L’intervento dell’On. Massimo D’Alema su "Quale politica estera per l’Italia?" nel corso del convegno organizzato a Roma dalla Fondazione Italianieuropei il 4 Maggio scorso come parte del "Contributo per un programma riformista" ha il merito di aver sollevato il velo di retorica europeista che da un po’ di tempo in Italia nasconde le questioni cruciali dalle quali dipende il futuro dell’Europa. L’On. D’Alema ha infatti sottolineato che "Non è più sufficiente dire Europa. Oggi, in una nuova stagione internazionale, carica di incertezze, non basta riferirsi all'Europa. Siamo di fronte a una crisi europea, che nasce anche da un successo, quello dell'allargamento... (e) occorrono scelte coraggiose per la classe dirigente europea ed italiana.... Oggi scelte coraggiose significa rispondere sul rilancio del processo di integrazione: alla crisi europea bisogna rispondere con più Europa.... Per questo bisogna guardare oltre il Trattato costituzionale, oltre un compromesso che abbiamo giudicato accettabile, ma limitato... Si è aperto in Europa un dibattito su una nuova iniziativa dei paesi fondatori. Un'iniziativa che non si contrapponga al quadro istituzionale dell'Unione. Il tema che in passato trovò tante resistenze, di una integrazione a più dimensioni e più velocità torna ad imporsi con evidenza. E' nell'ambito stesso del Trattato che devono essere trovate le risposte (cooperazioni rafforzate). Ma è evidente che non si può parlare di un rinnovato ruolo dell'Europa come attore globale se non vi è un nucleo di paesi che decide di mettere insieme le sue risorse in termini di politica internazionale e di difesa.... Un nuovo governo di centro sinistra dovrebbe impegnarsi seriamente e rendersi partecipe del consolidamento dell'esistente, ma anche proiettarsi su di una iniziativa che non può non avere come promotori i paesi fondatori".
Questa dichiarazione rappresenta un passo avanti significativo rispetto a quanto, solo pochi giorni fa, lo stesso on. D’Alema aveva dichiarato in occasione del suo intervento nella campagna referendaria francese, nella regione di un acceso sostenitore souverainist del No come Chevènement, limitandosi a difendere la necessità della ratifica del Trattato. Ma proprio questa esperienza francese, come egli stesso ha ricordato nel corso del suo intervento a Roma, ha contribuito a farlo riflettere sulle difficoltà che incontrano ormai gli avanzamenti del progetto europeo. Difficoltà che sono collegate tra l’altro ad una diversa percezione del rapporto subalterno dell’Europa rispetto agli USA. Un rapporto che per la stragrande maggioranza dei governi e delle stesse opinioni pubbliche dei paesi membri dell’Unione europea è senza alternative e che invece alcuni (in Francia e Germania soprattutto) vorrebbero riequilibrare, ma con strumenti nazionali e non europei. La motivazione di fondo dell’argomento di D’Alema a favore dell’iniziativa dei paesi fondatori parte proprio dal presupposto di voler cercare una via d’uscita a questa impasse della politica europea ed italiana. Sulla questione della necessità del riequilibrio del rapporto USA-Europa D’Alema cita nel corso del suo intervento un suo incontro a Parigi con il teorico americano del soft-power, Joseph Nye, il quale gli avrebbe confessato la sua sorpresa per il successo che la sua teoria, che egli ha elaborato e proposto per mitigare la politica internazionale USA, riscuote in Europa. Gli europei, secondo Nye, non dovrebbero cercare di “rendere ancora più soft l’esercizio di un potere già sufficientemente e palesemente debole, ma nel cercare di creare un po’ di hard-power capace di addolcire quello americano”. Da qui la necessità, secondo l’On. D’Alema, di avviare una seria riflessione in seno al centro-sinistra sulle effettive possibilità di costruire una difesa europea e sul gruppo di paesi che dovrebbe prendere l’iniziativa.
Nel corso del convegno non sono mancate voci critiche rispetto a questa visione della politica internazionale, sia da parte di chi ha cercato di difendere la NATO come unico quadro credibile per la politica di difesa europea, sia da parte di chi si è soffermato sulla necessità di mantenere la politica estera dell’Italia nell’ambito di una più stretta collaborazione con le medie potenze europee e quindi nella prospettiva di dar vita ad un direttorio sul tema della difesa di cui dovrebbe necessariamente far parte la Gran Bretagna.
Resta il fatto che di fronte alle contraddizioni crescenti in cui si trova il processo di unificazione politica dell’Europa, così come sono emerse nel dibattito francese sulla ratifica del Trattato costituzionale e come stanno emergendo in una Germania sempre più sottoposta alla forte tentazione di orientare in senso nazionalistico la propria politica estera e di difesa, non si può fare a meno di porsi seriamente la questione di un rilancio della costruzione europea che guardi oltre il Trattato costituzionale, la cui inconsistenza, rispetto ai nodi da sciogliere, è palese a tutti e i cui tempi di ratifica e di eventuale entrata in vigore rischiano di rimandare la possibilità di rilanciare l’Europa a quando forse sarà troppo tardi decidere di riprendere il cammino dell’unificazione su basi federali.

 

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