Oggi viene spontaneo riflettere sul significato, il ruolo ed il futuro storico del modello politico democratico, per una ragione in particolare: i cittadini europei, anche i più giovani, tendono inesorabilmente a dissociarsi dalla partecipazione civica nazionale; l'arena politica stessa nell'immaginario comune è pensata come un luogo losco, ambiguo, corrotto.

Eppure, il termine democrazia è più che mai pervasivo; esso, inquinato, è diventato inquinante.

Devio leggermente la riflessione, introducendo una definizione personale dell’attuale modello della comunicazione: un modello a spirale, proprio della dimensione mediatica della contemporaneità occidentale, che annovera tra i suoi elementi costitutivi slogan, massime (o minime) di impatto, ipocrisia, ignoranza, assenza di consapevolezza; il perno attorno al quale ruota questa spirale ipnotica è un concetto tanto abusato quanto quello di democrazia, e ad esso spesso associato: quello di libertà d'espressione.

Un'idea consumata, poiché il referente originario del termine (diritto di esprimere un pensiero corretto, frutto di riflessione e responsabilità intellettuale) è stato sostituito brutalmente da un più simpatico e baldanzoso cugino (diritto di dire qualsivoglia baggianata).

Considerato l'uso diffuso/mediatico del termine democrazia, per il quale il diritto di partecipazione politica si traduce nella possibilità di espressione politica totalmente arbitraria, legittimando così anche fantomatiche e personalissime idee di governo (quindi anche posizioni neofasciste, razziste, violente ed errate), è lecito affermare che anche il referente originario della parola in questione (governo del popolo responsabile, partecipante ed informato, anche qualora rappresentato) è stato sostituito da un parente meno noioso, più “festaiolo”; la democrazia, mediaticamente intesa, è oggi il baluardo della libera ignoranza, più che della libera espressione.

In definitiva, è corretto identificare tre grandi settori critici del sistema democratico occidentale: crisi del mondo politico e del relativo dibattito, crisi della partecipazione civica, crisi della responsabilità espressiva.

Sebbene con toni ilari, ho cercato di condurre una breve riflessione sul significato originario e sulla degenerazione attuale del modello politico democratico; a questo punto è necessario chiedersi, cacciando il riso e ponendosi con la massima serietà, quale possa essere il suo futuro.

La teoria federalista fornisce una risposta chiara a questo quesito: se davvero si desidera progettare le basi per pensare ambiziosamente ad un futuro positivo del modello democratico, è necessario riscoprirne la natura.

La democrazia non è indissolubilmente legata alla forma statale nazionale;  tale assetto, anzi, inserito nel mondo interconnesso, globale e multipolare di oggi, ne corrompe l'essenza, piegando la volontà popolare al servizio di una ragion di stato che è pronta a tutto, per amor della propria autoconservazione.

Una democrazia, quindi, resa schiava di logiche che non ricercano il benessere comune, ma la perpetuazione della nazione essa; e questo non per volere di qualche egoista, violento e avido leader politico, ma per la natura stessa della nazione, Stato accentrato, chiuso e uniformante, che evidentemente  entra in contraddizione con i nuovi valori culturali, economici e sociali emergenti, generando, di conseguenza, la triplice crisi democratica di cui si è parlato.

La teoria federalista, sin dagli albori della sua formulazione, coglie un altro aspetto fondamentale: per gestire e realizzare un assetto statale democratico che sia in grado di coprire superfici continentali, senza snaturarne l'essenza e difendendo il valore dell'identità locale quanto quello dell'identità comunitaria acquisita, è necessario pensare un modello diverso da quello nazionale: un modello democratico di rappresentanza  a più livelli, di divisione delle competenze in centri di poteri autonomi ma coordinati, istituzioni democratiche di grado d'influenza differente, relativamente indipendenti ma inserite in un sistema articolato, organico, complesso ed essenzialmente efficace.

Il lettore più critico, a questo punto, si potrà chiedere: “Come essere certi che la crisi del modello democratico sia legata alla crisi del sistema nazionale? Non è più probabile che storicamente la democrazia abbia raggiunto un punto critico, dimostrando la sua inattuabilità nonostante le pressoché assolute possibilità dell'uomo europeo odierno di informarsi, esprimersi e partecipare? Non è forse intellettualmente più onesto affermare che l'uomo occidentale medio del ventunesimo secolo, per sua indole o per educazione, sia più bendisposto ad essere trainato dal paese, che ad elevare la propria condizione con la fatica che tale gesto comporta?”

E' evidente come tali considerazioni tocchino punti molto sensibili della nuova cultura occidentale; effettivamente, l'uomo europeo oggi ha occasioni di studio ed approfondimento infinite, e possibilità di partecipazione altrettanto ampie; più volte, forse con una nota di orgoglio, la nostra epoca è stata definita “l'era dell'informazione”, tempo della completa emancipazione intellettuale umana.

Ma non siamo forse schiavi dell'informazione ed inermi di fronte a questo turbinio incontrollato di sensazioni, mai trattenute e mai rielaborate?

Quanto può essere difficile operare una selezione qualitativa e quantitativa all'interno del caos mediatico, che rapisce e deforma idee, immagini, videoclip, post, opinioni, messaggi, film, pubblicità, articoli?

Non disponendo di strumenti critici immediati, o di riferimenti intellettuali sufficientemente chiari, capita di ritrovarsi in un limbo in cui regna la mancanza di comprensione della realtà oggettiva.

I membri stessi dell'arena politica nazionale, che dovrebbero essere parte di un élite culturale progressista e impegnata a perseguire l’interesse generale, sembrano prendere parte ad un gioco di partiti, una competizione di interessi che poco ha a che fare con la cultura, con la responsabile ricerca del bene comune attraverso l'esempio, la trasparenza, le idee.

Eppure, a rigor di logica è lecito ricondurre, con alto grado di probabilità, questa situazione critica ai limiti stessi imposti dalla nazione; come coltivare visioni, scenari culturali, sogni collettivi all'altezza delle sfide del mondo odierno, quando le nazioni stritolano idee, stimoli ed azioni mettendole al servizio di un gioco politico non morale? Se si riuscisse a superare i limiti della nazione (e la teoria federalista pare essere l'unica in grado di porsi tale obiettivo), allora sarebbe possibile pensare ad un risorgimento democratico, alla scoperta di nuovi valori, alla strutturazione di nuove visioni.

Nonostante gli interessi particolari, la tendenza all'autoconservazione nazionale, e una serie di altre spinte reazionarie, è da ritenere moralmente necessaria e concretamente possibile la costituzione della federazione europea.

A favore della tesi appena esposta, viene spontaneo interpellare Immanuel Kant ed il suo complesso ma funzionante apparato filosofico, poiché senza ombra di dubbio egli rimane il più grande studioso di morale politica di ogni epoca.

Se si dovesse affermare che non è possibile conciliare la pratica politica con il principio morale, Kant non sarebbe d'accordo: difatti, “la morale è già di per sé stessa una pratica in senso oggettivo [...] ed è un'evidente assurdità, dopo che si è riconosciuto a questo concetto del dovere l’autorità che gli spetta, voler affermare che però non lo si può attuare.”.

È lecito, au contraire, affermare che non sempre le decisioni moralmente corrette sono le più convenienti, secondo una prospettiva egoistica.

In altre parole, Kant spiega che il dissidio tra morale e politica non esiste in linea di principio e nemmeno nella pratica, mentre esiste il conflitto tra morale ed interesse egoistico.

La domanda da porre a Kant, quindi, è la seguente: “Se si costituissero gli Stati Uniti d'Europa, e se nel quadro di questo più avanzato sistema istituzionale diventasse possibile educare un popolo intero ad un'identità rinnovata, aperta, partecipante e responsabile, sarebbe possibile pensare ad una conseguente rinascita del modello democratico, attualmente piegato al servizio di interessi particolari?”

La risposta di Kant, con tutta probabilità, sarebbe affermativa, a condizione della costituzione di un preciso sistema statale, quello federale, in grado di difendere località e valori comunitari assieme.

Il problema democratico, in fin dei conti, è un problema identitario: finché non si costituirà uno Stato capace di garantire un livello di espressione e partecipazione politica all'altezza delle sfide e dei modelli del mondo odierno, il popolo europeo sarà lacerato da dolorose contraddizioni, irrisolvibili nel contesto attuale.

 

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