È quasi una valanga: in questo momento il numero di prese di posizione sull’avvenire dell’Europa da parte di personalità politiche di primo piano supera ogni previsione”. Ferdinando Riccardi, editorialista dell’Agence Europe e uno degli analisti più attenti a quanto accade nell’Unione europea, commenta così il ripetersi, sempre più frequente, di interventi a sostegno di una profonda riforma dell’UE da parte di esponenti politici, soprattutto tedeschi, ma anche italiani e francesi, che spesso ricoprono incarichi istituzionali di alto livello.

Basti citare le recenti, e ripetute, posizioni della cancelliera tedesca Merkel riguardo alla necessità di approdare all’unità politica europea per completare in modo adeguato il progetto dell’unione monetaria e per realizzare un governo efficace e democratico; oppure al seminario promosso per il 20 marzo a Berlino dal ministro degli Esteri tedesco Westerwelle per riflettere sul rilancio del progetto di una Costituzione europea, vista l’inadeguatezza degli attuali meccanismi istituzionali dell’Unione: seminario che, al termine dei lavori, ha stabilito altri incontri per arrivare a definire un documento di proposte. Il 10 marzo è stato pubblicato contemporaneamente sul Corriere della sera e su Die Welt un appello italotedesco, con firme prestigiose del mondo politico e culturale di entrambi i paesi (basti citare per l’Italia Romano Prodi, Giuliano Amato, Guido Rossi, Franco Frattini, Emma Bonino e per la Germania HansGert Poettering, Ulrich Beck, Karl Lamers, Elmar Brok), in cui si chiede ai rispettivi parlamenti nazionali di accompagnare la ratifica del nuovo Trattato sul fiscal compact (da completare entro la fine di giugno) con una dichiarazione politica congiunta relativa alla necessità del rilancio, in tempi e modi che devono essere contestualmente indicati, di una forte Unione politica che preveda un governo federale. Si chiede inoltre che un’avanguardia di governi dei paesi membri dell’UE sottoponga al prossimo Consiglio europeo una Dichiarazione che avvii il dibattito sul futuro dell’Europa in vista della riforma del Trattato di Lisbona, chiaramente insufficiente rispetto all’esigenza, ormai non più rinviabile, di dotare l’Europa di capacità di agire nei settori cruciali dell’economia (sviluppo sostenibile, politica energetica, dimensione sociale, politica industriale), dell’immigrazione, della politica estera e di sicurezza; il dibattito deve riguardare anche l’aumento del bilancio europeo, per adeguarlo ai nuovi poteri, e le scelte di natura costituzionale necessarie per garantire la democraticità e l’efficacia del sistema istituzionale. Si chiede infine che gli stessi capi di Stato e di governo, già dall’autunno, sollecitino il Parlamento europeo ad elaborare su questa base un progetto costituzionale che apra la via ad un processo costituente e preveda una clausola di integrazione differenziata per far sì che i paesi più recalcitranti non blocchino quelli che vogliono procedere più speditamente sulla via dell’unione.

Questi esempi, che mostrano come il dibattito inizi ad entrare nei dettagli del metodo e dell’agenda per le riforme politiche, sono un segnale importante del cambio di mentalità che sta avvenendo tra gli esponenti politici più responsabili. Il momento di minore tensione sui mercati finanziari, infatti, non deve distogliere l’attenzione dai rischi che continuiamo a correre, legati al fatto che le nostre economie, che non crescono per ragioni strutturali, possono essere rilanciate solo nell’ambito di una vera unione politica ed economica a livello europeo. Chi è in prima linea per salvare l’euro e fronteggiare la crisi sta dunque prendendo coscienza della natura sostanzialmente politica delle difficoltà che l’Europa deve fronteggiare e del fatto che il pesantissimo e prolungato attacco speculativo contro l’euro dei mesi scorsi è da imputare innanzitutto alla fragilità di un’unione monetaria che, priva di strumenti di governo efficaci, non riesce ad affermare le potenzialità dell’area che rappresenta e rischia di farsi trascinare nel baratro dalle situazioni di maggiore debolezza.

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Se oggi, pertanto, l’ondata di attacchi speculativi si è leggermene calmata, la ragione è dovuta non solo al fatto che gli Stati più fragili hanno iniziato un percorso di risanamento; ma è legata soprattutto alle scelte compiute dai governi dell’eurozona che, anche se con fatica, stanno iniziando a tentare di affrontare i nodi cruciali e mandando segnali abbastanza chiari, sotto questo profilo, ai mercati. In particolare, pur con gli enormi limiti dei nuovi Trattati sul fiscal compact e sul Meccanismo europeo di stabilità, hanno mostrato di aver compreso l’esigenza di rafforzare il governo dell’euro avviando la nascita, a fianco dell’unione monetaria, di un’unione fiscale e di bilancio e creando strumenti più strutturati di solidarietà e sostegno reciproci. E’ sulla base di questo nuovo atteggiamento, inoltre, che è maturata la rottura con la Gran Bretagna, introducendo un elemento di chiarezza cruciale nel processo. Londra, infatti, continua a voler limitare il progetto europeo a quello del mercato unico, rifiutandosi di prendere in considerazione cessioni di sovranità, nonostante i fatti dimostrino, al contrario, che l’Europamercato è destinata ad essere travolta dalla crisi.

D’altro lato, questi avanzamenti contenuti nei due nuovi trattati, mettono anche in evidenza i problemi legati all’assenza di un bilancio autonomo europeo (di dimensioni compatibili con il finanziamento di progetti di investimento) e di una vera unione economica (perché se gli Stati devono riuscire a risanare i propri conti, una condizione indispensabile è al tempo stesso che si metta in campo una politica economica europea per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione); e soprattutto sollevano la questione della necessità di colmare l’enorme deficit democratico che il continuo trasferimento di competenze crea in un ambito confederale come quello europeo attuale.

La battaglia politica per la creazione di una effettiva sovranità europea, è quindi ancora tutta da giocare; e una condizione essenziale per determinarne l’esito è legata al ruolo che le forze politiche sapranno, o non sapranno, giocare per sostenere concretamente la nascita di un potere democratico europeo. Non si compie una grande rivoluzione pacifica, quale è la Federazione europea che innova radicalmente il concetto di democrazia facendolo evolvere rispetto alla sua stretta coincidenza con l’idea di nazione senza un dibattito profondo capace di incidere sulla cultura politica e di mobilitare l’opinione pubblica. Criticare i governi per il metodo intergovernativo con cui procedono senza saper proporre come alternativa concreta riforme per avviare la nascita di un sistema federale alimenta solo lo sconcerto e il malessere.

Purtroppo, invece, c’è ancora molta ambiguità e confusione sul piano delle prospettive istituzionali. Troppo spesso la battaglia per la democrazia europea viene scambiata con quella per il rafforzamento del metodo e del sistema comunitari, in realtà basati proprio sule sovranità nazionali e, in ultima istanza, causa dell’impasse in cui siamo precipitati. E’ evidente che bisogna pensare sia in termini di superamento degli attuali trattati, sia in senso propriamente costituente. I parlamentari europei dei paesi dell’euro, e soprattutto i più europeisti tra loro, devono avere il coraggio di aprire, subito, nel Parlamento europeo una battaglia per l’elaborazione di un proposta politica capace di rispondere ai quesiti che gli stessi governi, a Berlino, hanno saputo identificare: come rendere gli europei capaci di parlare con una voce unica nel mondo? Come fare un salto di qualità nell’integrazione? Come regolare la questione dei diversi livelli di integrazione presenti nell’UE in modo coerente?

Da parte nostra, come MFE, intendiamo sollecitare l’apertura di un dibattito sulla nuova architettura istituzionale necessaria all’Europa che preveda: il rafforzamento dell’unità politica tra i paesi dell’Eurozona nell’ambito dell’Unione europea, in modo che le decisioni sul piano politico, economico e fiscale siano democratiche ed efficaci; l’introduzione di una clausola di integrazione differenziata nel nuovo Trattato/Costituzione che dia tempo sufficiente ai paesi recalcitranti o di unirsi ai paesi decisi ad andare avanti o di trovare nuove forme di accomodamento nell’Unione; la convocazione di un’Assemblea/Convenzione costituente composta sia dai rappresentanti dei parlamentari eletti dai cittadini a livello nazionale ed europeo nei paesi che vogliono procedere verso l’unità politica, sia dagli esponenti dei relativi governi e della Commissione europea, con il mandato di elaborare, sulla base del progetto redatto dal Parlamento europeo e superando i veti nazionali, una Costituzione federale.

Di qui alle elezioni del 2014 il Parlamento europeo e le forze politiche dovranno dimostrare se sono all’altezza delle loro responsabilità, da cui dipende il futuro della società europea. E su questa base dovranno essere giudicati.

 

 

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