mundell, secondo cui le condizioni per la realizzazione dell’unione sono: una valuta comune (cambi fissi e irreversibili all’interno dell’area); politica monetaria comune; flessibilità e mobilità del fattore capitale; flessibilità del fattore lavoro (intesa sia come flessibilità del salario, sia come mobilità dei lavoratori); politica fiscale federale.

Negli indirizzi di massima per le politiche economiche (IMPE) adottati nel 2002 era stata presentata e confermata la strategia di politica economica intesa a contribuire al conseguimento degli obiettivi fondamentali enunciati nel Trattato e nell’agenda politica dell’Unione, concordata dal Consiglio europeo a Lisbona ed a Stoccolma, secondo cui per il 2010 l’Ue si dovrebbe collocare all’avanguardia nel settore della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. Politiche macroeconomiche, combinate con i continui sforzi volti a potenziare il funzionamento delle economie dei paesi membri, mediante vaste riforme sui mercati del lavoro, dei prodotti e dei capitali, dovrebbero contribuire a rafforzare la ripresa nel breve periodo, ad incrementare la crescita potenziale nel medio periodo e ad affrontare con successo i problemi strutturali e di sostenibilità a più lungo termine. In definitiva, queste politiche dovrebbero contribuire a rafforzare la coesione economica e sociale ed indirizzare l’Ue verso le condizioni che contraddistinguono l’Area Valutaria Ottimale.

Nonostante i progressi in alcuni settori, il quadro generale che ne deriva è piuttosto deludente. Guardando in prospettiva alla crescita dell’economia europea, l’aspetto che più deve preoccupare è la stagnazione sostanziale della produttività che si registra nella maggior parte dei paesi dell’Ue e in particolare nei maggiori fra essi (Italia, Francia e Germania). Nella misura in cui gli andamenti della produttività sono connessi soltanto con l’andamento del ciclo, si può ragionevolmente sperare in una sua ripresa. Ma le tendenze, sia assolute che relative, della produttività nell’Unione fanno intravedere abbastanza chiaramente un andamento strutturalmente insoddisfacente e non vi sono, attualmente, strumenti e strategie comuni di politica economica capaci di operare su questi fattori dal lato dell’offerta. Infatti, il coordinamento delle politiche di piena attuazione del Mercato interno, del mercato del lavoro e della fiscalità risentono in negativo degli interessi nazionali degli Stati, protetti dalla sovranità esclusiva nelle politiche economiche e di bilancio.

Il prossimo allargamento cambierà radicalmente i parametri del funzionamento degli strumenti di coordinamento delle politiche economiche. Tenuto conto del numero dei suoi membri e della diversità delle loro economie, l’Unione allargata dovrà affrontare questa nuova situazione con capacità rafforzate e con un nuovo modello econometrico.

Nell’ambito dei lavori della Convenzione si è discusso in merito al rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche in materia di crescita, competitività, occupazione, risparmio, investimenti e andamento della spesa pubblica a partire da proposte della Commissione, invece che da semplici raccomandazioni da cui il Consiglio può discostarsi a maggioranza qualificata. Inoltre, si è proposto che sia la Commissione a rivolgere un avvertimento allo Stato membro che si discosti dagli indirizzi di massima, e formulare proposte integrative, da cui il Consiglio potrebbe discostarsi soltanto all’unanimità.

Queste proposte possono, senza dubbio, nel caso in cui venissero accettate, essere considerate come un passo avanti verso le condizioni che contraddistinguono l’Area Valutaria Ottimale ma non possono essere considerate sufficienti per la piena attuazione del Mercato interno e per promuovere una crescita sostenibile. Inoltre, l’esperienza recente dell’incapacità o della mancanza di volontà di alcuni Stati di rispettare le posizioni di bilancio previste dal Patto di Stabilità e Crescita rafforza ulteriormente la tesi che solo la rinuncia, da parte dei singoli Stati, agli strumenti propri della politica fiscale ed economica, che in definitiva, rappresenta l’ultimo baluardo della sovranità nazionale, consente la trasformazione progressiva ed endogena in un’area monetaria ottimale. Pertanto, non avendo individuato nel coordinamento delle politiche economiche dei segnali che conducano a ritenere che tale processo endogeno si sia messo in movimento si può solo auspicare che tale trasformazione dell’Ue avvenga in conseguenza di decisioni scientemente prese dai paesi membri per completarla e rafforzarla.

In quest’ottica la nascita di uno Stato federale europeo rappresenta la risposta politica alle difficoltà di approfondimento dell’area valutaria ottimale, che sarà circoscritta ai soli paesi che aderiranno al nuovo Stato e non all’intera UME o Ue. Il problema della statualità e del quadro nel quale uno Stato federale europeo può nascere diventa così strategico. I sei paesi fondatori, come conseguenza della presenza di ordinamenti giuridici convergenti, della maggiore integrazione dei sistemi economici ed industriali, di una forte domanda interna integrata e di una maggiore coscienza europea delle proprie opinioni pubbliche hanno la responsabilità di prendere l’iniziativa di fondare il primo nucleo di uno Stato federale europeo aperto a tutti i paesi dell’Unione. Nucleo che sicuramente non rimarrebbe limitato ai Sei, ma si estenderebbe, presumibilmente in tempi rapidi, alla maggior parte dei paesi dell’Unione Monetaria.

 

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