La drammatica crisi finanziaria ed economica che sta colpendo tutti i paesi del mondo, pone in particolare l’Europa di fronte a sfide difficilissime, che minacciano la sopravvivenza stessa del mercato unico e dell’unione monetaria.

I paesi europei hanno reagito di fronte all’emergenza in modo insufficiente, ma, soprattutto, dando risposte nazionali, non coordinate a livello europeo. Anche il salvataggio delle banche, nonostante un minimo di regole comuni fissate dall’UE, si è basato su programmi nazionali. Queste scelte sono destinate ad avere l’effetto di rendere inevitabile una caduta verso tentazioni protezionistiche che, benché rinnegate a parole, stanno già iniziando ad influenzare gli atteggiamenti dei governi. Ma le politiche orientate in senso nazionalistico sono incompatibili con il mercato unico.

I mercati finanziari hanno già iniziato a fornire indicazioni circa il pericolo che corre l’euro: il divario tra i tassi di interesse dei buoni del Tesoro dei paesi più deboli da un lato e della Germania dall’altro è cresciuto a livelli mai raggiunti da quando è nata l’UEM. Gli stessi Stati europei e le istituzioni europee hanno iniziato a porsi il problema di come intervenire nel caso, possibile, che uno Stato della zona euro fallisca. A questo si aggiunge il rischio del crollo dei paesi dell’Est europeo, crollo che avrebbe un contraccolpo drammatico anche su alcuni paesi dell’area euro particolarmente esposti verso questa area. Il pericolo che l’Unione monetaria non regga è reale.

Se le minacce che gravano sull’Europa sono così gravi, e se si è consapevoli che questa deriva verso il protezionismo e il nazionalismo può portare ad un aggravamento vertiginoso della crisi, come mai, allora, gli Stati continuano a muoversi in ordine sparso? Perché le istituzioni europee sono così silenziose e defilate rispetto al protagonismo degli Stati membri? Dal punto di vista tecnico, la situazione sembra abbastanza chiara; è evidente che una risposta europea unica, permetterebbe di governare la crisi in modo molto più efficace. Per questo si parla ormai sempre più spesso di unificare il debito pubblico e di emettere bonds dell’Unione europea, per limitare gli shock asimmettrici deleteri per la tenuta della moneta unica e per fare politiche incisive di sostegno e rilancio dell’economia (misure che dovrebbero vedere la nascita di una vera e propria finanza federale europea). Si invoca sempre più spesso la necessità di un governo europeo dell’economia, e si sottolinea come l’Europa sarebbe più influente e forte se parlasse con una sola voce: tutte proposte che portano immediatamente alla questione dell’approfondimento politico dell’Unione. Come mai, allora, non si fanno passi concreti in questa direzione?

Il problema è che la crisi evidenzia tutte le contraddizioni in cui si dibatte l’UE. Già le difficoltà di accordarsi su un nuovo testo di trattato - e poi di ratificarlo - per migliorare il funzionamento delle istituzioni evidenziano il suo immobilismo e la sua impotenza. Al suo interno troppi Stati non concepiscono l’ipotesi di abbandonare la sovranità nazionale per unirsi politicamente agli altri. Perciò il primo ostacolo è costituito dal quadro stesso dell’Unione a Ventisette, troppo eterogeneo per permettere di concepire obiettivi politici ambiziosi.

Il secondo punto riguarda l’anomalia di aver creato una moneta unica senza aver dato vita contestualmente alle istituzioni federali necessarie per governarla: in pratica si è creata l’Unione monetaria, ma non quella economica, che comporta politiche che devono essere legittimate direttamente dai cittadini e un trasferimento di potere reale, e presuppone pertanto una forte volontà politica. L’Europa, oggi, paga dunque l’errore di non aver dato vita sin da subito allo Stato federale europeo e di aver lasciato che il processo di unificazione, ormai giunto alle soglie della necessità del salto politico per poter avanzare, si bloccasse e si snaturasse anche a causa di una cattiva gestione della questione dell’allargamento.

Oggi la crisi pone gli europei di fronte alla necessità di fare le scelte rimandate in passato. L’illusione di aver dato vita ad un modello stabile e vincente si sta sgretolando e la retorica inizia a non poter più coprire le debolezze che nascono dall’assenza di un potere statuale europeo. Per gli Stati che hanno sempre creduto nella necessità di arrivare alla Federazione europea, e quindi in primis per i fondatori - è arrivato il momento di assumersi la responsabilità di prendere l’iniziativa per fondare il primo nucleo dello Stato federale europeo.

 

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