In questi giorni tragici, le voci che si sono alzate a denunciare l’assenza dell’Europa sono state poche e confuse. Tutte le osservazioni dei commentatori politici a questo proposito, come pure gli interventi (ipocriti) degli esponenti dei governi europei, si sono limitati nel migliore dei casi ad auspicare il rafforzamento dell’integrazione nella politica della difesa e della sicurezza europea (o a fare vuote dichiarazioni in questo senso), senza mai sollevare la questione del perché l’Unione europea dimostra di non avere nessuna capacità di azione politica, pur avendo le potenzialità per svolgere un ruolo cruciale nell’equilibrio internazionale. Il fatto che gli europei si limitino ad assistere al progressivo degrado della situazione internazionale verso esiti oscuri e minacciosi senza esercitare la benché minima influenza, sembra una cosa assolutamente normale. Oltre alle discussioni sul grado di fedeltà dimostrato agli Stati Uniti dai governi o dalle forze politiche, si levano solo l’auspicio (espresso senza nessun riferimento al modo in cui renderlo realizzabile) che ai civili siano risparmiate sofferenze, oppure il richiamo generico al dialogo con il mondo islamico (cui fa riscontro la crescente ondata razzista). Tutte espressioni di pii desideri di cui altri devono farsi carico. Nel frattempo i governi europei, col sostegno di gran parte dell’opposizione (ma le forze contrarie non hanno per questo una posizione politicamente e moralmente più corretta, perché incarnano semplicemente l’altra faccia dell’impotenza), fanno a gara per poter inviare un po’ di soldati in Afghanistan, per poter dire di essere presenti e quindi di avere un ruolo nel mondo, fieri di esser trattati in modo evidente – e meritato – come servi degli Stati Uniti.

Tutto questo avviene mentre paesi in preda a mille problemi, come la Cina e soprattutto la Russia, sono stati capaci di assumere, nel corso delle crisi, un ruolo di grande importanza, per il semplice fatto di essere grandi Stati continentali. L’Unione europea, invece, non è che una debole confederazione nella quale la maggiore preoccupazione dei governi degli Stati membri, invece di essere quella di promuovere l’interesse degli Stati europei nel mondo insieme alla collaborazione internazionale e la pace, è quella di far prevalere i propri meschini interessi provinciali nei confronti dei propri partner, senza curarsi di mettere a repentaglio l’esistenza stessa dell’Unione. In queste condizioni è inevitabile che le maggiori responsabilità in termini di iniziativa e di impegno politico, militare ed economico su scala globale ricadano sugli Stati Uniti, anche se questo apre interrogativi inquietanti, perché è difficile dire se gli americani avranno la forza e i mezzi per tentare anche solo di sciogliere i nodi più urgenti, in primis il sostegno ai regimi islamici moderati e la soluzione del problema palestinese. Così come è difficile pensare che la Russia e la Cina, che non hanno nessuna tradizione democratica, che sono portatori di un modello sostanzialmente autoritario del ruolo dello Stato, e che potranno evolvere verso sistemi liberaldemocratici solo con la lentezza che questi processi richiedono, possano immettere nell’equilibrio mondiale forti elementi di progresso e di pacificazione.

Le prospettive attualmente sul tappeto non lasciano presagire, dunque, spazio per un miglioramento della situazione. Solo la presenza di uno Stato Federale europeo, in grado di pesare sulla bilancia del potere mondiale con tutta la sua forza economica e politica, cambierebbe profondamente lo stato delle cose. Una politica attiva, colmerebbe quel vuoto di potere che gli Stati Uniti da soli non possono colmare e imprimerebbe una spinta fortissima verso la nascita di quell’ordine mondiale.

Nel suo recente intervento a Berlino (1), il Presidente del la Repubblica Ciampi ha toccato tutti i principali temi del futuro dell’Europa, dalla convenzione di Laeken alla costituzione europea, al rapporto tra cooperazione intergovernativa ed iniziative sovranazionali, all’allargamento e alla creazione di un gruppo d’avanguardia tra i paesi dell’Unione. Ancora una volta il Presidente Ciampi ha offerto una concreta prova del suo impegno e della sua fede nel l’unificazione politica del continente. Ma il suo intervento, che soprattutto nella premessa testimonia la sincera preoccupazione sul destino del processo di unificazione politica del l’Unione europea, rappresenta per coloro i quali dovrebbero proporsi di tradurre in azione le aspirazioni espresse dal Presidente, come tutte le forze politiche e gli stessi federalisti, un utile spunto per riflettere sull’esistenza o meno di un pia no coerente per la federazione europea e sul da farsi.

Esaminiamo brevemente i passaggi cruciali di questo intervento, citando tra virgolette le dichiarazioni fatte dal Presidente, incominciando dalle considerazioni sul ruolo della Convenzione che dovrebbe essere convocata dal vertice di Laeken. Essa dovrebbe portare ad una Costituzione europea, che tuttavia non sarebbe sufficiente per rispondere al quesito di “come far funzionare, senza attenuarne lo slancio vitale, una comunità composta da 25 o 27 Stati, su come sincronizzare metodi e tempi tecnici alle necessità del mondo contemporaneo”. Questa “Costituzione, poco importa come la si chiami, sarà il necessario suggello del processo diretto a riaffermare attraverso l’incorporazione della Carta dei Diritti Fondamentali i valori fondanti dell’identità europea e a riassumere la saggezza etica, giuridica, amministrativa accumulata in oltre cinquant’anni di storia europea”. Nel quadro di questa Costituzione potrà essere prevista l’estensione del l’uso della maggioranza nelle votazioni nel Consiglio europeo e qualche ritocco istituzionale per favorire il “passaggio verso una soggettività internazionale dell’Europa”. Ma, per non soccombere di fronte alle sfide mondiali, il processo di unificazione europea continuerà ad aver bisogno “che, fra gli Stati che si riconoscono nel progetto costituzionale europeo, possa operare un gruppo più ristretto capace di dare slancio al processo unitario che sia strumentale al progresso comune. Il modello non ha bisogno d’essere ideato né considerato come forzatura dello stato attuale dell’Unione: è già operante con l’Unione Economica e Monetaria e con la libera circolazione delle persone. Un centro di gravità, rappresentato da un gruppo di Paesi, grandi e piccoli, scevro di ogni gerarchia, che avanza insieme più integrato, corrisponde all’interesse di tutti”. Qual sarebbe dunque l’obiettivo politico di un simile disegno? Esso consisterebbe nello sviluppare nell’ambito dell’Unione Europea “due processi, fra di loro complementari: una Europa larga ancorata innanzitutto all’acquis comunitario, che si riconosca nella Costituzione e nella Carta Fondamentale dei Diritti; un gruppo di avanguardia più ristretto e aperto. Questo disegno complessivo avrà il suo punto d’arrivo e d’equilibrio in un assetto che corrisponda ad una Federazione di Stati-Nazione”.

A questo punto è lecito domandarsi: che Europa avremo con una Costituzione di nome, ma non di fatto? Quale sarebbe il potere d’attrazione di un centro di gravità costituito da paesi che si porrebbero come obiettivo quello di promuovere qualche politica di cooperazione rafforzata in più rispetto alle politiche perseguibili a 25 o a 27? E infine, quale influenza sulla politica internazionale avrebbe un’Europa che nei fatti continuerebbe a non avere una politica estera e di sicurezza unica?

Il Presidente Ciampi, al pari del suo predecessore Einaudi, riconosce che l’alternativa per gli europei è tra unirsi o perire ma, pur essendosi spinto più in là di qualsiasi altro esponente dell’attuale classe politica italiana nell’analisi dei problemi europei, non ha ancora tratto la conseguenza logica di questa riflessione: la necessità di creare uno Stato federale europeo. Il suo discorso conferma invece che, anche chi è più convinto della necessità dell’Europa e ricopre alte cariche, non riesce a formulare un coerente piano d’azione per la federazione europea. Continuando a considerare “indispensabile la sinergia tra gli aspetti sovranazionali e quelli intergovernativi nel processo unitario europeo”, si finisce con il rendere impensabile il passaggio dalla confederazione alla federazione. Così ci si culla nell’illusione di poter mantenere indefinitamente le sovranità nazionali accompagnandole ad un po’ di parvenza di statualità europea. E’ il ritorno delle vecchie aporie e dell’idea della federazione funzionale degli inizi anni cinquanta, sostenuta dagli avversari della CED e della federazione europea.

Come ammoniva Einaudi ai tempi della battaglia per la CED (2), riferendosi a coloro i quali sostenevano l’idea delle federazioni funzionali, cioè di quelle federazioni da farsi un po’ per volta, “gli Stati a pezzettini funzionano male o non funzionano affatto”. E precisava: “L’idea della federazione funzionale è frutto di confusione mentale. Soltanto i soliti pasticcioni possono immaginare che, in un dato territorio, possono coesistere parecchi Stati dotati tutti di poteri sovrani”.

Da tempo i federalisti sostengono che l’epoca della costruzione dell’Europa dei piccoli passi è finita. I recenti fatti richiederebbero di per sé un balzo in avanti definitivo verso la creazione di uno Stato federale europeo. Ma per fare un simile balzo bisognerebbe disporre di un piano e proporre un metodo che segnino una svolta rispetto al lento declino dell’Europa.

Il punto cruciale è quello che ha messo in evidenza, senza finora trarne le conseguenze, un anno fa il ministro degli esteri tedesco Fischer quando ha posto la domanda: “Puo’ la visione di una federazione europea essere perseguita utilizzando l’attuale metodo di integrazione o questo stesso metodo deve essere messo in dubbio?”

Se si vuole davvero la creazione di uno Stato federale europeo, con una sua costituzione federale elaborata da un’Assemblea costituente, occorre una precisa iniziativa dei paesi che cinquant’anni fa hanno avviato il cammino verso l’unificazione politica. E’ tuttavia difficile, se non impossibile, che una simile iniziativa possa prender vita se nessuno, a partire dai federalisti e dagli statisti più consapevoli, incomincia a rivendicarla con forza.

NOTE

1) Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al settimo forum europeo della Fondazione Quandt sul tema Unità nelle diversità: quale forma politica dovrebbe prendere l’Europa? , Berlino 16 Novembre 2001.

2)Luigi Einaudi, Lo scrittorio del Presidente 19481955, Einaudi editore, 1956, pag.67

 

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