Cercare di descrivere il nostro tempo non è facile. La società globale, la frammentazione dei conflitti, i rapporti internazionali sono elementi che concorrono alla formazione di un sistema complesso, la cui interpretazione è particolarmente ostica.

È necessario, infatti, cogliere il carattere mutevole e fluido dell'epoca attuale; come ha teorizzato Arjun Appadurai, antropologo statunitense di origine indiana, il mondo moderno è attraversato da grandi flussi impetuosi: il flusso di uomini in movimento, il flusso della tecnologia, il flusso del denaro, il flusso delle immagini mediatiche, ed il flusso delle idee e delle ideologie. Correnti inarrestabili che, sebbene parzialmente disgiunte, si influenzano a vicenda; inutile dire che l'immersione perenne in un panorama così rapido e cangiante ostacola la formulazione di una narrazione oggettiva del mondo.

Anche se ci limitassimo a studiare la fisionomia di una singola nazione, faticheremmo a coglierne i tratti caratteristici, e ci troveremmo nell'impossibilità di poterla considerare un idolo protetto, indipendente e perfettamente definito.

Questo è particolarmente vero per un ibrido come la Cina.

La Cina di oggi, una repubblica popolare comunista, approdo di un travagliato e sanguinoso secolo segnato da una tremenda guerra civile e da conflitti internazionali, è un enigma politico.

La grande pretesa della classe dirigente è quella di sintetizzare il liberalismo economico, i valori etico-sociali promossi da Confucio e l'ideologia maoista in un solo omogeneo spirito nazionale. Non è facile addentrarsi in spiegazioni dettagliate di tale miscela, ma ciò che pare chiaro, perlomeno, è che questo rivalutato pensiero confuciano, che sottolinea la necessità di una rigida gerarchia ed il bisogno di una benevola autorità di pochi saggi, contribuisce al mantenimento dello status quo,  a vantaggio del Partito Comunista, oggi guidato da Xi Jinping.

Per capire il modello cinese, vale forse la pena fare un breve passo indietro, e ricordare quella che è stata la linea politica del Partito Comunista Cinese da molti anni a questa parte: il riformismo.

Deng Xiaoping, che, dopo la morte di Mao, ricoprì per lungo tempo le massime cariche dello Stato, promulgò nel 1978 una efficace riforma per stimolare la progressiva integrazione dell'economia cinese nel mercato mondiale; tale scelta diede avvio al passaggio da un economia pianificata ad un'economia più vicina a quella di mercato libero, sottoposta al controllo statale, ma in modo più aperto e meno rigido rispetto al passato, in totale contraddizione rispetto alle direttive maoiste.

Negli anni seguenti la Cina visse un vero e proprio miracolo economico; le riforme, che riorganizzarono e modernizzarono la produzione agricola, allora cuore pulsante dell'economia cinese, ed in seguito il settore industriale, diedero vigore al paese ed innalzarono il livello di vita delle masse.

La Cina ha sperimentato un periodo di incredibile crescita tra il 1978 e il 2011, con un tasso medio annuo del 10% del PIL.

Dal 2012 il fenomeno sembra aver iniziato a calare; oggi, il tasso medio di crescita annua è sceso fino al 7% del PIL, ed il debito è pari al 282% del PIL, in vertiginosa ascesa.

Oltre al rallentamento della crescita, ci sono altri fattori che sembrano compromettere il futuro  del paese; in particolare ricordiamo la crisi demografica, la crisi ambientale, e la più o meno manifesta corruzione a tutti i livelli del partito, persino tra le alte cariche dirigenti.

Nonostante la bassa tolleranza rispetto alle critiche da parte dei vertici del partito, e nonostante un certo indottrinamento sociale, la formazione di gruppi dissidenti è in crescita, grazie anche al ruolo svolto da quel potente mezzo per la diffusione e circolazione di informazioni che  è Internet.

Xi Jinping ha cercato di lenire il malcontento cittadino innanzitutto attraverso una forte  campagna anti-corruzione, accolta con favore dalla popolazione, rispolverando l'importanza della costituzione e la sua validità assoluta, ed infine insistendo per l'attuazione di ulteriori manovre economiche.

Tra queste, il progetto più ambizioso è quello presentato per la prima volta nel 2013, il cosiddetto One Belt, One Road (OBOR). Sinteticamente, si tratta di una proposta cinese per un modello di sviluppo e crescita, il cui nucleo strategico riguarda una più fitta cooperazione ed interconnessione tra i paesi dell'Eurasia, al fine di promuovere l'integrazione del commercio e degli investimenti infrastrutturali tra quegli stessi paesi.

Sono due le componenti fondamentali della visione: la Silk Road Economic Belt, volta a facilitare il commercio sul territorio eurasiatico, e la 21st Maritime Silk Road, la via marittima, presentata assieme alla Asian Infrastructure Investment Bank, istituzione che ha lo scopo di sviluppare progetti infrastrutturali.

Per dare un'idea delle dimensioni di tale progetto, esso, potenzialmente, creerà connessioni tra paesi che rappresentano il 55% del PIL mondiale, il 70% della popolazione mondiale ed il 75% delle riserve energetiche conosciute.

L'impressione più immediata è che la Cina, promotrice del progetto, stia cercando di porsi al centro economico e commerciale del nuovo sistema internazionale, anche per contrastare il Trans- Pacific Partnership statunitense, un trattato internazionale con scopi simili, che interessa molte aree adiacenti.

Molti osservatori hanno parlato dell'iniziativa come di un tentativo di generare un modello di crescita nuovo, che, coinvolgendo paesi diversi in egual misura, garantisca a tutti un identico grado di sviluppo. Tuttavia, gli estimatori stessi, pur cogliendo il valore visionario di questo piano internazionale, hanno identificato alcuni limiti. Tra di essi, quello forse maggiore è legato alla forte preoccupazione che potrebbe generarsi tra le grandi potenze mondiali, come Russia, Stati Uniti e Giappone; il potenziale economico dell'iniziativa e la possibile costituzione di una “comunità di destino tra asiatici”, come la definì Xi Jinping, potrebbero avere un effetto destabilizzante sul sistema politico internazionale. Inoltre, la competizione economica con gli stati vicini ed i diversi gradi di sviluppo dei mercati coinvolti nell'iniziativa rappresentano ulteriori punti critici.

Ciò non toglie che il progetto, la cui completa implementazione ed attivazione è prevista per il 2049 (il centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese), rappresenti una mossa economica di grandissimo impatto

Il futuro della Cina resta quindi aperto: tra contraddizioni che si manifestano, e che aprono una fase di transizione incerta, e grandi progetti di sviluppo di lungo periodo; fondamentale, per determinare l’esito del processo, sarà la capacità di governo della classe dirigente nel guidare l’evoluzione del paese.

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Iniziative come i già citati One Belt, One Road cinese, ed il Trans-Pacific Partnership statunitense, mettono in evidenza la volontà delle grandi potenze mondiali di contrattare ed ottenere spazi di crescita in ambiti internazionali

Si tratta di una corsa allo sviluppo, rispetto alla quale l’Europa è in grande svantaggio. Il nostro continente, colpito da una forte crisi umanitaria, privo di una politica unitaria, continua ad arretrare.

Tuttavia, rimane curioso un fatto: le grandi potenze sopracitate non riescono a formulare idee se non secondo una concezione del mondo in termini di rapporti tra Stati sovrani, costruendo le loro visioni unicamente in un contesto di dialogo, incontro e scontro internazionale.

L'Europa è l’unica a poter offrire un modello alternativo, portando a compimento per prima il progetto di un governo sovranazionale fondato su una costituzione federale, in alternativa all'internazionalismo.

L'intuizione fondamentale dei più grandi studiosi federalisti del passato è stata quella di aver riconosciuto con acutezza la ragione ultima della guerra nell' assetto politico del mondo: la divisione in Stati nazionali.

Il conflitto non è qualcosa di imprescindibile, o radicato nella natura umana, bensì è la diretta conseguenza del confronto di potere tra innumerevoli fonti di leggi, cioè innumerevoli poteri sovrani che si trovano a convivere e crescere in un pianeta che è sempre più piccolo.

In questo senso, quello europeo è un dovere culturale: è fondamentale agire politicamente per la creazione dell'Europa federale, e riconoscere in essa solamente una prima tappa politica nel cammino verso l'unificazione globale.

Come direbbe Emery Reves, un trattato internazionale, di qualsiasi portata ed ambizione, risulterà sempre fallace: l'unico modo per garantire prosperità e sicurezza alla società globale è disporre di un'unica legge globale, promulgata da istituzioni uniche globali, espressioni di un'unica sovranità: la federazione mondiale.

Non esiste altro modo per prevenire la guerra. Non esiste altro modo per ottenere la pace.

 

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