La lotta al terrorismo internazionale vede protagonista la Cia sin dall’avvio delle campagne militari del presidente George Bush. La scelta unilateralista, che scavalca il Consiglio di sicurezza dell’Onu e che stravolge il quadro dei rapporti internazionali degli Stati Uniti dopo la fine della guerra fredda, ha nella Cia tanto l’elemento di continuità che di discontinuità tra l’amministrazione Clinton e quella Bush. I falsi rapporti sulla detenzione di armi di distruzione di massa in Iraq, le informative che mettevano in luce la recrudescenza delle attività terroristiche di Al Qaeda avvalorano la tesi che vede nella Cia, oltre che un’organizzazione di intelligence, un vero e proprio soggetto capace di indirizzare il corso della politica internazionale. Capacità tanto più evidenti e pervasive se confrontate con un debole ed impalpabile presidente americano, condizionato e condizionabile, ma anche con una debolissima Europa, condizionabile e condizionata.

Un esempio può venire dalla vicenda relativa all’attività della CIA in Europa dopo l’11 settembre. Il 15 dicembre 2005 il Parlamento europeo adotta una risoluzione che chiede un’indagine su tale attività in relazione ai presunti voli di prigionieri e alle carceri clandestine. La risoluzione ammonisce che qualora siano provate queste ipotesi, il Parlamento chiederà la sospensione dei diritti in seno all’Ue degli Stati membri coinvolti. La risoluzione è approvata con 369 voti favorevoli, 127 contrari e 32 astensioni. La commissione temporanea d’inchiesta deve accertare se la Cia è stata coinvolta nelle consegne speciali dei prigionieri fantasma sottoposti a trattamenti crudeli e tortura in siti segreti presenti nel territorio dell’Unione europea e se tra le operazioni speciali figurano cittadini e/o funzionari pubblici degli Stati membri dell’Unione. Il 6 luglio 2006 il Parlamento approva la relazione intermedia della commissione, predisposta dal relatore Claudio Fava, in cui si afferma: “La CIA, in taluni casi, è stata direttamente responsabile dell’arresto, dell’espulsione, del rapimento e della detenzione illegali di persone sospettate di terrorismo in Europa”. Con 389 favorevoli, 137 contrari e 55 astensioni il Parlamento approva la relazione e prolunga di sei mesi i lavori della commissione stessa.

Anche il Consiglio d’Europa si occupa della questione. Il 3 luglio a larga maggioranza (95 si, 16 no e 9 astenuti), l’Assemblea parlamentare approva la relazione del senatore svizzero Dick Marty sulle operazioni Cia in Europa. Si afferma che agenti dei servizi nazionali europei hanno collaborato alle consegne ed ai trasferimenti di persone sospettate di terrorismo. Il rapporto cita 14 paesi europei che sono stati coinvolti nei voli segreti della Cia e il caso di Polonia e Romania, che hanno ospitato i centri di detenzione clandestini. Sette i paesi accusati di violazione dei diritti dell’uomo nel corso dei trasferimenti illegali: Italia, Svezia, Bosnia Herzegovina, Regno Unito, Macedonia, Germania, Turchia. Altri sette paesi, Polonia, Romania, Spagna, Cipro, Irlanda, Portogallo e Grecia, sono citati per collusione. Il Commissario Franco Frattini, vice presidente e commissario europeo alla giustizia e interni, nonché ministro degli esteri italiano all’epoca del sequestro di Abu Omar nel 2003 a Milano, è stato presente alla seduta.

Che misure concrete si può pensare che riusciranno a prendere queste istituzioni europee, avendo ormai accertato i fatti? E’ difficile ipotizzare iniziative di un qualche peso.

E’ vero infatti che si è registrato uno strappo nei rapporti tra Europa e Stati Uniti dopo l’11 settembre, ma questo nasce soprattutto dalla valutazione degli americani circa l’assoluta insufficienza dell’Europa nel settore della sicurezza e della difesa. L’Unione europea non è in grado di sostenere l’apparato antiterroristico americano che fa perno, prima ancora che sulle strutture militari, sui propri servizi segreti. Consiglio europeo, Mister Pesc, Europol, Eurojust oscillano tra l’inesistente ed il patetico quando si confrontano con le politiche antiterroristiche. L’unilateralismo americano arriva a distinguere tra gli europei buoni, gli asserviti agli interessi americani, ed i cattivi, Francia in testa, inutili e vetero-europei. L’Europa si trova così ad essere, per volontà americana ma anche per sua incapacità oggettiva, solo un triste comprimario di attività illegali di contrasto antiterroristico della Cia.

* * *

Molti osservatori mettono in evidenza come l’amministrazione Bush stia progressivamente abbandonando la scelta unilateralista. Se così fosse, il cambiamento di rotta non potrebbe non vedere il sostanziale consenso dei servizi di intelligence. Il 21 giugno si è tenuto il Vertice Usa/Ue a Vienna che ha rilanciato la partnership strategica contro il terrorismo internazionale, anche se rimangono aperte le questioni sull’uso illegittimo del trattamento dei prigionieri in conformità al diritto umanitario internazionale. La recente crisi libanese, con l’intervento di interposizione delle forze Unifil sotto il comando strategico dell’Onu, con gli USA spettatori consenzienti, sembra avvalorare la tesi di un cambiamento di rotta.

Ma in realtà, non siamo piuttosto di fronte a scelte di opportunismo tattico che non vanno ad incidere minimamente sulla scelta unilateralista? Gli Stati Uniti sono l’alleato di Israele, non avrebbero mai potuto farsi promotore di un’iniziativa di pacificazione credibile agli occhi dei paesi arabi. Siamo in presenza di un nuovo corso delle relazioni transatlantiche o solo in una fase in cui gli Europei divisi, incapaci di garantire un’efficace presenza internazionale di contrasto al terrorismo internazionale, sono opportunamente utilizzati per attività marginali e di supporto come l’interposizione tra forze belligeranti?

La strategia di guerra appare fallimentare. L’Iraq e l’Afganistan sono sempre più incontrollabili. La lotta al terrorismo non registra alcun successo sostanziale, anzi, vede crescere il “nemico”. Eppure il presidente Bush rilancia ancora una volta la scelta bellicista in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre.

Da parte sua l’Europa nasconde le ferite accumulate durante la triste e per molti versi indecorosa vicenda costituzionale, sotto la foglia di fico del grande successo ottenuto con l’accordo/staffetta sul comando del contingente Onu in Libano. Né l’Unione europea, né alcuno dei suoi 25 Stati membri, è capace di articolare un seppur minimo cenno sull’improrogabile esigenza della creazione di strumenti di difesa e sicurezza, esercito compreso. L’Europa non è capace di diventare alleato paritario e si accontenta di essere asservita agli interessi degli Stati Uniti. Possono mai essere queste le premesse per il rilancio di un nuovo corso delle relazioni internazionali che prescindano dalle prioritarie esigenze, approvvigionamenti energetici compresi, degli Stati Uniti?

La realtà è che solo un vero e proprio Stato europeo potrebbe imporsi come interlocutore paritario agli USA. Ma questo obiettivo non è più contemplato né nei nuovi trattati, né nel futuro dell’Unione europea. L’UE vede il suo vantato “soft power” ignorato o strumentalizzato ogni giorno nei rapporti internazionali, ma preferisce illudersi di poter giocare un proprio ruolo, rinunciando persino a comprendere quali dovrebbero essere le sue reali responsabilità. Fino a quando gli Stati che nel ’50 hanno avviato il processo europeo con lo scopo di dar vita ad una federazione europea unita politicamente e sovrana accetteranno questa situazione che umilia tutti gi europei? Il compito di invertire l’attuale tendenza europea spetta a loro. Solo rilanciando su basi nuove il processo europeo, creando subito un primo nucleo federale aperto ai paesi che vorranno aderirvi, essi potranno ridare dignità all’Europa e creare quel nuovo polo europeo di cui l’attuale caos internazionale avrebbe disperatamente bisogno.

 

Informazioni aggiuntive