Ripubblichiamo, a vent'anni di distanza, in questo momento di grave confusione del sistema politico italiano, il testo della mozione proposta da Albertini ed approvata dal Comitato centrale del MFE il 13 marzo 1993.

 

La priorità europea nella crisi italiana

1. I fatti stanno confermando che Spinelli non solo ha avuto ragione, ma è stato addirittura profetico quando, nel 1941, nella meditazione di Ventotene circa il che fare dopo la fine della seconda guerra mondiale e la auspicabile sconfitta del fascismo, aveva osservato che la linea di divisione fra partiti progressisti e reazionari separava ormai quelli che concepivano come fine essenziale della lotta «la conquista del potere politico nazionale» e quelli che vedevano «come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale». Spinelli aveva così spostato dalle nazioni all’Europa la questione politica suprema, quella delle alternative al fascismo, al nazismo e alle forze storiche che li avevano imposti, alternative che si riducevano praticamente ad una sola, valida per tutti: la sostituzione del sistema europeo degli Stati con la Federazione europea. Spinelli aveva in tal modo previsto che gli Stati europei sarebbero ricaduti nelle aporie del passato se, illudendosi sull’efficacia dell’alternativa interna ai singoli paesi, non avessero perseguito con volontà sufficiente l’unità politica dell’Europa.

2. L’Europa non è stata unificata politicamente e le aporie del passato sono ormai di nuovo tra noi con il loro volto ripugnante di un tempo che ha persino trovato nuove forme, come quella della «pulizia etnica», per ribadire la supremazia della violenza disumana. E in Italia siamo arrivati nella situazione, che il Movimento federalista europeo aveva compreso e denunciato sin dal suo primo apparire, di una crisi di regime con evidenti aspetti prefascisti.
I partiti antifascisti, nei quali si erano manifestate le grandi tradizioni liberali, democratiche e sociali del pensiero europeo, non sono riusciti a farle vivere, non sono riusciti a far funzionare i meccanismi democratici normali del governo e dell’opposizione, e, riducendo la lotta politica al problema del potere per il potere, si sono guastati e hanno lasciato crescere nel loro seno, sia pure in misura diversa, una vera e propria banda di lestofanti che di politico hanno solo il nome.
In questa situazione la magistratura è stata sempre più portata su un terreno che non è il suo ed ha finito col dover usare mezzi giuridici per risolvere problemi politici con conseguenze negative tanto per quei giudici che hanno perso il lume della ragione erigendosi di fatto al ruolo di protagonisti politici e giungendo sino a dire che non hanno paura né del diavolo né del Padreterno, quanto per i cittadini che sono messi in condizione di non poter giudicare perché il processo politico ha perso le sue forme democratiche normali stravolgendo i ruoli che caratterizzano lo Stato di diritto. E i moralisti, che infestano la stampa e la televisione, come sempre accade in queste situazioni, si sono scatenati sino a far nascere le prime forme di un sentimento popolare che rovinerebbe definitivamente l’Italia, quello della crociata dei buoni contro i cattivi che priva la popolazione di qualsiasi criterio per valutare razionalmente fatti e scelte.
La confusione regna sovrana. L’opposizione al vecchio regime tende a svilupparsi fuori dal quadro istituzionale normale, e persino le forze di opposizione che restano apparentemente nel quadro istituzionale hanno ormai come obiettivo reale non il risanamento dell’Italia ma l’aumento del loro potere, senza rendersi conto che in un’Italia devastata la loro sarebbe una vittoria di Pirro.

3. L’ultima speranza sta negli uomini di buona volontà, a patto che essi sappiano avere la lucidità necessaria per capire i termini reali della situazione e per agire sui fattori effettivamente decisivi. A patto cioè che sappiano fare ciò che non seppero fare le forze liberali, democratiche e sociali negli anni dell’avvento del fascismo.
Il terreno è quello delle riforme; il problema quello delle priorità. Identificare le riforme è relativamente facile: bisogna cambiare il sistema elettorale, modificare il sistema politico nei punti nei quali non funziona, risanare la finanza pubblica, privatizzare l’industria di Stato, e, appena ciò sia realmente possibile, rilanciare l’economia per riassorbire la disoccupazione. Si tratta pertanto, in primo luogo, di stabilire freddamente la consistenza effettiva di ciascuna di queste riforme; e, in secondo luogo, di precisare la loro gerarchia, tenendo presente l’apporto che ciascuna di esse può effettivamente dare alla soluzione della crisi italiana.
Una menzione particolare va comunque fatta per quanto riguarda la riforma elettorale e istituzionale. Sono molti quelli che pensano che sia possibile, con una riforma elettorale e istituzionale, affidare veramente al popolo la scelta del governo e in tal modo guarire l’Italia. È un miracolismo che ci perderebbe. È evidente che la migliore Italia possibile, sotto il profilo istituzionale, sarebbe pur sempre un disastro per gli italiani qualora l’Europa si dividesse scatenando ovunque la follia del nazionalismo.
Va d’altra parte tenuto presente: a) che la democrazia è in difficoltà ovunque, quale che sia il sistema elettorale e di governo adottato; b) che i regimi democratici sono «poliarchie» con differenze più o meno marcate tra élite dirigente e popolo; c) che un governo scelto dal popolo nel significato letterale dell’espressione, cioè una democrazia compiuta, ci sarà, se ci sarà, solo inuna Federazione mondiale, come ha chiarito Kant.

4. Con ciò non si vuol dire che non sia necessaria una riforma elettorale e istituzionale. Si vuol dire solo che essa è una delle cose da fare, e non la sola, nel quadro di una precisa scala di priorità che ci consenta di fare oggi quello che domani non potrebbe più essere fatto, e che, se non fatto, impedirebbe la soluzione degli altri problemi italiani. Ciò riguarda soprattutto la dimensione europea della politica italiana. A ribadirne l’importanza va tenuto presente il fatto che nel nostro dopoguerra il processo storico italiano ha avuto un carattere nettamente positivo nel contesto nel quale l’Europa ha raggiunto una prima forma di unità (quello economico), e un carattere nettamente negativo nel contesto nel quale è perdurata la divisione (quello politico).
Questo rilievo, d’altra parte, fa entrare in gioco il fattore tempo. L’Europa si trova ormai di fronte alla scelta definitiva tra l’unità, perseguibile con l’Unione politica e monetaria, e la divisione, inevitabile qualora si riducesse ad una semplice area di libero scambio priva di governo, e quindi facile preda delle divergenze che sorgerebbero fra gli Stati nella confusa situazione internazionale che si va delineando.
Così stando le cose, risulta evidente la scala delle priorità. Si tratta, innanzitutto, di risanare l’economia e la finanza pubblica per essere in grado di partecipare sin dal principio alla creazione della moneta europea. Va naturalmente sottolineato che questa è una priorità logica e non cronologica. Ciò che conta è che, per tutte le riforme da fare in Italia, si tenga presente che il parametro supremo da rispettare è quello dei tempi e dei modi della costruzione europea prevista dal Trattato di Maastricht.
Due cose vanno ancora messe in evidenza. La prima riguarda il fatto che la politica italiana, se fosse effettivamente determinata dalla priorità europea e presentata ai cittadini come tale, permetterebbe di superare il disorientamento e la sfiducia che dominano attualmente l’animo degli italiani. La seconda è che la costruzione prevista dal Trattato di Maastricht è ancora in dubbio, e persino in pericolo se si verificasse l’allargamento della Comunità prima del suo approfondimento. Per questo si è formato, soprattutto in Francia e in Germania, il convincimento della necessità di accelerare i tempi della costruzione europea, ed è chiaro che un’Italia che avesse ritrovato lo spirito di Alcide De Gasperi e di Altiero Spinelli potrebbe svolgere a questo riguardo un ruolo importante.


Testo approvato dal Comitato centrale del Mfe il 13 marzo 1993. In «L’Unità europea», XX n.s. (marzo-aprile 1993), n. 229-230.

 

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