L’esempio indiano mostra come sia possibile ottenere una solida unità nonostante una popolazione che racchiude un mosaico di diversità sociali, linguistiche e religiose.

Lo scorso 5 maggio una serie di bombe è esplosa in diverse zone di Jaipur, una tra le dieci città più grandi dell’India, provocando il triste bilancio di ottanta morti e di centocinquanta feriti. Questi attentati vengono fatti risalire con tutta probabilità ad estremisti islamici della regione del Kashmir o ad altre formazioni analoghe fondamentaliste e sono purtroppo ricorrenti nella storia indiana degli ultimi decenni. Sono il segno delle tensioni presenti in alcune aree, correlate anche ai difficili rapporti mai risolti con il Pakistan. Questi episodi, insieme all’ascesa negli ultimi anni di formazioni integraliste indù, rappresentano un aspetto certamente importante della realtà indiana odierna e spesso vengono riprese ed enfatizzate dai media occidentali; ma si commetterebbe un errore se si credesse che questa conflittualità esaurisce la realtà del paese.

L’India, nella sua storia millenaria, ha avuto grandissimi esempi di integrazione e di convivenza di culture e religioni diverse e tuttora la tolleranza e il rispetto reciproco sono valori diffusi e sedimentati nella popolazione indiana; nella sua grande eterogeneità questa nazione è costituita da una delle più grandi comunità musulmane al mondo che convive con numerosi altri gruppi religiosi e con la maggioranza indù (che rappresenta circa l’80% della popolazione).

Sotto questo profilo, l’India rappresenta un esempio straordinario per il mondo, come sottolinea anche Federico Rampini nelle sue recenti pubblicazioni in cui egli evidenzia come questo aspetto sia fondamentale per l’analisi dell’India di oggi.

Senza dubbio l’altro elemento dirompente e sotto gli occhi di tutti è dato dal fatto che la democrazia indiana sta vivendo uno straordinario periodo di sviluppo economico che su scala mondiale è secondo solo a quello della Cina. Il grande slancio che è riuscita a prendere nell’ultimo decennio la sta portando a ridurre significativamente e con costanza ogni anno i livelli di povertà, malnutrizione e analfabetismo della sua popolazione. E’ previsto da autorevoli istituti come GoldmanSachs che entro il 2050 il reddito procapite sarà superiore di ben 350 volte a quello attuale e che per quella data l’economia indiana supererà quella statunitense e si porterà sui livelli di quella cinese. Solo trenta o quarant’anni fa tutto ciò era impensabile e la sopravvivenza stessa della democrazia era considerata improbabile. Nel febbraio del 1967 il Times di Londra pubblicava una serie di reportage intitolati “India, una democrazia che si disintegra” prefigurando l’instaurazione di una dittatura militare comunista. Oggi gli scenari sono molto diversi e la democrazia e le istituzioni hanno guadagnato consenso, e sono ormai solide.

Come si spiega questo percorso vincente e come è potuto avvenire? Secondo Rampini, per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto capire le caratteristiche di fondo e il quadro politico dello sviluppo che l’India sta vivendo. L’esperimento democratico indiano è il più originale e si discosta da ciò che è avvenuto in Europa dove le democrazie hanno dovuto superare ostacoli minori perché sono arrivate in uno stadio più tardivo dello sviluppo. L’India è l’unico caso di una grande nazione in cui la modernizzazione economica e l’integrazione in un’economia globale di mercato sono avvenute sotto un governo liberaldemocratico, nel rispetto della volontà popolare e delle minoranze. Un aspetto caratteristico della democrazia indiana è che le classi popolari hanno partecipato alle elezioni più dei ceti medioalti, influenzando quindi le scelte di governo. Tuttavia ciò non ha creato la paralisi del sistema ma ha permesso di controllare i processi economici offrendo un modello, molto più significativo rispetto agli esempi occidentali, per la maggior parte dei popoli in via di sviluppo del mondo dall’Asia, all’America Latina, all’Africa.

Partendo da queste considerazioni si possono quindi capire le caratteristiche dell’ascesa indiana e la speranza e l’ottimismo con cui una nazione di giovani il 70% della popolazione è sotto i 35 anni ed entro 25 anni il numero complessivo supererà quello della Cina vede il proprio futuro. Si può anche capire come la forza indiana possa diventare un contrappeso prezioso nei confronti della tendenza in atto che vede l’ascesa di superpotenze autoritarie come lo sono, anche se in modi diversi, la Cina e la Russia. L’espansione internazionale delle frontiere della democrazia, infatti, sembra essersi arrestata e negli equilibri mondiali hanno un peso dominante paesi che sono al tempo stesso non democratici ed economicamente dinamici.

Un partner ideale per l’India, per valorizzarne le potenzialità nel quadro mondiale, potrebbe essere l’Europa se questa non fosse ancora divisa e quindi incapace di rappresentare un interlocutore politico autorevole. L’Europa avrebbe dovuto rappresentare il modello di integrazione capace di indicare al resto del mondo la via della creazione di un’unità statuale federale in un’area formata da Stati nazionali. Al contrario, in questo momento è proprio l’India che sta affrontando concretamente e proponendo una sua via ad alcune delle principali sfide globali: quella di coniugare la democrazia e la libertà con lo sviluppo, quella di superare lo scontro tra pluralismo e fondamentalismo e di risolvere la contrapposizione tra globalizzazione e tradizione. Grazie alla struttura federale del suo Stato e alle sue dimensioni continentali, questi problemi possono essere affrontati utilizzando le risorse dei diversi livelli di governo e coniugando le politiche realizzabili a livello dello Stato centrale con quelle degli Stati membri. Anche se le imperfezioni del sistema indiano e gli elementi di corruzione e di inefficienza sono rilevanti, nel complesso questo sistema dimostra di essere molto più efficiente di quelli burocratici centralizzati, pur mantenendo la caratteristica di una forte coesione statale.

Sotto questo profilo, l’Europa avrebbe molto da imparare, vista la debolezza delle strutture politiche dell’Unione, tuttora subordinate a quelle degli Stati nazionali nei campi decisivi. Di fatto la struttura confederale e intergovernativa, fondata in ultima istanza sulla cooperazione tra gli Stati membri, non permette di promuovere le politiche che sarebbe necessario realizzare su scala continentale. L’esempio indiano invece mostra come sia possibile ottenere una solida unità nonostante una popolazione che racchiude un mosaico di diversità sociali, linguistiche e religiose. Nella sua millenaria storia prima del 1947 questo paese non era mai stato unificato territorialmente sotto un solo governo. Oggi invece la sua varietà è riconosciuta e accolta dentro una struttura federale che funziona. Questa è la sfida che gli europei devono ancora vincere.

 

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