Nel Manifesto di Ventotene, scritto nel ’41 durante il confino, Altiero Spinelli spiega le ragioni per le quali “il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”, e ammonisce che “se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie”; in questo contesto, infatti, “le forze reazionarie” avrebbero buon gioco a “far presa sul sentimento popolare più diffuso (… e) più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l’unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l’ambito nazionale; … il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo”.

Per molti anni queste previsioni di Spinelli sono sembrate catastrofiche e fuori luogo: in fondo, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli stati nazionali in Europa hanno convissuto pacificamente, mantenendo regimi democratici e prosperando. Solo pochi hanno capito che il merito di questa situazione era da attribuirsi al processo di integrazione iniziato negli anni ‘50 e all’egemonia americana imposta dalla guerra fredda, egemonia che creava una sorta di federazione di fatto nell’Europa occidentale.

Venuta meno la seconda di queste condizioni in seguito alla rottura del quadro bipolare, la crisi degli stati europei, che in gran parte dovevano la loro legittimità proprio all’esistenza del “nemico” ai confini, ha subito una brusca accelerazione. Sono subito apparsi evidenti il drammatico aggravarsi della crisi della democrazia in quasi tutti i paesi dell’Unione e il fatto che il fantasma del nazionalismo, nelle sue forme razziste e violentemente antieuropee, tornava a minacciare l’Europa.

Il tentativo di cavalcare questa tendenza in termini moderati, come è stato fatto anche nelle elezioni presidenziali francesi da parte dei gollisti e dei socialisti, è destinato a fallire: se l’orizzonte resta quello nazionale, cioè un orizzonte in cui non esiste nessuno sbocco positivo per la soluzione di problemi ormai sopranazionali, vincono gli estremismi e la violenza, vince il nuovo fascismo. Nella situazione attuale l’impotenza degli stati europei, troppo deboli e inadeguati per offrire ai propri cittadini sicurezza e progresso, si somma all’impotenza dell’Europa che, divisa, è incapace di agire e di costituire quel nuovo quadro della vita politica nel cui ambito, invece, i problemi potrebbero essere affrontati positivamente; in queste condizioni i cittadini sono spinti a credere che l’unica possibilità di ristabilire le prerogative dello stato sia quella di ricorrere a strutture autoritarie, e chi fa balenare questa ipotesi nel medio periodo vince.

Il segnale che viene dalla Francia è drammatico. Un paese che è stato il baluardo della democrazia continentale dimostra di essere ormai attirato dalle proposte più reazionarie e antidemocratiche, mentre il fronte delle forze democratiche di governo si frantuma; questo dimostra tutta la fragilità dello stato nazionale in Europa e lascia intravedere quale può essere il futuro se non si arriva “alla definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”. E’ un segnale su cui gli europei devono riflettere a fondo: l’illusione che la pace e la democrazia siano compatibili con il mantenimento della sovranità nazionale si è rafforzata in Europa, dove ci si sta scordando della lezione che le forze antifasciste avevano imparato dalla tragedia nazista e dalla guerra e per cui avevano concepito il progetto europeo.

E’ arrivato il momento di riprendere quel progetto e di completarlo prima che sia troppo tardi. All’Europa serve un drastico mutamento di rotta rispetto agli attuali giri di parole e alle formule ambigue che nascondono la volontà di mantenere la sovranità nazionale e rispetto ai falsi obiettivi che allontanano l’unità e spingono l’Europa verso la catastrofe. Serve un grande disegno capace di suscitare le speranze dei cittadini e di mobilitare energie; un disegno concreto, credibile e radicale. Solo il gruppo dei sei paesi che ha avviato il processo europeo può farsene carico prendendo l’iniziativa di fondare il primo nucleo dello stato federale europeo, subito, per estenderlo poi a tutti gli stati che vorranno aderirvi. Solo costruendo la statualità europea possono esserci pace e progresso nel futuro degli europei: ma non dimentichiamo il monito di Einaudi che ci ricordava che il tempo per portare a compimento l’unità deve essere colto prima che sia troppo tardi.

 

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