Il rapporto tra la cancelliera Merkel ed il presidente Hollande è stato interpretato da molti giornalisti e dagli stessi esponenti del mondo politico come un confronto tra destra e sinistra (più precisamente tra austerità e crescita), impersonato da due leader che rappresentano sia forze politiche sia paesi diversi. Pochissimi hanno invece evidenziato come la Germania si sia dichiarata pronta a creare l'unione politica europea, mentre la Francia, per l’eurozona, ha continuato a sostenere la prospettiva intergovernativa.

La visione francese è confermata anche dal documento redatto dal PS durante la Convention Europe du Parti socialiste, l’aprile scorso. Il testo comincia con buone riflessioni sul passato e buoni propositi per il futuro: richiama l'idea del progetto europeo come progetto di pace, il modello economico europeo come modello per il mondo e propone che la Francia si impegni per affrontare a livello europeo le grandi sfide: quella ecologica, quella demografica, quella politica e quella tecnologica. Ma i limiti del documento emergono non appena gli estensori iniziano a sostenere che per affrontare i problemi in Europa bisogna prima risolvere quelli in patria, senza voler prendere atto del fatto che la recessione francese, così come le difficoltà a livello industriale del paese, non si possono superare in un singolo paese con politiche nazionali. Basti pensare alla questione della competitività: grazie soprattutto al vantaggio demografico, unitamente ormai allo sviluppo tecnologico, la Cina può mantenere il costo del lavoro mensile molto più basso di quello francese e al tempo stesso conquistare fette sempre più ampie nei settori industriali di gamma superiore; non può essere certo la politica industriale francese lo strumento per affrontare questa difficilissima sfida, né può bastare la politica estera francese a far valere i diritti dei lavoratori francesi a fronte di una Cina sempre più potente.

Un ulteriore aspetto criticabile di questo documento è il tentativo di trasformare la crisi economica e politica in una contrapposizione tra destra e sinistra, e di voler interpretare da questa angolatura molti momenti del processo di integrazione europea. Si ritiene, nel testo, che tutte le cariche delle istituzioni europee siano di destra, che molti Capi di Stato e di governo fossero di destra durante la crisi e che di destra sia oggi la Merkel, anche quando avanza proposte per far evolvere il processo di integrazione. L'intera visione europea è pensata impropriamente sulla base di categorie nazionali, anche quando si ipotizza la nascita di un grande partito socialista europeo, senza mai tenere in considerazione il fatto che questa possibilità è legata alla nascita di un potere statale europeo; solo in una vera federazione potranno infatti svilupparsi la dialettica e il dibattito politico (e di conseguenza le organizzazioni politiche) secondo i canoni della democrazia, mentre in un contesto sostanzialmente confederale come quello attuale definito dal Trattato di Lisbona il quadro politico determinante rimane quello nazionale, ed è per questo che è ancora a questo livello che si sviluppano il confronto, la formazione del consenso e le stesse forze politiche.

L'idea che l'Europa attuale, ancora non democratica, sia già un terreno adeguato per sviluppare politiche comuni è confermato da varie proposte, che non sono concepite in modo strumentale per aprire la via ad avanzamenti sul terreno sovranazionale, ma sono considerate degli obiettivi in sé: è in questa ottica che viene concepito l'uso delle cooperazioni rafforzate per la Tassa sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin Tax), oppure il rafforzamento della BEI e l'istituzione di una comunità europea per l'energia, sempre a trattati invariati. Al tempo stesso viene anche giustamente ricordata come battaglia cruciale quella per il rafforzamento dell'eurozona, e si preferisce accantonare il dibattito sulle votazioni a maggioranza piuttosto che all'unanimità in seno al Consiglio europeo, privilegiando invece la questione dell'integrazione differenziata e sostenendo l'istituzione di un bilancio ad hoc dell'eurozona finanziato con risorse proprie (al contrario di quello dell'Unione europea a ventisette in cui sono i singoli governi a versare i fondi). Ma l'idea politica di fondo rimane comunque ancorata all’ipotesi che una maggiore integrazione sia possibile senza modificare i trattati esistenti (nonostante la proposta del bilancio dell'eurozona implichi in realtà una modifica dei trattati); ed è sulla base di questa idea che vengono criticate duramente sia la Merkel che la Corte costituzionale tedesca quando sostengono che per realizzare il Redemption Fund (ossia la mutualizzazione parziale del debito) bisogna superare il deficit di legittimità democratica del livello europeo.

Un punto che si ritrova più volte nel documento è anche la critica all'austerità, intesa come una politica che una Germania virtuosa cerca di imporre ai paesi dell’Europa meridionale. Mai, pertanto, si prende in considerazione il fatto che sono proprio i limiti dell'Unione europea come è attualmente costituita che impediscono di fare politiche comuni diverse da quelle del rigore dei conti pubblici, e che quindi per fare politiche europee di crescita e sviluppo serve innanzitutto l’unione politica.

Nel complesso lo spirito del documento si può riassumere in una frase presente proprio nel testo, che recita: “l'amicizia franco-tedesca non è l'amicizia tra la Merkel e la Francia”, e il futuro dell'Europa dipende quindi dai risultati delle elezioni tedesche.

Di fatto, l’effetto più positivo prodotto da questo documento dei socialisti francesi è, paradossalmente, proprio quello di aver suscitato reazioni critiche molto forti, soprattutto nella stessa Francia. Tra le principali personalità che hanno preso posizione denunciando i toni eccessivi del documento si elencano infatti non solo il presidente del Parlamento europeo e socialdemocratico tedesco Martin Schulz e il ministro tedesco degli esteri Westerwelle, ma anche il primo ministro francese Jean-Marc Ayrault e, soprattutto, Hollande stesso, anche se indirettamente, quando il 16 maggio si è pronunciato accogliendo (ed è la prima volta che un capo di Stato francese lo fa) la proposta tedesca di marciare verso l'unione politica, aggiungendo addirittura l’indicazione della scadenza, fissata nei prossimi due anni. Il presidente ha voluto sottolineare quattro punti: l’esigenza di un governo dell'eurozona che si riunisca ogni mese, quella dell'uso dei fondi del bilancio europeo a favore dei giovani e a sostegno delle politiche per l'impiego, quella dell'istituzione di una comunità europea dell'energia per affrontare le sfide del nuovo modello di sviluppo sostenibile e quella di un budget ad hoc per l'eurozona.

E’ stata sicuramente l’evoluzione del quadro politico ed economico europeo a rendere possibile un discorso così innovativo. Da un lato il fatto che i dati macroeconomici hanno ormai mostrato che la Francia è entrata in recessione, assestando così un duro colpo al paese, che si somma alle criticità del sistema industriale evidenziate già dal Rapporto Gallois; e preoccupando la classe dirigente francese al punto da spingerla negli ultimi mesi a prendere in considerazione livelli di integrazione che portino al superamento della sovranità nazionale. Dall'altro lato i risultati delle elezioni italiane, che hanno portato ad un governo che impedisce di riproporre l’antistorica dicotomia tra destra e sinistra e che non può certo spalleggiare la Francia in una battaglia politica di questo tipo contro la Germania della CDU. Viceversa, il progetto politico su cui si fonda il governo guidato da Letta sembra fortemente orientato nella direzione della realizzazione degli Stati Uniti d'Europa e a trovare su questo punto gli elementi di convergenza con la Germania.

Sembra quindi aprirsi una nuova possibilità per la battaglia federalista in Europa, nel momento in cui su questa prospettiva sembrano poter convergere Francia, Germania e Italia.

 

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