Dalla CED e sino a giungere al progetto di “Costituzione europea”, il tentativo di dar vita ad una dimensione sovranazionale nel settore della difesa si è sempre arenato sulle secche delle inalienabili prerogative degli Stati nazionali. Anche di fronte a scenari di crisi internazionale, che richiederebbero ben altro contributo politico e, se del caso, militare, l’Europa si è dimostrata sostanzialmente impotente. D’altro canto, l’obiettivo di un’Unione politica ed economica ha trovato nel Trattato di Maastricht soluzione per i soli aspetti strettamente monetari. Non esistono, né nasceranno con il progetto costituzionale, deleghe nazionali ad istituzioni dell’Unione con specifiche competenze sovrannazionali per quanto attiene alla politica estera di sicurezza e di difesa. Le scelte tra pace e guerra, tra risoluzione dei conflitti o aperture di nuove aree di crisi dipenderanno esclusivamente dagli orientamenti dello staff dirigenziale del Presidente dell’unica superpotenza in grado di governare i destini planetari, gli USA.

Esercito europeo ovvero della pace

Il progetto costituzionale richiama esplicitamente il valore della pace. Dal variegato mondo no-new-global giungono richieste esplicite per l’inserimento del ripudio della guerra. Eppure, appare evidente come solo con un’Europa “in grado di agire” su scala globale, con una struttura di governo federale ed un proprio esercito, sia possibile poter sperare di dare praticabilità effettiva al contenuto di valore della pace. Governo ed esercito europeo come precondizione di per sé non sufficiente, ma l’unica che attiverebbe una dinamica di equal partnership tra USA e UE. L’unica che consentirebbe di dare praticabilità a politiche internazionali basate sulla prevenzione dei conflitti. L’unica che darebbe voce in capitolo a 450 milioni di cittadini elettori europei. L’unica che offrirebbe l’opportunità di poter scegliere una classe politica dirigente rappresentativa anche di istanze che giungono dal mondo del pacifismo organizzato. L’unica che trasformerebbe dichiarazioni di principio in obiettivi concreti e raggiungibili.

Per la pace occorre un esercito? Una contraddizione in termini? Si vis pacem para bellum? Molto si potrebbe disquisire. Rimane il fatto che un esercito europeo rappresenterebbe di per se stesso un elemento di stabilizzazione internazionale. Ed a nulla valgono ipotesi peregrine di strutture militari “leggere”. Un esercito “buono” solo a portare aiuti alimentari e a costruire piccole oasi felici all’interno di territori devastati. Un esercito “buono” solo per sedersi al tavolo dei vincitori, per aver titolo a spartirsi tanto i grandi affari della ricostruzione che le riserve naturali ormai in esaurimento (petrolio, acqua). In definitiva un esercito per un popolo europeo di “codardi”, parafrasando Gandhi: “Un falso seguace della nonviolenza non rimane in un villaggio che viene assalito da un leopardo. Se ne va e, quando qualcuno ha ucciso il leopardo, ritorna a prendere possesso dei suoi averi e della sua casa. Questa non è non violenza. E’ la violenza di un codardo. L’uomo che ha ucciso il leopardo almeno ha dato prova di qualche coraggio. L’uomo che trae vantaggio da tale uccisione è un codardo. Egli non potrà mai conoscere la vera nonviolenza.” (*)

Difesa comune ovvero dello Stato europeo

La moneta unica è gestita dalla Banca Centrale Europea e l’indipendenza di tale istituzione è fondamento stesso dell’Euro. Ciò evidentemente non può essere applicato nel settore della difesa. La fusione degli eserciti nazionali (così come si sono fuse le monete nazionali) non può prescindere dall’individuazione di un sistema di governo federale che orienta e definisce la politica estera, economica e fiscale conseguente al mantenimento della struttura militare. In definitiva un esercito non può che appartenere ad uno Stato, sempre che ci sia la volontà effettiva di uscire dalla fase delle coalizioni militari. L’obiettivo della creazione di un esercito europeo si potrà porre in termini concreti solo quando si porrà prioritariamente la questione delle modalità e dei tempi della creazione dello Stato europeo.

Il progetto convenzionale ed il testo del nuovo trattato, come sarebbe corretto definire l’elaborato che uscirà dai lavori della Conferenza intergovernativa, non sciolgono alcun problema né di unificazione politica ne tantomeno di politica di difesa e delle relative strutture militari. Al di là di alcune novità, si tratterà dell’ennesima operazione di facciata.

L’auspicabile estensione del voto a maggioranza in alcuni settori di grande rilevanza, a partire da quello fiscale, rappresenterebbe un approfondimento del metodo comunitario. Ma quello del voto a maggioranza in una coalizione di Stati nel settore della politica estera di sicurezza e di difesa è un falso problema da denunciare e smascherare. Dopo l’entrata in vigore del testo “Costituzionale” i paesi fondatori saranno chiamati a riproporre la questione dell’unificazione politica, ma quando? Le classi politiche dirigenti avranno la lungimiranza di definire un calendario di fusione delle forze armate nazionali così come hanno fatto per l’unificazione monetaria affrontando in maniera inequivocabile il problema della creazione dello Stato europeo? Al momento non è dato saperlo. Chi ha a cuore il futuro dell’Europa e ha fatto della militanza federalista una scelta di vita non può esimersi dall’esprimere in maniera a volte cruda, ma che è la sola realista, l’unico scenario possibile di progresso per il futuro del continente e dell’intero pianeta. L’utopismo internazionalista oggi ha assunto le forme neoglobal ed ecopacifiste, ma sarà testimone impotente di grandi tragedie umane e sociali né più e né meno di quanto è avvenuto nei secoli scorsi. Chi vuole la pace stabilisce patti federali indissolubili. Chi vuole la pace si batte per la creazione di un Europa in grado di agire. Tutto il resto appartiene ad una dimensione etico-morale che appaga solo la coscienza di chi ne è testimone.

(*) M. K. GANDHI Nonviolence in Peace and War, pp. 66-68

 

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