Gli stati veterocontinentali sono protagonisti di un capitolo storico i cui risvolti finali ancora sono dubbi; alla faticosa salita che conduce verso la “rifondazione di un'Europa sovrana, unita e democratica”, per dirla con Macron, si oppone il sentiero scosceso della disintegrazione europea, ai limiti del quale aleggia il cupo spettro di un passato non lontano: quello del nazionalismo.
Il vecchio continente, oggi, è un campo di battaglia; a scontrarsi non sono però esseri umani, ma sistemi ideologici; a morire non sono soldati, ma visioni del mondo. A essere messi in discussione non sono rapporti di forza concreti, ma la legittimità stessa della logica westfaliana dei rapporti tra stati. L'interrogativo fondamentale del pensiero federalista emerge ora chiaro nella mente di chi assiste a questo scontro prodigioso: è possibile frammentare la sovranità nazionale, riorganizzandola in senso federale? È possibile immaginare un mondo in cui il potere sovrano di uno stato non è più un fatto assoluto e monolitico?
Da poco si sono concluse le elezioni tedesche, le ultime di una lunga serie di sfide elettorali. A difendere il futuro del popolo europeo c'è un buon gruppo di leader preparati, seri e sopratutto europeisti; l'Italia, che giocherà un ruolo fondamentale, deve impegnarsi per non diventare l’incognita in un quadro, per ora, stabile.
Concluso questo passaggio elettorale, si avanzano le prime proposte sul futuro dell'UE, molte delle quali improntate a un profondo spirito riformista. Il cambiamento, finalmente, non è più avvertito solo come una necessità, ma diventa il punto principale dell'agenda politica europea.
In questo senso si inseriscono il discorso sullo stato dell'Unione e la relativa lettera d'intenti di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione.
L'importanza delle proposte avanzate nella lettera di intenti indirizzata ad Antonio Tajani (presidente del PE) e al primo ministro estone Jüri Ratas (presidente di turno del Consiglio dell'UE), è da rintracciare non tanto negli obiettivi (che, se sono apprezzabili per la chiarezza e la concretezza con cui sono espressi, sono invece criticabili per la contenuta ambizione), ma piuttosto nel fatto che esse provengono direttamente dal braccio esecutivo del sistema istituzionale europeo, e quindi dall’istituzione destinata a diventare il governo dell'Unione; in altre parole, questa lettera esprime la roadmap di governo dell'UE per i prossimi anni; una roadmap sicuramente chiara e concreta, quindi perfettamente realizzabile.
Non per questo merito, comunque, la lettera d'intenti deve essere esente da un'analisi critica.
Il discorso si apre con un'analisi retrospettiva dello scenario europeo; il 2016, definito “annus horribilis” per il progetto di integrazione, effettivamente, verrà ricordato almeno per tre colpi imprevisti, che hanno messo in luce alcune debolezze intrinseche dell'UE con drammatica schiettezza.
In primo luogo, Brexit; il significato profondo di questo evento è ormai lampante: il progetto di integrazione è reversibile e negoziabile; i legami tra singoli stati e Unione sono ancora solubili.
In secondo luogo, il terrorismo; tale fenomeno, discusso con eccessiva fretta analitica, ha messo in discussione un assunto fondamentale dell'UE, per il quale essa è garante della pace interna al continente.
Infine, le elezioni americane: immersa in questa profonda crisi adolescenziale, l'Unione europea, che non è certo un infante ma ancora non è adulta, perde il sostegno di un importante alleato.
Juncker sottolinea come il popolo europeo, rappresentato dalle istituzioni, abbia reagito a questa impasse, ricordando alcune delle limitate ma importanti conquiste degli ultimi mesi: la formazione di una guardia costiera europea ormai operativa per controllare l'emergenza migratoria; l'accordo ormai raggiunto per l'avvio di una cooperazione strutturata permanente in ambito militare; l'istituzione di un fondo europeo per gli investimenti volto a sostenere lo sviluppo e la crescita; il successo internazionale dell'accordo con il Canada e l'avvio di nuove trattative, ad esempio, con il Giappone; l'importante lavoro svolto in seno al progetto del mercato unico digitale; le politiche climatiche uniformi ai dettami dell'accordo di Parigi.
Anche Juncker vede ormai concluso un periodo complesso e delicato, indicando il presente come momento favorevole per iniziative audaci in termini di riforme europee.
Mentre lodevole è l'analisi lucida del quadro attuale, non certo per l'audacia vanno premiate le intenzioni della lettera, che, qui riassunte, elenca in dieci priorità di azione fino al 2018:
- rilancio dell'occupazione, della crescita e degli investimenti come primo obiettivo di lavoro; in questo senso, necessaria sarà la realizzazione di riforme strutturali;
- proseguimento dell'ottimo lavoro svolto in seno all'ampio progetto del mercato unico digitale, vanto di questa Commissione, con possibili ulteriori sviluppi nell'ambito della cibersicurezza e dell'economia dei dati;
- adozione di politiche climatiche uniformi ai dettami dell'accordo di Parigi e riflessione sull'unione energetica;
- rilancio del mercato interno, da rendere più equo e profondo promuovendo innovazione e competizione, equità fiscale, tassazione dei proventi dell'economia digitale; approfondimento dei legami tra stati con l'istituzione di un'unione dei mercati e dei capitali, sostenuta dalla creazione di un'autorità unica di vigilanza sui capitali;
- creazione di un fondo monetario europeo per aumentare i vincoli tra stati e proposta di istituzione di un bilancio della zona euro;
- gestione della globalizzazione secondo i dettami della sostenibilità, come suggerito da Xi Jinping a Davos, portando a termine i negoziati internazionali ed avviandone di nuovi;
- adozione di nuove soluzioni per contrastare il crimine organizzato e la radicalizzazione terroristica; emanazione di leggi che consentano l'interoperabilità tra sistemi informativi dell'UE;
- adozione di una politica migratoria europea per la gestione dei flussi e riforma del sistema europeo d'asilo;
- riposizionamento dell'UE nello scenario mondiale e assunzione di responsabilità globali per quanto riguarda la politica estera;
- riflessione su una possibile revisione in senso democratico della dimensione europea.
Questi appena elencati sono i punti di governo per i prossimi 16 mesi.
Tanto evidente quanto gli obiettivi a breve termine appena espressi è la mediocre ambizione del governo dell'UE; per due ragioni precise:
- i passi più importanti indicati nella lettera, difatti, sono relegati a una scadenza lontana: il 2025; tra le proposte più apprezzabili ma espresse come possibilità di un futuro lontano: “l’eventuale creazione di un ministro europeo permanente dell’Economia e delle finanze (articolo 2 del protocollo n. 14) e relative implicazioni istituzionali” e una “Comunicazione sull’ulteriore rafforzamento dei principi di sussidiarietà, proporzionalità e migliore regolamentazione nel funzionamento quotidiano dell’Unione europea”;
- lo sfondo sul quale Juncker inquadra i passi politici espressi è quello dell'Unione a 27 che, nella su aottica dovrà arrivare in breve tempo a coincidere con la dimensione vitale della zona Euro e dell'area Schengen;
È evidente che un quadro del genere, per quanto assolutamente desiderabile, è totalmente velleitario e rischia di inibire ogni possibile riforma.
Alcuni Sati, ça va sans dire, contrasterebbero lo stesso piano di integrazione; una conversione degli stessi in senso profondamente europeista, nell'immediato, non è pensabile.
E' evidente che questo metodo, alla lunga, risulterà fallimentare; per fortuna, in questo clima di speranza, proposte ben più ambiziose sono state presentate.
Emmanuel Macron, per quanto sia sostanzialmente in accordo con le proposte del Presidente della Commissione, pone le stesse su un piano operativo completamente diverso; egli, durante il discorso alla Sorbona, ha definito l'Eurozona come il solo scenario possibile per l'integrazione politica, sollecitando "senza ritardi la costruzione di una zona euro forte ed efficace".
Ricordando la nota poesia di Danilo Dolci, “ciascuno cresce solo se sognato”; in questo senso, il monito federalista risulta ancora più radicale: un profondo cambiamento istituzionale, che implica il superamento degli attuali Trattati, è un atto imprescindibile se davvero si ama l'Europa per come è stata sognata, e non per quello che è ora.