Il vento del protezionismo economico soffia in Europa. Dalla Spagna alla Francia alla Polonia si moltiplicano gli attentati al mercato unico, nonostante la realtà dell’economia globale imponga all’Europa una maggiore liberalizzazione ed una politica economica capace di promuovere lo sviluppo e la crescita, attraverso trasferimenti di capitali ed investimenti nelle infrastrutture e di creare sinergie più efficaci tra gli strumenti economici (come un bilancio europeo, meno esiguo e più libero da impegni di spesa ormai non più prioritari) e la politica monetaria della BCE.

Invece, le recenti vicende finanziarie caratterizzate da tentativi di creare players di dimensione continentale nei settori dell’energia, attraverso l’offerta di E.on su Endesa e di Enel su Suez hanno visto i governi nazionali delle società contese impegnati ad avvallare repentine soluzioni protezionistiche al fine di salvaguardare l’interesse della nazione, preservando settori strategici dalla concorrenza.

Dobbiamo quindi chiederci: il patriottismo economico ha ancora una funzione utile? Conserva davvero una ragione d’essere nonostante il rapido procedere della globalizzazione, di accordi internazionali, dell’economia di mercato?

Il patriottismo economico ha come fine la tutela, o meglio, l’incremento della ricchezza del Paese e lo strumento utilizzato è il protezionismo, in tutte le sue forme (dazi, quote all’importazione, vincoli partecipativi nelle aziende strategiche, golden share ecc.). Occorre quindi capire se, nell’attuale scenario economico, il mezzo è efficace per raggiungere il fine.

La presenza di mercati regolamentati e limitativi della concorrenza comporta prezzi più elevati di prodotti e servizi, maggiore inflazione ed in prospettiva tassi di interesse più alti ed una minore crescita economica, con ovvie ricadute negative sulla disoccupazione. Pertanto, un Paese protezionista danneggia certamente i competitori di diversa nazionalità, che perdono l’opportunità di crescere e prosperare in un’area di libero scambio; ma il maggiore danno lo arreca ai consumatori interni e al potenziamento delle capacità interne di sviluppo.

In pratica, il patriottismo economico opera come una tassa, ma non una tassa universale, bensì una tassa applicata nel breve periodo ai consumatori di beni e servizi e nel lungo periodo una tassa applicata agli investitori.

Infatti nel breve periodo il protezionismo politico tende a far aumentare il valore borsistico dei players nazionali, a detrimento dei consumatori, mentre nel lungo periodo, quando le barriere prima o poi cadranno il valore borsistico diminuirà a livelli fisiologici a danno degli investitori.

Il mercato dell’euro deve pertanto aprirsi alla concorrenza ed eliminare il più in fretta possibile tutti i monopoli esistenti, anche quelli dichiarati di interesse nazionale, come l’energia. Grandi possibili gruppi energetici italo/francesi o tedesco/spagnoli potrebbero soltanto creare vantaggi ai cittadini europei. Saprebbero inoltre meglio confrontarsi sui mercati mondiali ed avere maggior peso contrattuale.

Non abbiamo bisogno di protezionismo che riduce la nostra competitività. L’Europa deve aumentare le fusioni e le acquisizioni transfrontaliere in tutti i settori, per far decollare la crescita potenziale dell’economia, ormai basata sulla dematerializzazione, sulla finanziarizzazione e sulla internazionalizzazione della ricchezza.

Detto tutto ciò, occorre però ricordare come players continentali europei operanti in un libero mercato potranno nascere e consolidarsi solo in un quadro statuale europeo, capace di governare un ambiente economico depurato dai comportamenti nazionalisti, in cui la produzione e la distribuzione di beni sia sottratta alla logica delle ragion di Stato dei singoli Stati.

In quest’ottica la nascita di uno Stato federale europeo rappresenta la sola risposta politica alle difficoltà di integrazione e consolidamento dell’economia europea. Il problema della statualità e del quadro nel quale uno Stato federale europeo può nascere diventa così strategico. I sei paesi fondatori, come conseguenza della presenza di ordinamenti giuridici convergenti, della maggiore integrazione dei sistemi economici ed industriali, di una forte domanda interna integrata e di una maggiore coscienza europea delle proprie opinioni pubbliche hanno la responsabilità di prendere l’iniziativa di fondare il primo nucleo di uno Stato federale europeo aperto a tutti i paesi dell’Unione. Nucleo che si estenderebbe, presumibilmente in tempi rapidi, alla maggior parte dei paesi dell’Unione monetaria.

 

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