Gli esiti negativi dei referendum francese e olandese sulla ratifica del Trattatocostituzione dell’UE segnano indubbiamente la fine politica del Trattato stesso. Tutti i tentativi di far continuare la procedura di ratifica servono solo a prender tempo per cercare una via d’uscita dal vicolo cieco nel quale si trova l’Unione.

Ma considerare l’esito del referendum solo rispetto al destino del Trattato significa non farne una adeguata analisi politica. Quando ci si esprime su una riforma, in qualche modo, ci si esprime anche sull’oggetto da riformare: la bocciatura popolare della proposta di riforma è, in realtà, la bocciatura popolare dell’Unione stessa. Il referendum mette allo scoperto il fatto che l’Unione è, per dirla in una parola, impopolare.

Quando si passa ad analizzare le cause di tale impopolarità, essa appare solo in parte minore dovuta al nazionalismo classico. Ci si trova invece di fronte al rigetto, ben evidenziato dalla posizione di molti dei sostenitori del No in Francia, di una struttura che prende decisioni che toccano profondamente la vita dei cittadini senza porsi il problema della creazione del consenso. Troppe volte decisioni che comportavano diffusi e notevoli sacrifici sono state fatte passare con la comoda motivazione che “sono volute dall’Europa”. La classe politica aveva trovato il modo di chiedere i sacrifici ritenuti necessari senza pagare il prezzo della ricerca del consenso. Tutto ciò è finito.

L’Unione vedrà certo altre riforme che cercheranno, e magari riusciranno, di farla sopravvivere a lungo alla paralisi che incombe dopo l’allargamento. Ma sarà una sopravvivenza stentata e sottoposta continuamente alle spinte disgregatrici che verranno dal suo interno e dall’esterno. Quello che l’Unione non può vedere è l’unico cambiamento che potrebbe farne la speranza del popolo europeo e darle il lealismo dei cittadini: la sua trasformazione in uno Stato. L’Unione ha ormai imboccato la parte discendente della sua parabola.

In qualche modo questa non è una novità: tutto ciò era implicito nel giudizio sull’impossibilità di trasformare l’Unione allargata in uno Stato. Dopo il No francese ed olandese non basta, come federalisti, enunciare la necessità del nucleo e della sua compatibilità con l’Unione: a causa della crescente identificazione, da parte dell’opinione pubblica, dell’idea di Europa unita con quella delle istituzioni europee, è ormai urgente elaborare un giudizio sull’Unione stessa. Questo pericolo di assimilare l’Europa che dovrebbe nascere con le istituzioni esistenti è sempre stato presente nel processo di integrazione europea e risale addirittura alla nascita della CECA. In quell’occasione però l’identificazione era sostanzialmente giustificata e utile per fare avanzare l’idea della Federazione europea. Ma già all’indomani del fallimento della CED, la nascita del Mercato Comune non aveva lo stesso significato e, giustamente, la prima reazione dei federalisti fu di rigetto, al punto che Spinelli non esitò a definirla una beffa. Successivamente i federalisti cercarono di sfruttare la logica dello sviluppo delle istituzioni europee nel tentativo di creare le condizioni favorevoli al rilancio della battaglia costituente. La fine della guerra fredda e l’allargamento dell’Unione europea hanno fatto saltare il quadro di potere europeo e mondiale in cui questa strategia poteva avere successo. Oggi le istituzioni dell’Unione europea, nella misura in cui pretendono di supplire uno Stato europeo, con una Commissione europea che non può diventare un vero governo, un Parlamento europeo che non può svolgere le funzioni di un normale Parlamento, una moneta senza una politica fiscale e di bilancio, ingannano i cittadini sulla reale natura che ha assunto il processo di unificazione europea. E’venuto il momento di riconoscere che ormai è impossibile innestare una battaglia costituente nell’ottica di una lenta riforma dell’Unione europea. Ma se l’Unione è ostacolo, come tale deve incominciare ad essere denunciata e come tale va trattata.

Se questa diagnosi, il declino dell’Unione e la sua natura di ostacolo per la battaglia federalista, è corretta, un elemento essenziale della strategia per il rilancio del progetto di unificazione politica diventa la distinzione tra l’idea di Europa unita e quella dell’Unione.

Le considerazioni sull’impopolarità di questa analisi e sulle reazioni negative che essa potrebbe provocare inizialmente nella classe politica e nell’opinione pubblica non possono prevalere sul fatto che la giustificazione all’esistenza di un pensiero federalista consiste in primo luogo nell’esercizio della libertà di vedere ciò che gli altri ancora non vedono e dire ciò che gli altri non osano dire perché troppo legati alle istituzioni esistenti. Non è tempo di indugi e di ambiguità: se il federalismo europeo non saprà far sentire la propria voce autonoma e tenere sul campo la battaglia per la creazione dello Stato federale europeo, tenendo conto del quadro di potere attuale, inevitabilmente il dibattito e la lotta politica si ridurranno ad una sterile ed anacronistica contrapposizione tra sostenitori e detrattori dell’Europa che c’è e non di quella che dovrebbe nascere.

 

Informazioni aggiuntive