Costretta a occuparsi di Europa, la Lega Nord propone la ridefinizione geografica dell'eurozona, basata su Francia, Germania, Benelux e “macroregione dell'Italia del Nord”. Ma dalla crisi si può uscire solo rafforzando l'Europa, non dividendola.

È stato un settembre “europeista” dalle parti di Via Bellerio, ma non nel senso che tutti noi potremmo sperare. La Lega Nord, il partito per l'indipendenza della “Padania”, ha lanciato già a metà agosto la proposta di un referendum nazionale incentrato sull'Unione europea, affinché i cittadini si esprimessero positivamente o negativamente sul processo di integrazione. Sulla scia delle polemiche seguite all'iniziativa, su tutte quella col presidente del Consiglio Mario Monti, il mese scorso i vertici del Carroccio hanno lanciato una nuova proposta, anch'essa incentrata sulle tematiche europee: la ridefinizione geografica dell'eurozona, basata su Francia, Germania, Benelux e, udite udite, la “macroregione del Nord”.

Si sta parlando, insomma, dei Sei ma “epurati” - nell'ottica leghista, chiaramente - del Centro e del Sud dello Stivale. Ciò sarebbe giustificato, stando alle parole del neosegretario Maroni, dalla necessità di un'eurozona “formata da Stati caratterizzati da fondamentali macroeconomici simili”. Si tratta, evidentemente, di un “cavallo di troia propagandistico” tramite il quale veicolare all'interno di una proposta fondata su un ragionamento prettamente economico - anch'esso peraltro passibile di critica, come vedremo in seguito - la main issue della Lega Nord presente all'art. 1 del suo statuto: la secessione del Nord Italia dal resto della penisola. Sembra di tornare ai primi anni '90, quando il vento secessionista spirava forte dall'Est, con la guerra nella ex-Jugoslavia, oppure con separazioni consensuali, come quella delle nascenti Repubbliche Ceca e Slovacca (nate dallo smembramento della Cecoslovacchia), già orientate all'entrata in Europa. Ecco che, quindi, la Lega Nord cerca di rilanciarsi, come partito di lotta antisistema. Ma contemporaneamente a questa nuova linea politico-comunicativa, Maroni conduce la svolta “bavarese” del partito. Si tratta insomma, di ispirarsi alla CSU, partito egemone nella regione cattolica della Baviera, portando la Lega a diventare un movimento regionale dominante su una base territoriale ben definita, ciò a confermare l'aleatorietà del termine “Padania”, buono solamente per gli urlacci di Pontida.

Il primo passo della novella “EuroLega regionale” è stato illustrato tramite il primo punto del manifesto presentato a Torino lo scorso 29 di settembre, che propone una “legge costituzionale” non meglio specificata per una “euroregione del Nord” nel contesto di una “Europa delle regioni” che superi gli Stati nazionali. ''Questa Europa non ci piace”, ha detto Maroni, “gli Stati nazionali hanno esaurito la loro spinta propulsiva. Dobbiamo istituirla costituzionalmente autoderterminata, abbiamo presentato una proposta di legge costituzionale che prevede questo''. Al di là dell'ambiguità di fondo che si evince dal riferimento costituzionale europeo immediatamente frenato dall'accenno all'autodeterminazione, che specialmente nella visione leghista non è mai stato conciliabile con il concetto di unità politica, è da notare quanto politicamente concreta sia la svolta “euroleghista”: nel corso del mese di ottobre la road map del segretario federale prevede tappe nelle principali capitali europee, finalizzate alla promozione di una “EuroLega” che si ponga criticamente nei confronti dell'UE ma che allo stesso tempo si differenzi dai partiti tradizionalmente euroscettici come quello di Marie Le Pen in Francia e di Geert Wielders in Olanda. Il tutto nel contesto del percorso politico che porterà il Carroccio, nella visione di Maroni, ad essere il perno di una coalizione “neo-europeista” per le elezioni europee del 2014.

Purtroppo per il Carroccio, gli anni ’90 sono passati da un pezzo. In questi 20 anni il mercato unico è cresciuto e, anche se le differenze regionali permangono, l'approccio dell'Unione è stato conciliativo dal punto di vista economico, tramite l'utilizzo dei fondi strutturali, e politico, tramite il Comitato delle Regioni (istituito proprio negli anni in cui Bossi urlava alla secessione), vitale per l'applicazione del principio di sussidiarietà e per la cooperazione delle regioni europee. La creazione di una “Europa delle regioni”, quindi, va contro tutto ciò che l'Europa è stata fino ad ora e contro ciò che intende diventare: una grande federazione che nei confronti delle autonomie locali rispetti il principio di sussidiarietà e promuova la cooperazione tra le regioni. Non bastasse, i “fondi di coesione economica e sociale”, comunemente noti come fondi strutturali destinati alle regioni, ammontano per il bilancio 2007-2013 ad un totale di circa 335 miliardi di euro e sono destinati proprio all'appianamento delle divergenze macroeconomiche sulle quali fa leva Maroni per proporre le soluzioni leghiste alla questione comunitaria. Soluzioni che, alla luce delle incoerenze appena evidenziate, appaiono evidentemente strumentali alla politica tradizionale leghista: una politica che, come scritto sui tutti i loro manifesti, guardi “prima al Nord” o nel caso dell'Europa, prima all'euroregione del Nord. Ciò nel contesto di un Europa divisa in tanti interessi particolaristici (ancor più di quelli nazionali!) a scapito dell'interesse generale dei 500 milioni di abitanti del continente, che intende il commerciante asturiano cittadino europeo tale e quale all'industriale bavarese o lombardo, con gli stessi diritti ed opportunità politiche fattuali. La situazione attuale non è chiaramente questa: chi nasce in Sicilia non gode della mobilità sociale né tantomeno del PIL procapite di un coetaneo viennese. Ma non sarà certo la “macroregione del Nord” a risolvere tali differenze, semmai le accentuerà, essendo la politica “regionalista” della Lega Nord ben diversa da quella “regionale” attuata dall'UE: se la prima divide, la seconda unisce e peraltro è l'unica che può salvare il continente (in tutte le sue zone, Nord Italia compreso) dalla grave crisi economica e sociale che lo attanaglia in questi mesi critici. Ecco perché, se davvero la Lega Nord intende tutelare gli interessi delle regioni settentrionali d'Italia, deve cambiare linea, promuovendo il proseguo dell'integrazione europea in ottica federalista e non come veicolo di pulsioni separatiste.

Questa non è l'ora della divisione, bensì dell'unità del Nord, del Centro e del Sud Italia per l'Europa federale.

 

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