Fino a pochi anni fa, L’Asia sviluppata era rappresentata dal Giappone. Oggi il Giappone è sempre all’avanguardia tecnologica e scientifica, ed è ancora complessivamente nelle prime posizioni mondiali, ma è stato ridimensionato sia dalla crisi finanziaria degli anni passati, sia dall’emergere della Cina e, in misura minore, dell’India.

A loro volta le tigri asiatiche tra cui Taiwan, Corea, Indonesia hanno dovuto subire una diminuzione degli investimenti stranieri sempre più attratti dalla Cina, che ha il primato nella destinazione degli investimenti esteri mondiali (60 miliardi di dollari). La stessa Europa ha subito un crollo degli investimenti esteri del 27%.

L’apertura della Cina al mercato mondiale, i crescenti contatti col mondo occidentale e l’adeguamento al suo modo di produrre, quello industriale, avvenuti soprattutto negli anni 90 e continuati con l’ingresso nel WTO, hanno sconvolto gli equilibri commerciali internazionali precedenti. Ciò è avvenuto nel campo dell’occupazione, della ricerca, dell’ambiente, dell’approvvigionamento delle materie prime, dei consumi, della distribuzione del potere mondiale. La velocità di questi cambiamenti e l’importanza immediata di questa presenza era stata in parte sottovalutata.

Dall’ingresso della Cina nel mercato mondiale gli USA e l’Unione europea si aspettavano maggiori vantaggi per le rispettive economie. La Cina è invece diventata in breve tempo un concorrente temibile. Già oggi il 60 % del suo PIL deriva da settori liberalizzati.

Come scrive Federico Rampini nel libro Il secolo cinese (2005, Mondadori), “assistiamo a uno di quegli spostamenti sismici che cambiano il corso della storia umana. Mentre trasforma se stessa a una velocità inaudita, la Cina trasforma inevitabilmente l’intero pianeta… Mai nel mondo contemporaneo, un paese emergente ha avuto lo stesso potere di scuotere i rapporti di forza economici e gli equilibri diplomatici e militari”.

Le aree mondiali che dominano il mondo dal punto di vista economico e monetario e dal punto di vista militare sono ormai grandi Stati continentali.

La Cina, pur con i suoi grandi limiti nel campo dell’applicazione della democrazia e della giustizia sociale e le sue contraddizioni interne, grazie a una gestione statuale della politica estera, dell’economia e della moneta è diventata un polo mondiale capace di influenzare le scelte di una superpotenza come gli USA. Di fronte a questo scenario Corea e Giappone si mostrano preoccupati di restare in prima linea senza la protezione USA. Il Giappone ha già approvato un piano quinquennale per la costruzione di un sistema di difesa antimissile (in cooperazione con gli USA) e per potenziare la propria capacità aerea a lungo raggio.

Nel mondo la partita dello sviluppo e della politica di potenza sembra ormai ristretta a Cina e USA. E l’Unione europea?

Gli europei paiono estranei alle scelte decisive e fuori dai giochi che contano. I tempi del processo di integrazione europea sono ormai troppo lenti. Pur essendo ancora una grande potenza commerciale, l’Unione agisce in ordine sparso attraverso i suoi paesi membri. A differenza di USA e Cina, l’Unione Europea non ha un ruolo incisivo e unitario per la mancanza di uno Stato capace di agire nell’interesse e per conto dei suoi cittadini .

Alcuni dati economici dovrebbero far riflettere gli europei sui rischi che corrono:

  • il permanere di bassi tassi di crescita economica annua in Europa negli ultimi anni rispetto alle altre aree :0,62% dell’Unione, contro il 4,5% degli Usa , il 4,55% dell’India e il 99,5% della Cina;
  • mentre USA, Cina e India hanno ininterrottamente investito in ricerca scientifica e tecnologica e istruzione, l’Unione europea cerca di correre ai ripari, ricorrendo a 25 politiche nazionali: “Più della metà delle multinazionali hanno delocalizzato (la loro produzione) in Cina, India o Singapore. La Cina, da oggi al 2009 diventerà il loro primo luogo di impianto delle attività di ricerca. La Cina che nel 93 aveva accolto il suo primo centro di ricerca di R&D della Motorola, oggi ne conta 700” (Le Monde, 11005);
  • l’euro, che potrebbe avere un enorme peso nel riequilibrio monetario mondiale insieme a dollaro e renmimbi, non essendo la moneta di uno Stato con una sua politica economica e monetaria, appare in balia delle fluttuazioni del dollaro e non può esprimere tutte le sue potenzialità. Il nuovo sistema monetario informale è ormai quello gestito da USA e Cina in una nuova Bretton Woods;
  • gli europei, oltre ad essere preoccupati per la disoccupazione provocata dalla delocalizzazione delle loro imprese in Asia, stanno gestendo male lo spostamento verso est di investimenti e ulteriori delocalizzazioni dalla “ vecchia” Europa alla “nuova”.

Se l’ascesa cinese preoccupa, una sua eventuale crisi spaventa. Gli 800 milioni di contadini potrebbero mal sopportare l’enorme divario di reddito e condizioni di vita con 20 milioni di cinesi ricchissimi e gli oltre duecento milioni di cinesi con redditi occidentali. L’enorme inquinamento ambientale che vede nelle grandi città cinesi ridursi drasticamente la vita media attesa a 53 anni contro i 72 del resto del paese, potrebbe innescare proteste difficilmente governabili.

Anche gli Stati Uniti si trovano a gestire situazioni difficili: faticano ormai nel loro ruolo di gendarmi del mondo, continuano ad avere il debito più alto del mondo e un’economia che rischia nei settori trainanti di non ritrovarsi più scienziati e tecnici stranieri. Le domande dei laureati cinesi nel 20042005 per iscriversi alle Università americane sono crollate del 45% rispetto all’anno precedente, Per gli studenti Indiani il calo è stato del 28% .

Il Presidente Chirac ha recentemente dichiarato che l’Europa non può fermarsi quando il resto del mondo accelera il passo, pena la rinuncia al controllo del proprio destino. Il fatto è che l’Europa come soggetto politico autonomo non esiste. Non solo, essa rischia di esistere solo come un mercato sempre più ampio.

Ma un grande mercato senza Stato non avrà alcuna chance di influenzare un corso della storia in cui si stanno immettendo miliardi di uomini organizzati in Stati continentali.

 

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