Dopo l’ Unione europea, il MERCOSUR è il secondo grande processo di integrazione economica tra paesi sovrani oggi in atto. Tale percorso, iniziato con il Trattato di Asunción nel 1991, affonda le sue radici nell’alleanza strategica tra Argentina e Brasile. E’ pertanto dalla loro relazione che dipende il futuro dell’integrazione del continente sudamericano come blocco regionale.

Negli ultimi mesi le relazioni tra i due paesi sono abbastanza tese, nonostante la retorica ufficiale continui ad affermare la volontà di proseguire verso una maggiore integrazione. La causa principale delle tensioni è l’evidente squilibrio di potere politico-economico esistente tra i due che dà al Brasile un ruolo decisamente privilegiato (a tratti con aspirazioni di egemonia regionale). Buenos Aires, per non perdere influenza nel determinare il futuro della regione, ha cominciato una guerra commerciale fatta di restrizioni sulle importazioni brasiliane e di annullamento delle linee di investimento alle sue compagnie estrattive. Per capire i motivi di questi passi indietro di oggi, e per intuire quali saranno i passi in avanti, bisogna analizzare la situazione dei due paesi e le ragioni politiche strategiche a base dell’integrazione.

Il Brasile, gigante della regione sudamericana, reclama con la forza dei suoi numeri un ruolo di primo piano internazionale. Però un paese pur di dimensioni continentali ma con forti squilibri regionali e sociali ha bisogno di  un robusto sviluppo economico per sostenere qualsiasi tipo di politica redistributiva scelga di adottare e per raggiungere il pieno impiego. E questo sviluppo è possibile solo con un mercato regionale aperto e integrato. E’ questo il presupposto su cui si è costruito il discorso politico integrazionista che trova il consenso trasversale di partiti, sindacati e industriali. Il secondo motivo che trova consenso quasi unanime è legato ad una questione di politica estera: l’integrazione latino-americana come mezzo di lotta contro l’imperialismo statunitense. Per gli operatori economici brasiliani è ancora vivido il ricordo dell’apertura del loro mercato alla competizione estera: inondazione di prodotti importati e catene di fallimenti industriali.

L’America “spagnola”, nella visione brasiliana, è l’area di riferimento commerciale capace di assorbire l’85 % delle sue esportazioni manifatturiere che hanno raggiunto i 35 mld di dollari nel 2010. In un documento del 2012, la FIESP (la potente Federazione degli industriali di San Paolo) ha descritto il processo d’integrazione come “un processo di rottura con una storia di cinque secoli di sottomissione dei nostri interessi nazionali alle potenze straniere”. Al tempo stesso è nell’area delle infrastrutture che si concentra l’esigenza di sviluppo industriale della regione, ed è esattamente in questo settore che il Brasile esercita la sua volontà di autonomia geopolitica e di espansione del proprio capitale. Le necessità infrastrutturali della regione sono immense; un solo esempio: in Brasile la produzione di grano è aumentata del 220 % negli ultimi vent’anni, ma la rete ferroviaria e stradale è rimasta la stessa. Risultato: l’aprile scorso un incidente stradale ha bloccato la statale BR 364 che porta al terminal ferroviario collegato con il porto di Santos. In poco tempo si è formata una coda di più di 100 km di soli camion e si è accumulato un ritardo di 60 giorni nell’esportazione del prodotto. Il problema è che i piani di costruzione delle infrastrutture sono tutti falliti per mancanza di soggetti privati capaci di sostenere lo sforzo economico, anche se c’era il sostegno del BID (Banco interamericano di sviluppo). Solo quando il governo brasiliano si è impegnato direttamente si è riusciti a raggiungere una discreta percentuale di progetti approvati e avviati. Lo strumento di finanziamento utilizzato è il BNDES, la Banca di sviluppo nazionale più grande del mondo, capace di erogare 100 mld di dollari di finanziamenti contro i 40 della Banca mondiale. Attraverso questa istituzione il Brasile riesce a garantire la costruzione nei tempi e modi dettati da Itamaraty (l’influente Ministero degli esteri brasiliano che assiste le imprese nei processi d’internazionalizzazione); ma – regola stabilita nello statuto – i fondi possono essere concessi solo ad imprese brasiliane.

Il Brasile dunque riconosce l’esigenza dell’integrazione regionale come strumento di sviluppo economico, ma, per evitare che questa aspirazione assuma connotati egemonici, deve basarsi sulla costruzione d’istituzioni sovranazionali che solo i soci “latini” possono imporre al Brasile. Tra questi l’unico paese della regione che può almeno tentare di essere portavoce di quest’esigenza (per dimensioni geografiche, risorse minerarie ed economiche) è l’Argentina.

L’Argentina, per uscire dalla gravissima recessione del 2001-2003, ha puntato sul ridare potere d’acquisto alle classi medio-basse attraverso politiche di sussidi sui servizi essenziali e assegni di spesa. Gran parte di questi programmi sono pagati da royalties (anche del 30%) imposte sulle esportazioni di commodities come grano, soia e petrolio. Ciò ha accentuato sia la dipendenza del paese dalle fluttuazioni dei prezzi internazionali, sia la bassa diversificazione dell’economia. Il paese a distanza di dieci anni non ha ritrovato la fiducia nel proprio sistema finanziario, considerato ancora solo uno strumento di accumulazione incapace di drenare risorse per investimenti nella produzione. Per questo motivo è ancora costume cambiare i propri risparmi da pesos in dollari statunitensi per tesaurizzarli o esportarli in conti correnti all’estero. La mancanza di fiducia nella propria moneta, le continue tensioni sindacali per l’aumento dei salari, l’aumento dei prezzi internazionali delle commodities e il finanziamento del debito tramite l’emissione di nuova moneta si traduce in una inflazione del 25 % (mai riconosciuta dal governo perché aiuta a ridurre lo stock di debito pubblico) che erode il potere d’acquisto e l’accumulazione di capitale per investimenti. Il governo vorrebbe stimolare la creazione di un’industria nazionale e autonoma proteggendole con barriere doganali e dazi per stimolare la sostituzione delle importazioni, con il fine non secondario di continuare a garantirsi il surplus commerciale. La politica della Casa Rosada è purtroppo l’eredità di più di trenta anni di smantellamento del settore industriale strategico pesante per mantenere un’economia dipendente dalle esportazioni di prodotti a basso contenuto tecnologico, appannaggio di poche grandi famiglie. Per ricostruire un’industria nazionale di livello tecnologicamente autosufficiente ha bisogno di un grande mercato di sbocco e del sostegno finanziario e tecnologico che solo il suo grande vicino può fornire. Infatti uno dei settori in cui si è verificato un certo livello di integrazione con il Brasile (regolato da uno speciale protocollo) è nel comparto della produzione automobilistica che ha permesso ad entrambi i paesi di mantenere alti livelli di esportazioni e di sviluppo.

Le tensioni commerciali cominciano a farsi sentire tuttavia proprio per la mancanza di coordinamento della politica economica nei due paesi: il Brasile promuove sviluppo e concorrenza mantenendo una moneta forte e un tasso d’inflazione basso per garantire la formazione del risparmio e fare in modo che le importazioni di prodotti stranieri siano di stimolo al miglioramento della produzione interna. Poi, come si diceva, l’industria e la costruzione di infrastrutture strategiche nel suo complesso è sostenuta dal BNDES con linee di finanziamento a tassi molto bassi. Diametralmente opposta è invece la politica economica argentina che, nonostante abbia una moneta svalutata rispetto al real e quindi con con prezzi nominali competitivi per l’export in Brasile, a causa della sua inflazione troppo alta ha prezzi reali incapaci di competere. Inoltre le esportazioni argentine sono costituite quasi tutte da prodotti a basso valor aggiunto, al contrario di quelle brasiliane.

L’integrazione economica purtroppo è stata pensata senza prendere in considerazione al necessità di una integrazione politica basata su istituzioni sovrane indipendenti dai governi nazionali. I nodi da risolvere sono due: il primo è riequilibrare il potere contrattuale in sede di trattative tra Brasile e Argentina, attraverso alleanze strategiche di questo paese con altri vicini. Il secondo punto è come effettuare queste cessioni di sovranità e con quali fini. Ciò che serve loro è l’esempio dell’unica area del mondo, l’Europa, dove questo processo è iniziato senza però giungere ad un risultato stabile. Se non si fa l’Europa unita mancherà il necessario modello che evidenzia come l’integrazione economica possa essere solo una tappa. Senza una vera Europa politica e federale, il Brasile comincerà a vedere il Mercosur ed il resto dell’America latina come un’area da egemonizzare mentre l’Argentina non avrà alcun modello a cui far riferimento sul tavolo delle trattative per chiedere una integrazione economica equilibrata. 

 

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