Il Consiglio europeo del 7-8 febbraio, conclusosi con un criticatissimo accordo al ribasso sul prossimo bilancio dell’Unione europea, dovrebbe spingere, ancora una volta, ad una riflessione seria e responsabile sul futuro dell’Europa; e non diventare il pretesto per battaglie puramente emotive che, in una fase così delicata, rischiamo di essere fuorvianti e addirittura sbagliate.

E’ evidente infatti che il Consiglio ha raggiunto un pessimo compromesso sul quadro finanziario pluriennale che entrerà in vigore dal 2014; un compromesso che mette ancor più in risalto l’incapacità di questa Unione europea di dare risposte ai problemi drammatici della recessione economica e della disoccupazione. Ma non si risolve il problema erigendo barricate per contrapporre l’operato antidemocratico del Consiglio europeo a quello “legittimato dai cittadini” rappresentato dal Parlamento europeo. Il punto infatti non è cercare di migliorare il quadro finanziario a Ventisette. Piuttosto è quello di prendere finalmente atto del fatto che il vero problema che l’UE deve affrontare, al più presto, è quello di separare istituzionalmente il quadro del mercato unico a Venitsette – con la sua logica inevitabilmente intergovernativa, appena sfumata dal cosiddetto metodo comunitario – dal quadro dell’Unione monetaria, in cui deve poter iniziare a funzionare la logica federale di un potere sovranazionale autonomo, di un bilancio adeguato dotato di risorse proprie per promuovere la crescita e lo sviluppo, di una ripartizione dei poteri e delle competenze che corrisponda al trasferimento di sovranità dagli Stati all’Europa.

Questa, dunque, dovrebbe essere la battaglia del Parlamento europeo: non farla, e proporsi obiettivi che distolgono l’attenzione dalla vera sfida, finisce con il diventare un tradimento.

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Le condizioni per avviare questa battaglia ci sono ormai tutte, da tempo. L’ultimo elemento di chiarezza  l’ha fornito addirittura la Gran Bretagna. Cameron ha preso atto ufficialmente della necessità di separare i due quadri. Nel suo attesissimo discorso sull’Europa, tenuto il 23 gennaio, il premier britannico ha usato parole chiarissime, e proposto la sua ricetta. “Those of us outside the euro recognise that those in it are likely to need to make some big institutional changes. By the same token, the members of the eurozone should accept that we, and indeed all member states, will have changes that we need to safeguard our interests.... We understand and respect the right of others to maintain their commitment to this goal (to "lay the foundations of an ever closer union among the peoples of Europe", as European treaty commits the member states, n.d.r.). But for Britain – and perhaps for others – it is not the objective.

And we would be much more comfortable if the treaty specifically said so, freeing those who want to go further, faster, to do so, without being held back by the others....”.

Londra sa che sarebbe controproducente fermare la stabilizzazione dell’Unione monetaria, la quale dipende da un “grande cambiamento istituzionale”. E ha interesse a rimanere nel mercato unico (“At the core of the European Union must be, as it is now, the single market. Britain is at the heart of that single market, and must remain so... “). La soluzione che propone è un nuovo trattato che prenda atto delle diverse esigenze. Certo, Cameron chiede anche che in questo nuovo contesto la Gran Bretagna negozi una partecipazione à la carte alla nuova Unione, sollecita più flessibilità nelle regole, una parziale rinazionalizzazione delle competenze, maggiore controllo dei parlamenti nazionali. Tutte proposte da molti giudicate inaccettabili e irrealistiche, che altri trasformano nell’ipotesi di un’uscita degli inglesi dall’UE e nella stipulazione di un nuovo patto come “associate member”, tipo la Svizzera e la Norvegia. Ma tutto ciò è secondario: il problema è sfruttare questa oggettiva impasse della Gran Bretagna, che non può fermare il processo di integrazione dell’eurozona – perché sa che ne va della sopravvivenza dell’euro e, quindi, dello stesso mercato unico – per completare davvero l’Unione monetaria: a partire dall’impegno per avviare, subito, una battaglia per un budget aggiuntivo dell’eurozona fondato su risorse proprie (in primis la TTF che nasce in seno all’eurozona); per proseguire con l’apertura di un processo costituente per fissare gli equilibri di una nuova Unione con diversi gradi di integrazione.

Queste dovrebbero essere le battaglie del Parlamento europeo: i proclami sulla Federazione europea senza riferimento al quadro in cui questa è realizzabile ormai non servono più; e la difesa del metodo comunitario o il sostegno al rafforzamento dell’Unione presto a ventotto sono addirittura controproducenti. Quello che il Parlamento europeo deve avere la capacità di fare è di diventare avanguardia di una lotta costituente per trasformare l’Unione monetaria in un’unione politica federale e per rifondare l’Unione europea su questa base.

 

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