Sia chiaro. Con questo titolo non mi riferisco semplicemente al fatto che l’Italia repubblicana ha partecipato e partecipa a tante missioni militari il cui carattere – in ossequio formale al dettato costituzionale è sempre stato dichiarato di pace ma spesso si è rivelato tutt’altro: argomento su cui è già stato scritto tanto, anche di recente. Vorrei andare oltre, cercare di risalire alle cause, alle ragioni oggettive per cui governi di destra e di sinistra hanno spesso disatteso il dettato costituzionale. E vedere come e quando gli hanno tenuto fede.

Ovviamente l’articolo 11 va preso nel suo insieme e non, come fanno spesso i pacifisti, fermandosi alla prima frase. Letto nel suo insieme, ha una sua coerenza, una sua logica compiuta. E una forte connotazione federalista: non a caso. Piero Calamandrei, uno dei grandi “padri costituenti”, rivelò che la sua formulazione fu suggerita da un giovane appartenente alla GFE, l’organizzazione giovanile del Movimento federalista europeo. Quel giovane si chiamava Andrea Chiti Battelli: un nome significativo per quanti hanno speso energie tempo e passione nel federalismo europeo.

Rileggiamo il testo. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.“ Un testo innovativo rispetto alle tradizioni costituzionali.

La prima frase esprime un orientamento etico prima che politico, quasi una scelta di civiltà. E usa subito una parola forte: ripudia. Non dice rinuncia o rifiuta o simili... Ripudia: una parola che ha persino una connotazione emotiva, estranea al linguaggio dei costituzionalisti, come ben sottolineava Tecla Faranda, pacifista, dell’Associazione Giuristi Democratici, in una recente tavola rotonda sull’art. 11 cui ho partecipato.

Sarebbe molto facile osservare che quel “ripudio” appare un’affermazione astratta perchè si scontra con la dura realtà del sistema mondiale degli Stati, ossia con quella “anarchia internazionale” in cui la guerra è uno strumento ricorrente della politica. E non solo: anche nelle situazioni che chiamiamo di “pace”, sono i rapporti di forza a dettare le regole del gioco: forza economica e tecnologica e culturale e comunicativa, certo; ma anche (e come! e quanto!) militare. Per cui il rischio guerra, la minaccia, il timore della guerra sono sempre fattori determinanti degli equilibri, o squilibri, mondiali.

Ma, appunto, la prima frase non va letta da sola. Sono le frasi seguenti a darle concretezza e realismo. Enunciati i princìpi, la Costituzione indica lucidamente la condizione per tradurli in realtà: il superamento della sovranità assoluta degli Stati. Quella sovranità assoluta che li fa arbitri della pace e della guerra, della vita e della morte dei propri cittadini e degli altri. La Costituzione dunque prescrive che l’Italia consenta a quelle “limitazioni di sovranità” che sono “necessarie” per assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Ma, attenzione, c’è una condizione essenziale: “in condizioni di parità con gli altri Stati”. Questo è un punto ineludibile per valutare se e quando l’art. 11 è stato attuato, e quando è stato violato, nella prassi politica di quasi sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione.

Quando è stato attuato? La risposta è ovvia: tutte le volte che l’Italia si è fatta partecipe, e addirittura, come prescrive l’art. 11 (“promuove e favorisce...”), è stata promotrice dell’unificazione europea. Non si può negare che il processo di integrazione abbia implicato limitazioni della sovranità nazionale; che esso sia servito a unire e pacificare popoli un tempo nemici, a cominciare da Francia e Germania per estendersi poi via via, a macchia d’olio, fino all’Est europeo; che abbia bandito dal comune sentire l’idea stessa della guerra fra i popoli coinvolti; senza contare quanto ha apportato in termini di sviluppo, elevazione delle condizioni umane e dei diritti, eccetera. Quelle limitazioni della sovranità italiana sono avvenute in condizioni di parità con gli altri Stati.

Purtroppo l’unificazione si è fermata al di qua di una certa soglia, quella che occorre varcare per dare alle istituzioni europee caratteri e poteri statuali. Solo se e quando si farà questo passo, ossia si fonderà lo Stato federale dei popoli europei, la loro pacificazione sarà definitiva, ogni Stato nazionale disarmerà per trasferire le proprie forze militari al livello europeo (e con ciò la guerra fra i popoli coinvolti sarà non solo “ripudiata” ma impossibile), e rinuncerà alla propria politica estera per creare una politica estera federale. Solo allora noi europei potremo agire con efficacia per quella politica di pace fra i popoli e di giustizia, di lotta alle povertà, che per troppe ragioni è nel nostro interesse, oltre che nei nostri valori ormai condivisi.

Come accennavo l’Italia, conformemente al dettato costituzionale, in alcuni momenti si è battuta non solo per l’integrazione economica, ma per l’unificazione federale: in particolare con la proposta Spinelli/De Gasperi di Comunità politica del 1951, e con il referendum popolare federalista dell’89. Ma per un insieme di circostanze, talora anche per responsabilità italiane, l’unità politica europea non c’è ancora. E proprio per questo il dettato costituzionale è stato molte volte disatteso e contraddetto, addirittura capovolto. Mi spiego. Nel quadro internazionale succeduto alla seconda guerra mondiale, la politica estera dei Paesi dell’Europa occidentale è stata generalmente determinata, o addirittura dettata, dal potente alleato americano. Né poteva avvenire diversamente. In questo si è verificata, per noi come per gli altri Stati, una effettiva “limitazione di sovranità”: certo, non nelle forme brutali e oppressive con cui essa si verificò nell’area d’influenza sovietica; anzi, fino a un certo punto la protezione americana ha consentito a noi europei di procedere in sicurezza nel cammino di integrazione e di sviluppo economico e civile.

Si è avuta dunque una limitazione di sovranità de facto, dettata dalla situazione storica. Non però “in condizioni di parità”: anzi, creata proprio dalla mancanza di qualsiasi possibile parità con la superpotenza. Di più: quelle limitazioni di sovranità spesso non sono servite ad “assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni”, bensì a fare l’opposto, spingendo talora gli Stati europei, Italia inclusa, ad avallare e sostenere iniziative militari avventurose e devastanti.

 

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