Con la fine del XX secolo l’economia occidentale è entrata in una di quelle cicliche inversioni di tendenza, che hanno caratterizzato l’andamento dell’economia mondiale negli ultimi decenni, che ha generato una grave crisi produttiva e finanziaria in molti paesi. Nonostante cenni di ripresa, le conseguenze di tale crisi si fanno sentire ancora oggi ed in questo scenario, dove le diverse aree geografiche vedono messo in discussione il loro sistema economico, risulta particolarmente preoccupante la situazione europea.

Dal Trattato di Maastricht in poi sono stati creati molti strumenti per cercare di affrontare e risolvere i problemi economici europei. Ma resta il fatto che il Mercato unico e l’Euro sono ancora senza governo e che il Patto di stabilità e crescita non può sostituirlo. Il mancato rispetto del Patto di stabilità da parte di Germania e Francia non è altro che una delle conseguenze di questo dato di fatto.

Ma chi ha avuto ragione? L’Ecofin che ha deciso di non sanzionare la politica di Francia e Germania oppure la Commissione che alla fine ha deciso di ricorrere alla Corte di Giustizia? Cos’è “meglio” per l’economia europea? E quali sono gli elementi fallaci nel Patto di stabilità e in tutti gli strumenti economici dell’Unione?

Recentemente, con l’affievolirsi della fase acuta della crisi, si era giunti ad una timida ripresa della fiducia verso i mercati finanziari e ad una possibile riapertura di un ciclo positivo di crescita economica. Ma gli analisti hanno continuato ad ipotizzare che l’Europa non uscisse nel breve dalla stagnazione, con una crescita del PIL bloccata intorno all’1%. Gli Stati europei della zona dell’Euro dovevano a quel punto scegliere se andare al di là del Patto di stabilità, creando un governo federale europeo, o se limitarsi ad infrangerlo. La prima scelta implicava la volontà di creare uno Stato federale, la seconda quella di cercare di tenere in vita l’attuale sistema confederale. I paesi europei, con Francia e Germania in testa, hanno scelto quest’ultima soluzione.

L’Europa resta così inchiodata ad un Patto, che non è più di stabilità e non può diventare di crescita.

Vale la pena ribadire i due motivi principali del suo fallimento.

a) Come ben sanno gli economisti e come ha anche recentemente ricordato il premio Nobel Stiglitz nei suoi libri, stabilità e crescita non sempre vanno di pari passo e spesso risultano addirittura incompatibili. Solo un governo responsabile di fronte ai cittadini che lo hanno eletto può assumersi la responsabilità di gestire politiche di equilibrio fra stabilità e crescita, certamente non organismi di natura intergovernativa o tecnocratica come quelli che pretendono di gestire attualmente l’economia europea.

b) Nella misura in cui il Patto di stabilità resterà un accordo fra Stati che non vogliono portare a compimento il progetto di unificazione politica, è normale che venga disatteso ogni qualvolta qualche Stato lo consideri inadeguato per difendere i propri interessi.

La situazione non migliorerebbe qualora venissero adottati i principi di governo economico proposti dalla Convenzione europea nel recente Progetto di trattato per una costituzione europea. Nella Parte I di questo progetto (“Architettura Costituzionale” al Titolo VII “Finanze dell’Unione”) si propone infatti che comunque le leggi continuino ad essere decise all’unanimità dal Consiglio europeo, con approvazione del Parlamento europeo, e che “entrino in vigore previa approvazione degli Stati membri secondo le rispettive norme costituzionali”.

In questo quadro è impossibile immaginare come possano, da soli, avere un impatto decisivo sulla crescita gli oltre 50 progetti europei che riguardano nuove infrastrutture per i trasporti, per l’energia e attività di ricerca scientifica, varati a livello europeo, in una situazione in cui il Consiglio europeo, composto a partire dal 1 Maggio 2004 dai rappresentanti di 25 Stati, deve trovare l’unanimità sui problemi di finanza, bilancio e risorse.

In questo quadro appare chiaro come le uniche prospettive di crescita e sviluppo autonomo dell’Europa risiedano nel rilancio politico del processo europeo attraverso la costruzione di uno Stato federale. E questo rilancio è sempre più evidente che dipende dalla volontà e dall’iniziativa dei Sei paesi fondatori, che devono aprire la strada in attesa che altri Stati siano disposti a seguirli.

 

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