L’attuale conflitto libico presenta oggi uno scenario molto frastagliato, connotato dalla presenza di distinte fazioni rivali, ognuna di esse in lotta per il dominio di un paese che da sempre è stato preda di conflitti interni e non solo, principalmente a causa del suo posizionamento strategico e dei numerosi giacimenti di petrolio e gas naturale, le cui riserve si stima che ammontino a circa 44 miliardi di barili, che condizioneranno pesantemente le sorti del paese.

Per capire appieno ciò che sta accadendo oggi, occorre fare una considerazione riguardo gli ultimi decenni di storia del paese libico, a partire dal 1949,  anno in cui l’ONU ne dichiara l’indipendenza. Da quel momento la politica libica seguirà due orientamenti diametralmente opposti. Il primo periodo, sotto il potere del re Muhammad Idris al-Sanusi e il protettorato degli Anglo-Americani che mantenevano sul territorio anche importanti basi militari, si assiste ad una politica moderata e filo-occidentale. Questo orientamento di apertura all’occidente, unito alla precarietà delle condizioni economiche e di progresso sociale in cui versava la popolazione libica, favorì l’opposizione di una parte dell'esercito e dei partiti nazionalisti arabi nei confronti del re, clima in cui maturò il golpe del 1969 che ne causò la deposizione. A partire da questo momento si assiste ad un cambio politico radicale. Il neo eletto capo del governo della nuova Repubblica Mu’ammar Gheddafi, avvia una serie di manovre volte a disegnare una forte chiusura verso i paesi occidentali, in particolar modo delle due potenze principali, USA e URSS. Fu una politica di tipo panarabo, volta a creare una unione con altri Stati islamici della regione. Questo tipo di politica culminò negli anni Ottanta con il coinvolgimento del regime in alcune azioni terroristiche. Ebbe inizio così il progressivo duro isolamento internazionale della Libia, ulteriormente inaspritosi in seguito all'attentato aereo di Lockerbie del 1988 dopo il quale l'ONU decretò un embargo contro la Libia, che ebbe fine solo nel 1999. Questa situazione si mantenne fino agli anni Novanta quando, anche a causa dell’inasprimento delle sanzioni economiche che stavano di fatto soffocando il paese, il raiss avviò una serie di iniziative per far uscire la Libia dall’isolamento, prendendo anche le distanze dalle posizioni più radicali e affini al terrorismo di matrice islamica e sfruttando gli interessi dei paesi europei riguardo ai temi del rifornimento petrolifero e dell’immigrazione. Nel 2011 un'altra serie di eventi destabilizzerà ancora una volta il paese, costretto sotto il pugno di ferro del raiss. Scoppia la “primavera araba”. Oltre quarant'anni di duro regime totalitario e di repressione del dissenso, una massiccia presenza di immigrati sub-sahariani e una crescente disoccupazione uniti ad una frammentazione tribale del paese e ad una scarsa omogeneità, portano ad una rivolta armata contro il raiss, che dilaga ben presto nel paese trasformandosi in una vera e propria guerra civile. Questa vedrà come protagonisti da un lato le forze ribelli strette intorno al Consiglio nazionale di transizione  affiancato dalla NATO, e dall’altro le forze fedeli al raiss. Lo scontro si conclude definitivamente nell’ottobre del 2011, a seguito della cattura e uccisione di Gheddafi a Sirte. Di fatto questo aprirà un’altra fase molto incerta per la Libia, tuttora impegnata in una difficile transizione dalla dittatura a una fragile democrazia. Basti pensare che dopo il 2011, di elezioni parlamentari ce ne sono già state due, la prima nel 2012 e la seconda nel 2014, che non hanno portato a nessuna unità nel paese. Anzi, è proprio con queste ultime elezioni che si delineano le fazioni coinvolte oggi nel conflitto. Una guerra che vede contrapposte molteplici forze, raggruppate in due grandi schieramenti. Le rivalità che hanno portato alla polarizzazione del conflitto in due campi sono numerose, di carattere sia politico (tra islamisti e anti-islamisti, tra ex-gheddafiani e anti-gheddafiani), sia territoriale (tra Misurata e Zintan, tra Cirenaica e Tripolitania), sia etnico (tra Imazighen e arabi, tra Tuareg e Tebu). Le due coalizioni si contendono inoltre le risorse economiche del paese, sia quelle petrolifere sia quelle delle riserve della Banca centrale libica. Una di queste è la coalizione di Operazione Dignità, il governo internazionalmente riconosciuto eletto nel 2014 e guidato da Abdullah al-Thani, riunito per motivi di sicurezza tra Beida e Tobruk, nell'est del paese, dal settembre del 2014. Tra i suoi alleati figurano anche l'Egitto e gli Emirati Arabi Uniti che gli forniscono aiuti militari e sono anche intervenuti direttamente nella guerra con attacchi aerei contro Alba Libica e le forze affiliate all'ISIS. L’altro schieramento è rappresentato dal governo “parallelo” di Alba Libica, che si legittima come l’unica forza erede della rivoluzione del 2011, oppositori degli uomini dell’ex regime di Gheddafi facenti parte dell’esercito di Haftar, uno degli ex-fedeli del raiss ora generale dell’esercito della Libia fedele al governo “ufficiale” e impegnato a combattere le milizie islamiche. Essa estende il proprio controllo sulla parte occidentale e più popolosa della Libia, che include la capitale Tripoli e la città di Misurata, oltre al distretto di Sirte, dove le milizie di Misurata hanno progressivamente perso terreno di fronte all'avanzata dei militanti affiliati allo Stato Islamico. A sostegno del governo parallelo troviamo Qatar e Turchia, che appoggiano la Fratellanza Musulmana in Medio Oriente e Nordafrica. A questi due schieramenti si aggiungono gruppi jihadisti, ostili a entrambe le coalizioni, comprendenti veterani delle guerre in Afghanistan, Siria, Iraq e alcuni che già facevano parte di organizzazioni jihadiste libiche che parteciparono alla rivolta contro Gheddafi nel 2011. I gruppi più noti sono Ansar al-Sharia, con una forte presenza a Bengasi e composta da ex-ribelli, che si stima abbia almeno 10.000 membri e simpatizzanti e un migliaio di combattenti; e i gruppi affiliati allo Stato Islamico che hanno approfittato del caos libico per instaurare una propria presenza territoriale nella seconda metà del 2014 (in particolare a Derna), proclamando la propria fedeltà al califfato di al-Baghdadi. Hanno inoltre instaurato basi operative nella regione di confine della Libia sud-occidentale, da cui trafficano armi e militanti nei paesi circostanti del Maghreb e del Sahel. Ciò che attrae l’ISIS è la posizione strategica nel Nordafrica e la possibilità di trarre profitti dallo sfruttamento del petrolio e dei traffici di armi e migranti. La sua espansione in Libia viene tuttavia giudicata più difficile che in Siria e Iraq, a causa dell'estrema frammentazione dei centri di potere in Libia e della mancanza di una popolazione a larga maggioranza sunnita. Uno degli ultimi rapporti dell'ONU, pubblicato verso la fine del 2015, ha stimato il numero dei combattenti dell'ISIS in 2.000-3.000 unità. Le continue offensive dell'ISIS hanno spinto le potenze occidentali a prendere in considerazione la possibilità di intervenire direttamente nel conflitto con mezzi militari e manovre politiche per tentare di dare un certo grado di stabilità al paese e un governo unico su cui fare affidamento. A cavallo tra il 2015 e il 2016, si sono tenuti dei colloqui di pace, svolti sotto l'egida dell'ONU, tra i due parlamenti rivali per trovare un accordo comune. Purtroppo questi colloqui non hanno sortito gli effetti desiderati, anche a causa dell’opposizione dei due presidenti. Attualmente l’unico governo riconosciuto è quello di unità nazionale e l’ONU ha invitato formalmente gli Stati membri a rispondere a eventuali richieste di assistenza del nuovo governo per stabilizzare la Libia.

Gli effetti che questo clima conflittuale ha provocato sono ovviamente considerevoli. Secondo ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), i morti sono stati 2.650 nel 2014 e 2.705 nel 2015 e il numero di sfollati, secondo l'UNHCR,  è passato da 80.000 nel maggio 2014 a 435.000 nel maggio 2015. Una nuova ondata di rifugiati di nazionalità libica è inoltre arrivata in Tunisia, portando il numero di libici espatriati in Tunisia dall’inizio della guerra civile nel 2011 a 1,8 milioni, circa un terzo della popolazione libica. L'instabilità e la guerra, abbinate a un contemporaneo aumento del numero di rifugiati nella regione (prevalentemente siriani), hanno considerevolmente aumentato nel 2014 il numero di migranti verso le coste meridionali dell’Europa, con un'impennata nel numero di sbarchi, proseguita nel 2015 nella più ampia crisi europea dei rifugiati: solo in Italia gli sbarchi sono stati 170.100 nel 2014, e 153.842 nel 2015. A questi dati si aggiungono anche i migranti prettamente economici. La produzione di petrolio, pilastro dell'economia libica, è crollata e nel gennaio 2016 la Compagnia petrolifera nazionale (NOC) ha stimato in 68 miliardi di dollari la perdita di ricavi dal petrolio dal 2013, perdite aggravate dal contemporaneo crollo mondiale dei prezzi del barile.

L’anarchia in Libia, che alimenta l’instabilità e l’illegalità nella regione, è uno dei simboli più evidenti del fallimento della politica estera degli Stati nazionali europei (in questo caso soprattutto Francia e Gran Bretagna), che hanno voluto accelerare la disgregazione del paese senza saper sostenere nessun progetto di pacificazione e stabilizzazione. Con l’arrivo alla Casa Bianca di Trump, gli europei faranno bene a riflettere a fondo sui mali che la loro divisione e irresponsabilità provocano nelle aree circostanti.

 

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