La globalizzazione suscita sentimenti contrapposti, inducendo pensieri contrastanti. Timore e positività, diniego ed interesse; queste dicotomie polarizzano anche gli approcci politici delle grandi potenze mondiali.

Un attento osservatore, analizzando la scena politica odierna, sarà in grado di individuare due categorie di attori: da un lato, coloro che vedono nella globalizzazione del commercio, dell'economia e della cultura uno strumento per creare benessere, ricchezza e sviluppo in ogni area del mondo; dall'altro, coloro che accusano insofferenti i sostenitori dellemagnifiche sorti e progressive, sostenendo che il processo in questione comporti gravissime conseguenze, quali l'omogeneizzazione culturale e la crisi della supremazia occidentale. La linea di demarcazione, di spinelliana memoria, divide progressisti e reazionari.

Ovviamente, i gruppi che abbiamo individuato hanno valenza puramente teorica e discorsiva; concretamente, la separazione non è così netta, e i confini sono labili e mutevoli.

In questi mesi stanno emergendo i leader dei rispettivi schieramenti: la Cina di Xi Jinping, paladina di piani di sviluppo e investimento continentali (OBOR), per la globalizzazione; gli USA di Donald Trump, tendenti al protezionismo e alla chiusura, contro la globalizzazione.

L'Europa è ferma dinanzi ad un bivio: da un lato, l'abbandono del progetto d'integrazione, la regressione al provincialismo nazionale, l'innalzamento di barriere e l'egoismo; dall'altro, l'avanzamento del processo di integrazione, il protagonismo federale, la costruzione di ponti internazionali sempre più solidi e la solidarietà. La via scelta determinerà l'adesione a uno dei due gruppi teorici che abbiamo individuato.

A questo proposito, si rivela molto utile per valutare criticamente la posizione delle tre potenze continentali di fronte alla più evidente delle sfide della globalizzazione, quella del cambiamento climatico, uno studio che il Bruegel Institute ha recentemente pubblicato, dal titolo Climate policy in China,the European Union and the United States: Main drivers and prospects for the future”. I risultati che emergono da questa ricerca sono di rilevanza assoluta, poiché ci permettono di formulare un giudizio più generale riguardante l'approccio politico delle tre potenze nei confronti della globalizzazione stessa.

Innanzitutto, perché Cina, UE e USA? Perché questi paesi, assieme, sono responsabili del 55% delle emissioni globali di gas serra, sono grandi importatori di beni che incorporano emissioni nei loro processi produttivi e sono produttori di circa la metà del PIL mondiale; in altre parole, le loro azioni esercitano un’influenza indiretta sulle tendenze politiche globali.

A circa un anno dallo storico Accordo di Parigi è possibile giudicare se e quanto i tre Stati abbiano operato al fine di avvicinarsi agli obiettivi imposti dai loro stessi NDC (contributi definiti a livello nazionale), o, viceversa, se abbiano imboccato la via del disimpegno irresponsabile.

 

Cina

1) Situazione attuale e obiettivi

Il tredicesimo piano quinquennale (2016/2020) per lo sviluppo economico e sociale affronta seriamente la questione climatica, indicando i passi che la Cina, primo paese al mondo per consumo di carbone, intende seguire nel breve termine:

  • ridurre del 15% l’intensità energetica (l’energia consumata per unità di PIL) e del 18% l’intensità di carbonio (le emissioni di gas serra per unità di PIL) rispetto ai livelli del 2015;
  • limitare il consumo energetico totale all’equivalente di cinque miliardi di tonnellate di carbone entro il 2020.

Gli NDC dell'Accordo di Parigi, invece, pongono questi obiettivi a lungo termine:

  • Ridurre l'intensità di carbonio per unità di PIL del 60/65% rispetto al 2005 entro il 2030;
  • Ricavare il 20% del totale del consumo di energia primaria da sorgenti che non siano combustibili fossili entro il 2030.

2) Fattori che intervengono nell'implementazione di politiche climatiche

Larga parte dell'economia cinese è sotto il controllo statale.

Il settore energetico (in particolare la produzione di combustibili fossili) è in mano alle SOE, imprese a conduzione statale; la crescita cinese, in passato, venne stimolata attraverso lo sfruttamento dell'industria pesante e del processo di urbanizzazione. Stupisce, quindi, l'inversione di rotta repentina di uno Stato che oggi mostra una certa sensibilità per il tema dello sviluppo sostenibile e per il sostegno dell'industria delle rinnovabili.

La sovranità è centralizzata nelle mani del Partito Comunista e nei suoi organi. In questo momento, l'ideologia politica esprime interessi statali che convergono con gli obiettivi climatici; per questa ragione è legittimo attendersi uno sviluppo reale e progressivo in tal senso, nonostante esso debba cozzare con la resistenza opposta dalle già citate SOE, che difendono la loro posizione e i loro privilegi.

 

UE

1) Situazione attuale e obiettivi

L'Unione europea è leader nel campo delle politiche climatiche.

Dotata del cosiddetto EU ETS (sistema europeo di scambio delle quote di emissione) il primo e più esteso mercato di scambio della CO2, dimostra di essere all'avanguardia.

La Commissione di Juncker ha espresso chiaramente il suo intento di istituire un'Unione energetica, cioè un mercato energetico interno che possa supplire alla dipendenza energetica da altri continenti.

Ciò implica la costruzione di infrastrutture energetiche, la revisione delle attuali direttive europee nonché la progressiva decarbonizzazione industriale del continente.

Nel 2014, con il Quadro per le politiche del clima e dell'energia 2030, la Commissione si è posta obiettivi politici ambiziosi; di seguito i più importanti:

  • ridurre l'emissione annuale di gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990 (NDC degli Accordi di Parigi);
  • generare almeno il 27% di energia da fonti rinnovabili

2) Fattori che intervengono nell'implementazione di politiche climatiche

Negli ultimi anni la dipendenza dell'UE dall'importazione energetica è andata aumentando.

In questo senso, gli Stati membri trovano di comune interesse adottare politiche energetiche che permettano di superare questo rapporto di dipendenza.

Un'idea potrebbe essere quella di sostituire l'uso di combustibili fossili con fonti di energia rinnovabili, convertendo gran parte della produzione energetica; in questo senso, gli interessi di alcuni Stati membri, come la Polonia, creano resistenze interne.

Rispetto alla Cina, il potere decisionale in UE è frammentato; sono molti gli attori che influenzano ed intervengono (privati, imprese, ONG, corporazioni, stati nazionali, Consiglio, Parlamento e Commissione europea) nel processo di implementazione di nuove politiche. Per essere all'altezza delle sue ambizioni, le istituzioni europee dovranno necessariamente ottenere il potere politico per impegnare gli Stati membri in piani di sviluppo comuni.

 

USA

1) Situazione attuale e obiettivi

Le prime regole dedicate a regolare l'emissione di gas serra negli Stati Uniti risalgono al Clean Air Act del 1963. Dal 2009 è l'EPA (agenzia per la protezione ambientale) a controllare le emissioni di gas serra, ponendo limiti alle stesse. Da allora, molti progressi sono stati fatti.

Barack Obama, negli ultimi anni della sua presidenza, ha dedicato tempo ed energie al tema, proponendo infine un piano per ridurre drasticamente le emissioni e dedicare fondi alla ricerca (Climate Action Plan).

Successivamente, con il Clean Power Plan (proposto nel 2015, in attesa di essere legalmente adottato) l'EPA ha fornito un set di regole che gli Stati avrebbero dovuto rispettare al fine di raggiungere gli obiettivi seguenti:

  • Ridurre del 32% le emissioni di diossido di carbonio nel settore energetico rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030
  • ridurre le emissioni totali di gas serra del 26-28% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025 (NDC degli Accordi di Parigi)

La recente elezione di Trump alla presidenza degli USA ha stravolto la situazione.

Mettendo in discussione le fondamenta scientifiche del cambiamento climatico, e sostenendo l'uso di combustibili fossili, nei primi giorni della sua presidenza ha dichiarato le seguenti intenzioni:

  • respingere il piano di Obama;
  • proporre come presidente dell'EPA un acerrimo nemico della stessa, paladino dell'energia fossile;
  • abbandonare gli Accordi di Parigi.

Nella visione politica del nuovo Presidente, le regolamentazioni federali per le industrie in tema di emissioni sono freni che danneggiano il business; la deregulation, invece, fornirebbe ampi margini di manovra, guadagno e sviluppo.

E' ovviamente improbabile che Trump riesca a scardinare i regolamenti esistenti; certamente cercherà di ostacolare ulteriori progressi, minando l'autorità dell'EPA e circondandosi di collaboratori in linea con il suo pensiero.

2) Fattori che intervengono nell'implementazione di politiche climatiche

Sebbene le agenzie federali godano di un forte potere esecutivo, le politiche ambientali dipendono molto dall'impegno e dal supporto del Presidente.

La polarizzazione delle opinioni riguardo la questione climatica esercita i suoi effetti con particolare efficacia negli Stati Uniti, e i due partiti principali sono tradizionalmente portatori di posizioni ideologiche contrapposte sul tema.

Per questa ragione, è velleitario sperare in grandi progressi a livello federale; un ruolo fondamentale è giocato dai singoli Stati, che possono implementare misure di riduzione delle emissioni in modo autonomo ed indipendente.

 

Conclusione

I casi esaminati mettono in luce aspetti rilevanti della contemporaneità.

In primo luogo, è evidente che la questione della globalizzazione divide le opinioni generando, talvolta, risvolti deleteri; il disimpegno statunitense, frutto di un atteggiamento irresponsabile, mette in pericolo l'equilibrio mondiale e la leadership stessa degli USA nel guidare lo sviluppo internazionale.

In secondo luogo, emerge spontanea una riflessione sull'efficacia di differenti modelli istituzionali di fronte alle sfide globali contemporanee: la Cina, famigerata portatrice di un modello politico tutt'altro che democratico, sembra disporre di un assetto istituzionale e della forza per implementare politiche continentali.

Dal canto loro, le nazioni occidentali si rivelano più impacciate; esse dovranno esporsi a un severo processo di autocritica, misurando la loro debolezza e valutando il bisogno di cambiamenti forti.

La democrazia, nel mondo delle sfide globali, ha bisogno dell'appoggio di istituzioni continentali per resistere all'impeto dei cambiamenti in atto.

 

 

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