La deriva autoritaria che la presidenza Erdogan sta imponendo al proprio paese, dovrebbe preoccupare il mondo intero per la posizione geopolitica strategica della Turchia. Al di là di ogni considerazione a proposito del fallito colpo di Stato sul quale permangono dubbi e contraddizioni, è evidente che il Presidente Erdogan doveva aver predisposto da tempo la lunga lista di persone e autorità da epurare.

Non è altrimenti pensabile che in poche ore migliaia di ufficiali, giudici, insegnanti e semplici impiegati statali possano essere imprigionati e allontanati con accuse di complotto ai danni dello Stato. Le poche ore occorse per arrestare o allontanare dal proprio lavoro così tante persone non potevano essere sufficienti  se non avendo ben chiaro da tempo contro chi e quando agire.

E’ difficile oggi prevedere quali conseguenze questi avvenimenti avranno sul futuro della Turchia anche se è evidente che le gravi restrizioni dei diritti civili e le facili carcerazioni senza regolari processi spingono il paese verso una deriva pericolosa accostandolo alle nazioni musulmane più integraliste. Se così dovesse essere sarebbe la fine del sogno della Turchia musulmana ma laica.

La crisi che la Turchia sta conoscendo apre anche una ferita profonda nell’Unione europea. In gioco c’è molto di più del destino che potrà avere la richiesta turca di adesione. Se in Francia e in Belgio vi è un problema legato alla convivenza con la forte comunità maghrebina insediatasi in questi due paesi, in Germania è la comunità turca quella maggiormente presente. Sono circa 1,7 milioni i cittadini turchi residenti in Germania, cui vanno aggiunti i circa 800.000 che hanno acquisito la cittadinanza tedesca o sono di seconda generazione. Da qui una delle difficoltà nel dire una parola chiara sulle vicende in corso in Turchia, ma non solo. Il problema, infatti, non è tedesco, esattamente come non è francese o belga il problema del terrorismo di ispirazione islamica che lì colpisce più che altrove: la verità è che il mondo musulmano è già ben presente nel cuore d’Europa, e le tensioni che attraversano l’Islam si ripercuotono facilmente all’interno delle nostre società. Per questo una Turchia ancor più vicina all’islamismo genera preoccupazioni che vanno al di là dei pur tragici avvenimenti recenti; e riapre per l’Unione europea la questione di come gestire i flussi migratori, perché appare evidente che gli accordi siglati solo pochi mesi or sono non potranno essere attuati. Così nello stesso tempo l’Unione europea dovrà decidere quali relazioni tenere con la nuova Turchia sempre più presidenzialista ma in senso autoritario e come gestire i flussi migratori. E inoltre, può una Turchia che limita le libertà e la democrazia restare un paese membro della Nato e pretendere di aderire all’Unione? La risposta non può che essere no, ma bisogna non solo avere il coraggio di pronunciare questa semplice parola. Bisogna avere il coraggio di rispondere alla domanda di sempre: che fare? E insieme avere il coraggio di agire concretamente.

Appare così ancora una volta l’impotenza e l’inconsistenza di questi Stati europei che bloccano la costruzione di una Unione europea capace di agire e che cercano solo nella “exit” la risposta ai problemi che li circondano. Mentre la risposta dovrebbe essere quella di dar vita subito ad un corpo di frontiera unico all’interno dell’Unione per gestire e controllare i flussi migratori; di avviare la creazione di una polizia ed una intelligence europee, e di creare una politica estera e di sicurezza comune che, tra le altre cose, riveda e avvii subito una politica di buon vicinato con la Russia al fine di contenere le mire turche nella regione. Tutte cose, queste, che però richiedono scelte politiche coraggiose da parte degli Stati europei: un salto istituzionale in senso federale delle istituzioni europee, come prefigurato nel Parlamento europeo dal rapporto Verhofstadt, e la creazione di un governo democratico delle politiche della zona euro.

 

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