Oltre ai rischi per la sicurezza mondiale derivanti dalla proliferazione nucleare, incombe la minaccia di una ripresa ad un livello tecnologico più avanzato della corsa agli armamenti. E' in questa ottica che possono essere inquadrate alcune decisioni a prima vista contraddittorie del governo americano.
Gli USA hanno recentemente annunciato di voler togliere l'embargo che durava dal 1990 alla vendita di armi al Pakistan, ed in particolare di aerei di combattimento considerati ancora tecnologicamente validi. Se considerata in sé questa decisione sembra foriera di una corsa al riarmo su scala regionale alimentata dalla competizione tra India e Pakistan. Ma se essa viene messa in relazione alla più ampia strategia che gli USA stanno perseguendo in Asia, si vede che la posta in gioco è un'altra.
A questo proposito sono significative le reazioni alla decisione americana da parte del governo indiano, improntate più ad un disappunto di circostanza che ad una protesta cui potrebbero seguire delle azioni concrete. Il fatto è che gli USA hanno accompagnato il loro annuncio di fornitura di F-16 al Pakistan con l'offerta all'India di co-produrre una versione avanzata dello stesso modello di aereo, mettendosi in concorrenza con le offerte di fornitura agli indiani di aerei MIG-29 e Mirage-2000 di russi e francesi, e si sono altresì dichiarati disponibili a porre fine al blocco trentennale della fornitura di tecnologie nucleari al governo di Nuova Delhi.
Come ha dichiarato al Washington Post del 26 marzo il Segretario di Stato americano Condoleeza Rice, se si pensa "in termini di equilibri regionali", è interesse degli USA promuovere una politica che "rompa la logica secondo cui, qualunque cosa sia buona per il Pakistan debba essere cattiva per l'India e viceversa".
Poiché, se si pensa in termini di equilibri regionali, è impossibile non tenere conto del ruolo della Cina, è evidente che la politica americana tesa a "consolidare ed estendere le relazioni sia con l'India che con il Pakistan", per citare ancora Condoleeza Rice, mira ormai a contenere la crescita dell'influenza cinese (e quella russa in Asia centrale) e ad impegnare il governo di Pechino in una competizione al riarmo, sul modello di quanto è successo in Europa con l'ex-URSS. Questa strategia sembra strettamente collegata al dibattito in corso negli USA sulla proposta avanzata dal Pentagono di ristrutturare il sistema di difesa. Una proposta che, per i costi e le difficoltà di realizzazione, ha già suscitato perplessità anche tra quei rappresentanti al Congresso più disponibili ad approvare aumenti di spesa per la difesa.
Nonostante le difficoltà l'Amministrazione Bush sembra seriamente intenzionata ad innalzare il livello di competizione tecnologica militare in campo internazionale, sia per mantenere il vantaggio che già ha in questo settore, sia per sostenere le proprie industrie (la Boeing sta per ricevere finanziamenti per 21 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni), sia infine per promuovere delle ricadute anche nell'industria civile. Non a caso il piano proposto, il Future Combat System, è stato presentato come una riedizione, in termini di impegno finanziario e di innovazione, della corsa spaziale degli anni sessanta del secolo scorso. Esso prevede la costruzione di decine di nuovi sistemi d'arma, integrati in una rete telematica e con sistemi robotizzati, per una spesa stimata di oltre 1300 miliardi di dollari in dieci anni. Il cuore di questa ristrutturazione dovrebbe diventare un nuovo sistema di comunicazione (il Joint Tactical Radio Systems), per il quale è prevista una spesa di sviluppo di 25 miliardi di dollari, che dovrebbe consentire la condivisione in tempo reale di tutte le informazioni tattiche disponibili da parte di ogni soldato impiegato in operazioni militari. Le commissioni del Congresso USA incaricate di valutare il progetto hanno espresso la loro preoccupazione per i costi che un simile piano implica, nel momento in cui tra l'altro sono ancora in corso costose operazioni militari in Afghanistan ed Iraq. Non è un caso dunque che queste preoccupazioni abbiano già indotto il Pentagono a proporre tagli di spesa in altri settori considerati ormai maturi, come per gli aerei da trasporto militare, per alcune categorie di aerei da combattimento e addirittura per rimpiazzare una portaerei. Ma tutto ciò non può certo bastare per sostenere, insieme al progetto Future Combat System, un'accresciuta presenza stabile nel Pacifico (è previsto il rafforzamento della base di Guam), la fabbricazione di velivoli senza equipaggio, il ridimensionamento delle unità di combattimento di base in termini di soldati che dovrebbero però essere individualmente super equipaggiati, lo sviluppo di un sistema di comunicazione satellitare basato sul laser, la prosecuzione della sperimentazione ed installazione del sistema di difesa missilistico nazionale. Lo stesso Segretario alla difesa americano Rumsfeld, testimoniando al Comitato congressuale per l'approvigionamento militare ha dovuto ammettere la difficoltà di portare a termine una simile impresa mentre gli USA sono impegnati su più fronti quando ha dichiarato: "Abraham Lincoln ha paragonato il compito di riorganizzare l'esercito dell'Unione durante la Guerra civile al tentativo di svuotare il Potomac con un cucchiaino. Spero e confido che quello che il piano che stiamo proponendo non sia così arduo da realizzare". Il Segretario Rumsfeld è consapevole del fatto che una simile ristrutturazione della difesa americana è subordinata anche alla capacità che avranno gli USA di reperire risorse finanziarie sufficienti ­ anche e soprattutto all'estero ­ senza sottrarne alle politiche federali interne.
Sia che questi progetti vengano pienamente realizzati oppure no, sia che la strategia degli USA riesca a raggiungere completamente i propri scopi di stabilizzazione degli equilibri in Asia oppure no, la corsa al riarmo e le alleanze a livello mondiale sembrano destinate ad entrare in una nuova fase. Una fase in cui appare già con tutta evidenza la responsabilità degli europei nell'aver contribuito, con la loro assenza, a far degenerare la politica internazionale degli USA e a lasciare la Cina e l'India senza interlocutori occidentali credibili alternativi rispetto agli USA sul terreno finanziario, commerciale e militare.
Le proposte di cooperazione rafforzata nel campo della difesa contenute nel Trattato costituzionale europeo e i ripetuti proclami di rilancio della cooperazione in materia industriale, lungi dal rappresentare un elemento di novità ed evolutivo nei rapporti internazionali, sono solo una triste prova dell'attuale impotenza ed assenza di volontà dell'Europa. Di fronte a quanto sta accadendo, l'annuncio che i ministri della difesa dei ventiquattro (la Danimarca si è chiamata fuori), potrebbero decidere una cooperazione volontaria entro la fine del 2005 per produrre nei prossimi dieci anni diecimila mezzi corazzati tradizionali, è patetico.
Gli europei peseranno sempre meno, e alla fine non conteranno nulla, se non riusciranno a porre le basi in brevissimo tempo per la creazione di uno Stato federale europeo.

 

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