DOPO IL CONSIGLIO EUROPEO
DI BRUXELLES DEL 16-17 GIUGNO 2005

COMUNICATO DELLA SEGRETERIA REGIONALE DEL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO DELLA LOMBARDIA

Il Consiglio europeo del 16-17 giugno, con la formula della “pausa di riflessione” fino al 2007, ha abbandonato al suo destino il Trattato costituzionale europeo senza assumersi la responsabilità di proporre una via d’uscita dall’impasse politica, economica e finanziaria in cui si trova l’Europa. Un analogo atteggiamento pilatesco aveva già assunto la Commissione costituzionale del Parlamento europeo.

L’attuale stallo europeo non è stato causato dai NO di Francia e Olanda. La ratifica del Trattato costituzionale da parte di tutti gli Stati membri avrebbe forse alimentato ancora per qualche anno l’illusione che l’Unione europea fosse sulla strada giusta per riformarsi e per diventare più democratica ed efficace. Ma ciò non avrebbe cambiato la natura della realtà europea: l’Unione europea era e sarebbe rimasta, con o senza la ratifica del Trattato costituzionale, del tutto inadeguata per promuovere una politica di crescita e sviluppo, per far fronte alla sfida commerciale cinese, per gestire la divaricazione di interessi strategici con gli USA, per conciliare il disegno iniziale di unità politica di pochi Stati con quello britannico di creare una sorta di Commonwealth europeo pilotato da Londra e Washington. Il granello di sabbia del NO francese e olandese nell’ingranaggio di ratifica del Trattato costituzionale ha costretto gli europei a prendere atto del fatto che questa Unione europea non è riformabile in senso federale, e che, nella misura in cui si dimostra velleitaria e impotente, è destinata a diventare sempre più impopolare.

Fino ad ora il processo di integrazione europea era avanzato grazie alla capacità dimostrata dagli europei di superare gli ostacoli e di rilanciare ogni volta, pur senza mai compiere il salto federale, il progetto europeo su un terreno nuovo. Così è stato dopo la sconfitta negli anni cinquanta del progetto della CED con il varo del Mercato Comune; alle crisi monetarie e politiche degli anni settanta i governi hanno risposto decidendo l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo e l’avvio dello SME; dopo l’affossamento negli anni ottanta del progetto Spinelli per l’unione politica approvato dal Parlamento europeo c’è stato l’impegno dei governi a realizzare l’obiettivo del mercato unico entro il 1992; dopo il crollo del muro di Berlino e la riunificazione tedesca, Francia e Germania hanno deciso di creare la moneta unica.

In ognuna di queste circostanze le scelte in senso europeo dei governi e delle classi politiche nazionali sono state legittimate da un ampio consenso popolare.

Dopo l’entrata in vigore dell’euro, che avrebbe dovuto rappresentare l’anticamera del definitivo salto verso la federazione europea – come sarebbe stato possibile, ci si chiedeva, non accorgersi che il governo della moneta implicava la creazione di uno Stato? –, si sono presto manifestate le difficoltà di rispettare il Patto di stabilità da parte dei maggiori Stati europei, la evidente assenza di qualsiasi politica economica europea capace di promuovere la crescita, l’impasse istituzionale rappresentata dall’adozione di un trattato, quello di Nizza, sconfessato poco dopo dalla decisione dei governi di convocare la Convenzione che ha elaborato un Trattato costituzionale europeo ormai morto.

In questo quadro era inevitabile che si incrinassero le speranze e l’idea stessa di avanzamento e di progresso della costruzione europea. Speranze e idea di avanzamento e di progresso che nei paesi fondatori erano state fin dall’inizio associate all’obiettivo dell’unità politica su basi federali dell’Europa, ma che nella stragrande maggioranza degli attuali venticinque membri erano e restano tuttora legate prevalentemente, se non esclusivamente, agli aspetti economici e commerciali del processo di integrazione europea e al sentimento di appartenenza (o di ritorno) ad una comunità di democrazie occidentali.

Se il progetto europeo non verrà al più presto rilanciato su basi nuove e più credibili rispetto a quanto hanno saputo fare finora le classi politiche, il senso di sfiducia nei confronti dell’Europa è destinato a radicarsi, diffondersi e crescere. Si tratta di un fenomeno che già si manifesta in diversi paesi con il rafforzamento delle correnti populiste e nazionaliste un po’in tutte le famiglie politiche europee, da quella socialista a quella liberale, e che rischia di sfociare in una nuova fase di rinazionalizzazione delle politiche degli Stati, sotto l’ombrello di un acquis sempre meno comunitario e sempre più intergovernativo.

Ormai il tempo gioca contro la prospettiva di fare l’Europa. Per poter rispondere positivamente alle inquietudini dei Paesi più europeisti e fare entrare finalmente nella realtà l’ideale di un’Europa unita e padrona del proprio destino, occorre creare al più presto il primo nucleo dello Stato federale europeo. E’verso questa prospettiva che un’iniziativa per rilanciare il progetto da parte dei Paesi fondatori (o almeno di alcuni tra essi, in primo luogo Francia e Germania) – prospettive che anche in Italia viene sempre più frequentemente invocata – può e deve indirizzarsi.

Per favorire la ripresa del progetto europeo e per recuperare il consenso popolare attorno ad esso, la classe politica e la società civile nei Paesi fondatori devono incominciare a pensare e ad agire oltre il Trattato costituzionale.

Milano 18 giugno 2005

 

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