I fatti, le cose impongono oggi di tornare con chiarezza a una distinzione classica, solitamente ignorata dal dibattito politico: quella tra europeisti e federalisti europei. Perché i fatti, le cose spingono oggi questi due soggetti politici verso mete diverse. Purtroppo le parole che girano confondono più che aiutare. Ma la distinzione c’è, si impone, e i federalisti devono rendersene ben conto se vogliono assolvere il loro compito di avanguardia capace di indicare, come in passato, mete difficili ma necessarie.

La divergenza è negli obiettivi e nell’orizzonte in cui ci si colloca. Per gli europeisti – che ormai dovremmo chiamare “unionisti” – tutto va visto nell’ottica delle istituzioni dell’Unione, dei venticinque Stati, dei trattati e della bozza di “costituzione” proposta dalla Convenzione. Il loro obiettivo è dunque innanzitutto l’approvazione della “costituzione” (le virgolette sono d’obbligo), possibilmente nel testo originale o meglio ancora (ma con poche illusioni) in una forma ritoccata in senso meno intergovernativo e più comunitario. Una parte dello schieramento europeista si ferma qui. Essa vede, giustamente, le grandi sfide e opportunità poste dall’integrazione fra Ovest ed Est del continente e ritiene che ci si debba concentrare solo su questo e che un’eventuale “avanguardia” di Stati più strettamente uniti non sia possibile e nemmeno opportuna. Un’altra parte degli europeisti invece si rende conto che il quadro dei venticinque non consente avanzamenti verso una vera unità, e perciò punta, sempre nell’ambito dei trattati, ad una “Europa a due velocità” attraverso i meccanismi delle “cooperazioni rafforzate” previste dal trattato di Nizza, o, meglio, delle “cooperazioni strutturate” definite dalla bozza di “costituzione”.

Teoricamente, questa parte più avanzata dello schieramento europeista, che include molti politici di vari paesi fra cui Ciampi e Prodi, condivide con i federalisti l’obiettivo della federazione. Ma solo teoricamente, e nella massima confusione di idee e di parole. Come quando si confonde bellamente “comunitario” con “federale”, generando nell’opinione pubblica un grossolano equivoco.

C’è possibile conciliazione fra questi vari orientamenti attuali dell’europeismo e una autentica linea federalista? Noi non neghiamo affatto l’importanza dell’Unione, ma vediamo la sua fragilità e il rischio che arretri e si riduca ad area di libero scambio. Riteniamo positivo il ricongiungimento con l’Est; ma vediamo realisticamente che il quadro dei venticinque non può produrre di più di quella “costituzione” con cui si fa qualche passo avanti e qualche passo indietro: è un quadro che non offre né oggi né domani alcuna possibilità di tornare al progetto iniziale dei Sei fondatori, l’unità federale. Per noi è chiaro che l’Europa avrà unità politica solo se diventerà Stato. E che questo richiede un enorme, coraggioso trasferimento di poteri. Una scelta difficile, rivoluzionaria, possibile solo cominciando da un ristretto nucleo di Stati che abbiano a lungo maturato e consolidato la loro integrazione. Ma vediamo da vicino due punti sui quali l’europeismo non ha chiarezza.

“Comunitario” e “federale”: una confusione pericolosa

Il livello “comunitario” delle istituzioni europee rappresenta certamente, rispetto al livello intergovernativo, quello più orientato verso un sistema federale. Ma non è federale. È il prodotto di un compromesso con cui gli Stati, che ancora detengono quel tanto di sovranità che la realtà mondiale lascia loro, approvano di comune accordo un complesso di norme e delegano a organi sovranazionali – Commissione e Corte di giustizia – di vigilare nell’interesse di tutti sull’applicazione di tali norme, dotandoli di poteri di sanzione (che a volte saltano davanti al potere effettivo degli Stati, vedi Patto di stabilità) ma non di poteri sovrani. L’unica sovranità ceduta è quella monetaria. Ebbene: nonostante l’evidente distanza fra “comunitario” e “federale”, c’è chi li confonde sistematicamente; qualcuno forse volutamente. Sconcertante, ad esempio, il discorso tenuto il 25 novembre scorso all’Università Humboldt di Berlino da un uomo di punta dell’europeismo, il premier belga Verhofstadt, là dove ha dichiarato che “il modello dell’Europa federale è anche conosciuto come modello comunitario” (sic!) …e poi avanti a ruota libera su questo equivoco. (Vengono in mente le ben diverse parole di Fischer nel maggio 2000, nella medesima Università berlinese, quando propose il salto federale e la nascita di un nucleo di Stati pionieri…ma ora Fischer che fa?).

“Cooperazioni strutturate”

E’ innegabile che questa formula, definita dalla bozza di “costituzione”, offra possibilità più ampie di quelle offerte dal trattato di Nizza a gruppi di Stati che vogliano raggiungere una maggiore integrazione in alcuni settori. Ma essa non consente affatto uno sviluppo in senso federale. Anzi, lo rende più difficile. Certamente non consente di porre in atto una nuova statualità, ma solo – appunto – “cooperazioni” fra Stati sovrani. Può condurre a una rete di alleanze asimmetriche e incrociate, destinate a creare tensioni e contrapposizioni, e comunque a rendere difficile il formarsi di un preciso nucleo rifondatore. Si presta a intese operative fra paesi che hanno linee divergenti sulla costruzione europea e sulla politica internazionale, creando nuclei che per la loro stessa composi zione non possono avere alcuno sviluppo federalista: come si sta puntualmente verificando nel campo della difesa, ove si delinea la cooperazione di Germania e Francia con la Gran Bretagna.

Conclusione Ognuno deve fare la sua par te. Tocca ai federalisti indicare l’obiettivo vero: la statualità. Por re il problema duro del trasferimento di potere. Indicare la strada del patto federale fra un nucleo di Stati e ella convocazione di una Costituente di questo nucleo. Se i federalisti sono fedeli al loro compito, la parte migliore dell’europeismo potrà cogliere la forza e la lucidità del loro progetto rivoluzionario e seguirli, facendo da cerniera con la classe politica. E si creerà un vasto fronte capace di influire sulle scelte degli Stati. Se no, no. Parafrasando i Vangeli, i federalisti sono il sale della costruzione europea: “ma se il sale per de il suo sapore…”.

 

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