I flussi migratori dal Nord Africa verso l’Italia hanno messo in luce una duplice impotenza: quella italiana e quella europea. Quella italiana riguarda l’incapacità di fronteggiare in modo razionale e civile un’emergenza annunciata e dalle dimensioni contenute, non certo superiore a casi già verificatisi più volte negli ultimi anni in Europa e anche nel nostro stesso paese. Sempre, quando una regione è scossa da rivolte o addirittura da guerre si generano ondate migratorie che creano pressione sui paesi vicini. La differenza tra un paese civile e industrializzato ed uno arretrato sta anche nella capacità di affrontare questo tipo di situazioni evitando che si creino tensioni esasperate e ulteriori sofferenze inutili: l’Italia è sembrata dimenticarsi di appartenere alla prima categoria e ha brillato anche per imperizia nei rapporti con i partner europei, generando sospetti e conflitti che hanno solo accresciuto le difficoltà. Ma se questa è la specificità del nostro paese, ormai paralizzato e incapace di affrontare in modo costruttivo qualsiasi tipo di problema, bisogna anche aggiungere che il vento del ripiegamento populistico sul proprio orticello nazionale sta soffiando in tutta Europa. Le recenti elezioni in Finlandia hanno offerto solo l’ultimo esempio degli effetti generati dalla paura e dall’insicurezza che i cittadini sentono di fronte alla crisi e a cui reagiscono rifiutando l’idea di costruire una solidarietà più ampia e non riuscendo più ad immaginare un futuro di apertura verso il resto del mondo e di cooperazione.

Che responsabilità ha l’Europa in tutto questo? Nessuna, nella misura in cui l’Europa non è un’entità politica capace di prendere decisioni e di agire, ma è solo un’organizzazione che deriva dagli Stati che la compongono tutti i suoi poteri e tutte le sue competenze. Sono gli Stati che si sono rifiutati sinora di dotare l’Europa dei poteri necessari per svolgere funzioni politiche e che hanno voluto mantenete le competenze in materia di politica estera, di sicurezza, di immigrazione, di fiscalità, esclusivamente a livello nazionale. Chiamare la solidarietà “dell’Europa” quando si è contribuito a costruire un’Unione europea impotente e strutturalmente incapace di intervenire a sostegno di un paese membro quantomeno disonesto. Ma un problema reale esiste, e riguarda proprio il fatto che in questa situazione i singoli Stati sono sempre più inadeguati rispetto alle sfide poste dal mondo globale, e avrebbero effettivamente bisogno di affrontarle insieme a livello europeo; ma l’egoismo di ciascuno si fa sempre più forte e le tentazioni nazionalistiche riemergono in modo prepotente, bloccando ogni rafforzamento del legame europeo.

La risposta sarebbe dunque semplice: la ricerca della soluzione dei problemi che dobbiamo affrontare – dalla gestione dei flussi migratori, destinati a crescere, all’uscita dalla crisi economica e alla ripresa della crescita, fino alle questioni della sicurezza – parte dalla capacità di costruire una vera Unione europea, uno Stato federale a livello europeo. Questa dovrebbe essere la priorità di un paese come l’Italia, che fuori dall’Europa non ha futuro; invece di scherzare col fuoco, dando addirittura vita ad un dibattito senza senso sull’ipotesi di uscire dall’Unione, dovrebbe impegnarsi per farla diventare una realtà politica, e riacquistare in questo modo la propria dignità.

 

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