La crisi economica ha minato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella politica, incluse quelle europee. Quando è iniziato il processo di integrazione, l'opinione pubblica era fortemente favorevole all’Europa nel nome della pace che l’unificazione del continente garantiva, e considerava il progetto europeo come un obiettivo eminentemente politico. Gli euroscettici, ovvero coloro che non credono che l'integrazione europea sia una scelta giusta e preferiscono salvaguardare la sovranità nazionale, erano invece poco numerosi.

Oggi, pur rimanendo minoritari, soprattutto quando si arriva a porre le questioni di fondo “dentro/fuori l’Europa” o “sì/no alla moneta unica”, gli euroscettici sono tuttavia in aumento, complice anche le difficoltà che le forze europeiste incontrano nel difendere l’Europa, trasformata da tutti in capro espiatorio. Eppure, basta pensare ai valori che il processo europeo incarna e che contribuisce in modo decisivo a preservare per il bene di tutti gli europei (dalla pace, ai diritti civili, a molti aspetti sostanziali della democrazia), e ai vantaggi economici che derivano da un quadro continentale intergrato sul piano economico e dall’appartenenza ad un mercato unico di oltre 500 milioni di cittadini, per capire l’importanza dell’Europa e per smontare le tesi degli euroscettici; pur nella consapevolezza che l’Unione europea è una costruzione ancora in fieri, che il perdurare delle divisioni tra gli Stati la rende una risposta ancora insufficiente rispetto alle sfide della globalizzazione e che è indispensabile procedere rapidamente verso il completamento politico dell’unione monetaria.

Il filo conduttore delle tesi degli euroscettici è il nazionalismo, contrapposto al federalismo. Una delle obbiezioni più usate per contrastare l'idea dell’unione politica europea è la differenza che esiste tra i diversi popoli nazionali. Gli euroscettici usano l’argomento, ancora molto diffuso nella cultura politica,  che un popolo esiste solo in quanto si identifica con una nazione, mentre sarebbe impossibile creare in modo artificiale una nazione a livello europeo. Questa, infatti, non potrebbe corrispondere ad un singolo popolo europeo ma solo ad un insieme di popoli che per cultura, storia e tradizioni sono diversi tra loro. Non vedono come sia possibile far convivere e far prendere delle decisioni comuni a popoli che durante la loro storia si sono combattuti difendendo la propria identità nazionale e la propria sovranità. Né ritengono possibile la solidarietà, intesa anche in senso spontaneo, al di fuori dei confini nazionali.

In realtà, mitizzare la sovranità nazionale, l'identità del popolo e la sua coincidenza con “la nazione” è uno dei difetti del modello dello Stato nazionale. Il bisogno di creare un’identità chiusa, da un lato serve a cercare di proteggersi dall’esterno e ad auto-conservarsi, dall'altro alimenta l’odio e la paura verso ciò che non si conosce, e quindi verso lo straniero. Questo atteggiamento ha provocato numerose guerre tra cui due guerre mondiali (ricordiamoci a quali orrori abbia portato il nazismo), ed è ormai incompatibile con la democrazia: in un mondo globalizzato e sempre più interdipendente, la comunità politica, le istituzioni democratiche, la solidarietà tra cittadini, la partecipazione e il confronto che permettono di maturare decisioni di governo devono espandersi al di sopra dei confini nazionali. Deve essere quindi superato il concetto di nazione a favore di una convivenza pacifica e civile tra i popoli, anche solo per controllare in modo legittimo i processi finanziari, economici e produttivi che hanno dimensione mondiale. Il modello federale permette proprio di unire nella diversità ovvero di aggregare popoli di origine diversa senza compromettere la loro identità e di estendere l’orbita del governo democratico a livello sovranazionale.

Un altro valido motivo per preferire l'integrazione tra gli Stati è l'incapacità di una singola nazione di competere a livello mondiale sia con le potenze emergenti come Cina e India e quelle sia con quelle da tempo affermate, come gli USA o la stessa Russia. Le differenze di potenziale rispetto ai paesi di dimensioni continentali sono troppo elevate, non solo per le dimensioni territoriali, che comunque spesso significa anche presenza di materie prime e fonti energetiche, ma soprattutto per il numero di abitanti, e quindi di capitale umano (anche riferito al mercato).

Uno dei bersagli preferito dagli euroscettici è l'unione monetaria e quindi l'euro. Spesso viene addirittura accusato di essere la causa della crisi economica attuale e per questo gli euroscettici vedono come soluzione della crisi il ritorno alle monete nazionali. Una delle cause di questo accostamento sarebbe il cambio (nello specifico lira-euro) che è stato adottato al momento del passaggio dalla moneta nazionale a quella europea: secondo gli euroscettici questo cambio era troppo alto e ha permesso un aumento dei prezzi senza però essere seguito da un aumento degli stipendi. Inoltre, l'aver unito sotto un'unica moneta differenti economie ha provocato uno squilibrio all'interno dell'eurozona per cui adesso ci troviamo ad avere due gruppi di Stati che viaggiano a velocità diverse: gli Stati del nord più ricchi e stabili e gli Stati del sud più poveri e più esposti alla crisi. Esponente di punta degli Stati del nord sarebbe la Germania, che viene demonizzata dagli euroscettici come l'artefice dell’attuale sistema europeo, regolato in modo che i tedeschi possano sfruttarne i vantaggi e arricchirsi a scapito degli Stati del sud; la Germania viene anche accusata di essere un paese restio ad aiutare, attraverso meccanismi di solidarietà, gli altri Stati più bisognosi.

Analizzando oggettivamente cosa è accaduto in Europa e nel mondo dall'introduzione dell'euro ai giorni nostri, ci si accorge che molti degli argomenti citati sopra sono frutto di cattiva informazione e depistaggi mediatici, che fanno ricadere sulla moneta unica colpe da attribuire invece alla cattiva gestione di alcuni nostri politici ed a situazioni che dipendono dal quadro internazionale. La crisi economica che viviamo oggi non è la conseguenza dell'adozione della moneta unica ma ha le sue radici nello scoppio della bolla immobiliare americana avvenuto nel 2008, che ha poi contagiato l'Europa attraverso i titoli spazzatura che erano stati comprati da Stati e banche del vecchio continente. Gli Stati Uniti d'America hanno iniziato a superare la crisi con ingenti investimenti federali e stampando moneta, mentre in Europa non si è potuta attuare nessuna delle due manovre, perché non esiste un bilancio federale europeo che permette di fare politiche espansive (ossia piani di investimenti) e perché non esiste un debito federale, ma solo debiti nazionali (ossia considerati poco affidabili), tra cui alcuni molto ingenti, come il nostro. Sono queste le ragioni obiettive per cui la BCE non può fare le stesse manovre della Federal Reserve, anche se il suo intervento è stato comunque decisivo per calmare gli attacchi ai debiti sovrani europei. E’ evidente, in tutto questo, che la soluzione non è ritornare alle monete nazionali e ai vecchi cambi che ci penalizzerebbero ancora di più (basti pensare all'eventuale aumento del prezzo delle materie prime che importiamo o al differente tasso di interesse sul debito), bensì creare un governo dell'eurozona eletto democraticamente, e dotato di un proprio bilancio, in grado di poter attuare le manovre necessarie a superare la crisi. Fino a che l'euro sarà una moneta di più Stati non si potranno mai sfruttare in pieno le potenzialità di questa moneta, soprattutto, finché le decisioni prese per migliorare l'euro e la situazione economica dell'eurozona saranno prese all'unanimità da tutti gli Stati aderenti all'Unione europea, quindi anche da quegli stati come la Gran Bretagna che non hanno la moneta unica.

Per quanto riguarda il cambio va precisato che tutti gli Stati europei che hanno deciso di adottare l'euro hanno dovuto fare i conti con il cambio: come mai alcuni paesi si sono rafforzati e altri invece no? In realtà tutti i paesi dell'eurozona hanno tratto benefici dall'euro e in particolare quegli Stati che avevano un debito molto alto e che quindi pagavano tassi d'interesse maggiori. La differenza sta nel modo in cui i politici nazionali hanno deciso di utilizzare la fase di stabilità dei prezzi e il risparmio sugli interessi. E’ proprio da queste scelte che si è creato il divario tra Stati del nord e alcuni Stati del sud: quelli del nord hanno usato quei soldi per avviare nuove riforme (dell’amministrazione pubblica, della legislazione sul lavoro, dell’organizzazione dello Stato sociale) e nuove politiche economiche (per le infrastrutture e per creare condizioni migliori per il settore manifatturiero), che hanno accresciuto la produttività e li hanno resi più competitivi, mentre alcuni Stati del sud, come il nostro, hanno continuato ad aumentare il debito in modo improduttivo e addirittura peggiorato i propri ritardi nel settore pubblico, in quello delle infrastrutture, ecc.. Il risultato è stato che una volta arrivata la crisi i paesi del nord erano più preparati ad affrontarla rispetto a quelli del sud.

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Come già detto sopra, la linea di demarcazione tra europeisti ed euroscettici sta nella contrapposizione tra federalismo e nazionalismo. Nel federalismo, tutte le logiche legate all'identità e alla sovranità nazionale lasciano il posto alla possibilità di organizzare la convivenza tra popoli differenti ma al tempo stesso uniti dalla condivisione di un modello di società che non ha eguali nel mondo: pace, democrazia, diritti sono solo alcuni dei valori che verrebbero garantiti dalla Federazione europea e che gli Sati nazionali non sono in grado di darci. Se oggi l'Europa può apparirci come una matrigna che detta le condizioni senza avere a legittimazione democratica per farlo è perché il processo di integrazione non è ancora terminato: invece di ripudiare quello che con tanta fatica è stato costruito dobbiamo continuare a batterci per un’Europa unita che sia in grado di fare gli interessi di tutti, e chiedere con forza delle istituzioni europee che ci rappresentino veramente.

 

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