Dopo una lunga trattativa tra l'Unione Europea e la Turchia è stato raggiunto in occasione del Consiglio Europeo del 18 marzo l'accordo (Piano di Azione Comune o JAP) sulla gestione dei flussi di migranti che, passando dalla Turchia, cercano di raggiungere le coste della Grecia. Lo scopo dell'accordo è quello di limitare l'arrivo dei migranti sulle spiagge greche e cercare di esternalizzare il problema dei profughi in Turchia.

Secondo le disposizioni di questo accordo, a partire dal 20 marzo tutti i migranti irregolari arrivati in Grecia dalla Turchia o coloro che non hanno visto accettata la domanda d'asilo verranno rimandati in Turchia e l'UE si farà carico delle spese di rimpatrio. 
In più, per ogni cittadino siriano che verrà rimandato in Turchia, l'UE si impegna ad accogliere un altro rifugiato siriano ospitato in Turchia che non abbia tentato di entrare irregolarmente nel suolo europeo. 
In questo modo la Turchia diventa il gatekeeperdei confini europei e si impegna a scoraggiare la nascita di ulteriori rotte di migrazione verso la Grecia.  

In cambio di questo impegno il governo di Erdogan ha però posto un "prezzo"; in primo luogo l'UE si impegna ad accelerare l'erogazione dei 3 miliardi di euro alla Turchia (promessi in estate) al fine di realizzare progetti di accoglienza dei migranti presenti sul suolo turco. All'esaurirsi dei 3 miliardi l'UE, se necessario, si impegna ad erogarne altri 3 entro il 2018. 
Inoltre l'UE si impegna a completare entro giugno del 2016 il processo di liberalizzazione dei visti in modo da abolire l'obbligo del visto per i cittadini turchi che si recono nei paesi dell'UE.
La parte più rilevante dell'accordo riguarda invece la possibilità dell'adesione della Turchia nell'UE; oltre ad accelerare le trattative sull'unione doganale infatti, le parti (ed in particolare l'UE) si impegnano ad andare avanti sul processo di adesione a partire da aprile e "a ritmo accelerato". Non sono mancate diverse critiche nei confronti dell'Accordo; da una parte c'è chi sostiene infatti che quantomeno è increscioso che l'Europa sia dovuta scendere a patti con la Turchia di Erdogan che al momento non appare affatto come un esempio di leader democratico rispettoso dei diritti umani. In più ad aumentare le remore vi sono le critiche verso l'atteggiamento ambiguo avuto dalla Turchia nei confronti dell'ISIS e dei curdi siriani impegnati a combatterlo.
Altra osservazione possibile è che il JAP non arresterebbe i flussi migratori ma costringe i migranti a cercare nuove rotte, magari più costose e più pericolose.
Ulteriori critiche riguardano invece i contenuti stessi del JAP. In primo luogo risulterà difficile effettuare in breve periodo, come auspicato dal testo dell'accordo, i controlli necessari per la verifica delle condizioni di idoneità delle richieste d'asilo: ciò perché le operazioni di identificazione si rendono complesse in un contesto di mancanza di documenti, documenti falsificati e minori non accompagnati (oltre ai problemi legati alla scarsezza del personale incaricato a farlo). Ulteriore critica che si può muovere riguarda il fatto che l'accordo preveda disposizioni di accoglienza per i profughi siriani, ignorando il fatto che (seppur in percentuali minori) la rotta balcanica ha visto anche la presenza di migranti provenienti da Iraq e Afghanistan , stati le cui condizioni interne non possono certo essere definite pacifiche e per cui risulta difficile negare la legittimità di una richiesta d'asilo.  
Il numero di rifugiati siriani che l'Europa si impegna ad accogliere sembra essere piuttosto ridotto rispetto all'entità del fenomeno. Di fatto i paesi europei si impegnano ad accogliere 18000 rifugiati siriani (secondo il sistema delle quote deciso a Luglio 2015) cui se ne potranno aggiungere altri 52000, ma solo su base volontaria. La credibilità di questo sistema viene messa a dura prova visto che i governi di Polonia ed Ungheria hanno dichiarato di non voler accogliere rifugiati nel proprio territorio. Infine i soldi che l'UE si impegna a versare alla Turchia solo in parte verranno dal bilancio comune mentre il resto dovrà essere compensato con versamenti nazionali; ciò rischia di aprire facilmente spazio a dispute sulla contribuzione che ogni stato deve mettere.  
Tutte queste critiche si possono considerare legittime ed è chiaro che alla luce di ciò il JAP non può essere considerato un Accordo privo di difetti. Tuttavia è necessario dire che il JAP costituisce l'unica risposta  che l'Europa intergovernativa può dare nella situazione attuale. Da quando il flusso dei migranti si è fatto sempre più pressante lungo le frontiere europee, gli stati nazionali non sono riusciti ad elaborare una strategia unica ed efficace per affrontare il fenomeno in maniera adeguata ed umana; al contrario abbiamo assistito alla messa in discussione di alcune delle fondamenta dell'integrazione europea a partire da Schengen. Le immagini della costruzione di muri, del ripristino dei controlli alle frontiere interne all'UE e i continui litigi tra gli stati membri sul come distribuirsi le quote di rifugiati rappresentano perfettamente lo stato di incapacità degli stati nazionali di fronte a fenomeni globali e "violenti".  Persino la Germania che aveva tentato di realizzare una politica di accoglienza verso tutti i profughi siriani ha dovuto fare i conti col fatti di non poter gestire da sola il problema.
 Il JAP ha dunque lo scopo di porre alcuni punti fermi alla situazione attuale, ripristinando una situazione di ordine e porre perlomeno un freno alla situazione emergenziale a cui si stava assistendo. Effettivamente da quando è entrato in vigore la pressione dei flussi migratori verso le isole greche si è drasticamente ridotta.
Tuttavia gli stati europei non possono pensare che esternalizzare le frontiere a paesi extra UE sia una soluzione sempre valida e sempre attuabile; il problema della gestione dei flussi migratori è ancora lontano dall'essere risolto e in futuro l'Europa dovrà affrontare ulteriori sfide in tale ambito; deve essere chiaro ormai che la dimensione nazionale non è più sufficente ad affrontare questi processi, che esiste uno stretto legame tra politiche di immigrazione, sicurezza e politica estera e che pertanto è necessario cominciare il cammino che porti ad una cessione di sovranità degli stati nazionali verso un potere europeo che abbia i mezzi e le risorse per poter risolvere autonomamente le crisi che colpiscono i cittadini europei.

 

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