L’Italia di oggi offre meglio di altri Paesi il quadro della crisi in cui versano e sprofondano gli Stati nazionali europei, l’immagine di una decadenza che solo la creazione di una vera unità politica a livello europeo potrà invertire. Il nostro paese infatti, al di là delle specificità, sia positive che negative del “sistema Italia”, tende ad anticipare gli altri Stati dell’Unione soprattutto per quanto riguarda gli effetti sulla coesione sociale e sulla tenuta democratica legati all’inadeguatezza del quadro politico nazionale rispetto alle sfide poste dai processi mondiali.

A partire dall’ultimo dopoguerra l’Italia è stata capace di vivere una fase di grande progresso economico e civile, che l’ha portata a diventare – dopo trent’anni di dittatura fascista – uno dei paesi europei più avanzati. Questa crescita è stata possibile grazie al contesto culturale e politico essenzialmente positivo maturato attraverso l’esperienza della Resistenza, che ha radicato in larga parte della popolazione e della classe politica un’idea condivisa e democratica di bene comune, che ha guidato in particolare la classe politica della costituente e il governo di unità nazionale. E’ stato così possibile fare alcune scelte difficili, ma giuste, che hanno permesso di modernizzare il paese, avviando la crescita industriale, realizzando le grandi conquiste sociali, con l’obiettivo di garantire alle future generazioni benessere e pace.

Soprattutto, una volta definita la propria posizione nel blocco democratico occidentale, l’Italia ha saputo comprendere più di altri l’importanza storica della integrazione europea. Essendo il paese che aveva dato origine al federalismo europeo con Altiero Spinelli, l’Italia è stata protagonista sin da subito del progetto di unificazione, facendo scelte e proposte coraggiose, come il progetto De Gasperi sulla Comunità Politica Europea, l’adesione alla proposta della difesa unica e, successivamente, con la firma dei Trattati di Roma. Molti politici italiani e la maggioranza dell’opinione pubblica capivano come il progetto dell’unificazione europea sarebbe stato la naturale conseguenza del Risorgimento e della fondazione della Repubblica, almeno nella prospettiva patriottica e democratica che ne aveva dato Mazzini. L’Italia fu quindi capace, fino alla fine degli anni Ottanta, pur nelle sue croniche debolezze, di guidare insieme a Francia e Germania il processo di unificazione, spesso facendo da polo stabilizzatore rispetto all’asse francotedesco.

Se è vero che la Repubblica italiana seppe vincere alcune sfide fondamentali, dalla scolarizzazione alla lotta al terrorismo, da una maggiore solidarietà sociale al boom economico, è anche vero che altri problemi gravissimi non furono neanche affrontati. E’ il caso del devastante fenomeno della criminalità organizzata, che fu anzi usata dai partiti di governo in senso anticomunista specialmente nel Sud. Ma sono soprattutto la difficoltà a superare un’atavica arretratezza culturale e la mancanza di una diffusa coscienza civica, che sfociano poi nella “mentalità del furbo”, ad indicare il primo e forse più grave limite del paese. Si tratta di una sorta di modus vivendi che caratterizza il politico, come l’imprenditore o l’impiegato. Una mentalità che probabilmente non è propria della maggioranza della popolazione, ma che è abbastanza condivisa da generare la diffusa corruzione della politica, la gigantesca evasione fiscale, l’abusivismo edilizio e tutte quelle zavorre che impediscono al paese di esprimere le sue grandi capacità e qualità. Il problema di questa mentalità, essenzialmente mafiosa, non è facile da superare, e richiederà il tempo di alcune generazioni. Soprattutto, si tratta di una crescita civile che sarà possibile solo se esisterà una vera dimensione politica europea che possa esigere dal nostro paese standard di trasparenza politica e di educazione civica, a cui tutti noi dovremmo tendere. Insomma la Federazione europea potrebbe giocare per l’Italia riguardo ai suoi limiti cronici, lo stesso ruolo che ha giocato la Federazione americana per l’Alabama o la Louisiana nell’emancipazione dal razzismo e dall’apartheid.

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La situazione negli anni Novanta è cambiata profondamente in seguito alla trasformazione del quadro internazionale. Il crollo dell’Unione Sovietica ha determinato la fine di quegli equilibri politici che avevano governato il paese per quarant’anni. Alcune conseguenze sono state il crollo dei partiti storici, per un esaurimento ideologico come nel caso del PCI, o perché travolti dallo scandalo di Tangentopoli come nel caso della DC o del PSI; la possibilità della fine dell’“utilità storica” della mafia e l’inizio di una faticosa e lenta soppressione del fenomeno; la necessità di una maggiore serietà politica, fiscale ed economica in vista dell’adesione alla moneta unica. Ma al tempo stesso, con la fine della guerra fredda che comportava, per l’Italia, l’appartenenza al blocco occidentale e che garantiva, in un certo senso, la continuità del processo di integrazione europea – e che quindi offriva anche, da un lato, sicurezza ed occasioni di sviluppo, dall’altro imponeva una serie di riforme e miglioramenti costanti al sistema sociale ed economico italiano – la fragilità del paese e le sue contraddizioni sono apparse più evidenti. In particolare, è la crisi che attraversa, in questo nuovo quadro internazionale, il progetto di integrazione europea a privare l’Italia di una concreta prospettiva di sviluppo economico e sociale e della spinta a quelle riforme necessarie per garantire un reale progresso politico e civile. E’ venuto meno in qualche modo lo “Streben” cioè la tensione a migliorare, che invece la sfida dell’unità europea può garantire, esigendo livelli stabili di serietà ed affidabilità. In un contesto europeo sempre più confuso e instabile i limiti e i problemi cronici del “sistema paese” emergono sempre di più e lo zavorrano.

In particolare gli ultimi vent’anni hanno visto sorgere nuove emergenze e contraddizioni: le difficoltà a rientrare dall’enorme debito pubblico accumulato, la scarsa competitività delle grandi imprese, la crisi dello Stato sociale, tamponata tagliando fondi a sanità e scuola, il fenomeno dell’ immigrazione clandestina con le tensioni sociali che ne sono derivate. Ma è soprattutto sul piano politico che l’Italia soffre oggi un degrado bipartisan. All’estrema sinistra proliferano ancora partiti radicali del tutto privi di realismo, ancorati a categorie massimaliste che li conducono essenzialmente a un cieco conservatorismo. La sinistra riformista tenta con difficoltà di trovare una sua identità in un mondo postideologico, rimanendo confinata in un’angusta mentalità nazionale, dimenticandosi completamente della dimensione europea. A destra troviamo l’inquietante diffondersi della demagogia, del populismo coronato dall’ affermarsi del Fuehrer Prinzip antidemocratico. Ancora più a destra infine un movimento che ha inteso il federalismo al contrario, cioè per disfare gli Stati e non per unirli e soprattutto imbevuto di xenofobia e di cieco localismo. Anche progetti di per sé positivi, come la piena applicazione dell’articolo 5 della Costituzione o l’affermazione di un modello bipolare che renda possibile la “democrazia dell’alternanza” faticano a concretizzarsi per l’estrema debolezza del sistema politico e delle forze che lo compongono. Inoltre la crisi politica, sociale ed economica comporta una nuova crescita dei problemi cronici, come il rapporto sempre più stretto tra mafia e istituzioni, o il sorgere di nuovi, come il dilagare della xenofobia, il controllo dei mezzi di comunicazione da parte della politica e la crescita spaventosa delle morti bianche.

Se la democrazia e la società italiana sono oggi in crisi non è solo colpa dei vari leader o dei partiti più estremisti. Questi sono soprattutto un prodotto della crisi politica, che a sua volta dipende dall’assenza di prospettive e di slanci nuovi. Sotto questo profilo, la questione decisiva è sicuramente la battaglia per l’unificazione europea. Che non significa che se l’ Europa fosse unita tutti i problemi italiani sarebbero risolti. Ma che certamente permetterebbe di superare molte difficoltà: dalla crisi economica dovuta ai limiti intrinseci del sistema nazionale, alla crisi sociale, dovuta alla mancanza di risorse per il welfare state, alla crisi democratica che è sempre presente dove le istituzioni non sanno dare risposte ai cittadini.

Contrari ad ogni catastrofismo, che sempre nemico del realismo politico, bisogna comunque riconoscere che l’Italia ha delle risorse e qualità notevoli, spesso uniche nel quadro europeo, e tra queste spicca in particolare proprio la diffusione dell’europeismo tra i cittadini e la classe politica. Già nel passato il paese è stato capace di slanci e trasformazioni incredibili, là dove era chiaro l’obiettivo del bene comune, come l’adesione alla moneta unica. Bisogna allora confidare nelle nostre capacità di italiani e di europei, che in barba ai pregiudizi e alle difficoltà, hanno saputo tante volte stupire. Il grande ruolo che può avere oggi l’Italia è quello di fungere da federatore, come voleva De Gasperi, come voleva Spinelli, come voleva Einaudi. “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. Gli Stati europei sono polvere senza sostanza... Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire.”

 

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