Pubblichiamo una riflessione sui fatti di Parigi legati alla strage di Charlie Hebdo che esula dall’analisi strettamente politica e che invita a riflettere sui valori basilari della civiltà europea che questi atti di terrorismo, e la reazione che ne è seguita, mettono in qualche modo in discussione, anche se con modalità diverse. Come redazione di Alternativaeuropea ci sembra importante aprire spazi anche a confronti di questo tipo che offrono l’opportunità di indagare sugli aspetti di valore e sui principi morali che sono alla base del nostro stesso impegno politico.

 

7 gennaio 2015, ore 11.30 del mattino, Parigi: due uomini armati di kalašnikovattaccano la redazione del periodico Charlie Hebdo; 12 i morti, tra cui il direttore del giornale e due poliziotti, ai quali seguono altri 8 morti, compresi gli attentatori.

“Allah Akbar!”. E' questo il grido maledetto.

Come se uccidere possa in qualche modo rendere onore alla grandezza di Allah, YHWH, Dio, il Dio delle tre religioni abramitiche, che più che ogni altra cosa è relazione, speranza, vita, non morte, conflitto, o odio.

Uccidere nel nome di questo Dio è una giustificazione pallida, falsa, un fantasma che perseguita la memoria storica dell'umanità.

Ma non fermiamoci a questa conclusione. Non cadiamo nella trappola della passività.

Come fece Ungaretti attraverso la sua immersione poetica de “Il Porto Sepolto”, andiamo in profondità,  caliamoci nel buio, tocchiamo il fondo e troviamo la luce; tentiamo di risalire portando con noi una scintilla di quella luce, un grammo di pura verità, da condividere con il mondo, con umiltà sincera e con la consapevolezza costante che quel tesoro prezioso rimane pur sempre una briciola di assoluto, non l'assoluto stesso.

Andiamo quindi oltre alla mera cronaca, per proporre una riflessione autocritica riguardo questi tragici fatti.

Analizzando attentamente l'accaduto, ci accorgiamo che la strage non è la sola storia di questa violenza animalesca, bensì la storia di tre violenze, diverse ed intrecciate tra loro.

Oltre alla violenza folle degli attentatori, ingiustificabile e già condannata dal mondo intero, protagoniste sono state anche l'oggettiva violenza provocatoria del periodico parigino, celata dietro il velo ambiguo della satira, e la rabbia spontanea di chi ha commentato, giudicato e accusato, di chi ha preso posizione, senza fermarsi in lutto davanti alla Morte.

Questi fenomeni, che sono ovviamente differenti nella gravità, condividono in egual misura una certa propensione a condannare, ad indicare ciò che è vero e falso, giusto e sbagliato.

Se consideriamo la strage sotto questa prospettiva tridimensionale, allora ci accorgiamo che la verità più lacerante che questa esperienza traumatica ci lascia è che condanne, pregiudizi, ed etichette costituiscono e costruiscono le identità sociali anche nel democratico Occidente, a discapito di ciò che sta alla base di ogni civiltà: la comunicazione, il dialogo.

L'intrecciarsi di queste tre violenze deriva dalla mancanza di dialogo, dal prevalere dell'istintività.

L'Europa, che questa strage ha mostrato come un continente più eterogeneo di quanto non pensassimo, non può essere costruita su queste basi.

Il mondo sociale, che si esprime nelle arene politiche, ha bisogno di una base dialogica fondata sul rispetto, che include anche una certa eleganza formale.

Proprio in riferimento alla mancanza di eleganza formale, possiamo introdurre un discorso sulla violenza del periodico parigino, che vada oltre le ovvie e palesi considerazioni già innumerevoli volte fatte, e oltre la tremenda strage, che rimane un crimine assolutamente ingiustificabile.

Dopo l'attentato, il mondo intellettuale si è schierato a favore dei vignettisti, difendendo l'assoluto diritto alla satira, senza rendersi conto, peraltro, che l'idea di assoluto è tipica di ogni fanatismo.

Che forse il male non è mai totale, e che il bene non è mai assoluto, pochi lo hanno detto. “C'è sempre un coltello, in un giorno perfetto”, come canta il rapper italiano Caneda.

Tra le voci fuori dal coro, inaspettata quella del genio creativo dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki, notissimo sostenitore del pacifismo e della nonviolenza, al punto che, nel 2003, non si presentò agli Academy Awards per ritirare l'Oscar assegnato al suo lungometraggio “Spirited Away”; un gesto di forte opposizione ideologica alla guerra che gli USA erano impegnati a sostenere in Iraq.

Proprio per questa ragione è interessante prendere in considerazione le sue dichiarazioni: egli ha definito le vignette raffiguranti Maometto, Corano, e altri simboli religiosi, “un errore”; la satira, ha affermato, è legittima quando attacca la società ed il sistema politico di cui fa parte e nei quali trova il diritto di nascere, ed è illegittima e sospetta quando prende di mira culture lontane, che non può comprendere. Effettivamente, è importante chiedersi quanto noi tutti conosciamo questi mondi, fisici e geografici, ma sopratutto interiori.

E' palese che ciò che le vignette così ferocemente colpiscono non sono interi sistemi culturali o religiosi, ma la strumentalizzazione della cultura e del sacro; il problema sta nella facile fraintendibilità di queste vignette, ambigue poiché grossolane, irriverenti, volutamente squallide.

Ed è importante sottolineare che è legittimo, anzi un dovere, esprimere il dissenso verso realtà sociali brutali, che ci riguardano anche solo indirettamente. Ma questo deve avvenire evitando nel modo più assoluto il rischio della generalizzazione, o, in questo caso, l'insulto alla religione, che per moltissime persone oneste rappresenta tutt'oggi una luce interiore fondamentale .

E' quindi nostro diritto esercitare la libertà di espressione, dissentire, ma è altrettanto nostro dovere agire con discrezione ed attenzione; ad ogni diritto corrisponde un dovere, e alla libertà di espressione consegue la responsabilità di espressione, o responsabilità culturale, nel caso di Charlie Hebdo.

Per responsabilità culturale, non si deve intendere una banale propensione all' autocensura, ma piuttosto la prerogativa di produrre cultura di qualità, informazione precisa e controllata.

Le vignette in questione, se da una parte trovano la loro grande forza provocatoria proprio attraverso questo stile, dall'altra gettano fumo negli occhi delle persone, ed inevitabilmente generano discorsi fintamente culturali, producono disinformazione e pregiudizi; senza considerare il rischio di ferire profondamente la sensibilità umana di persone incapaci di comprendere chi è il mittente nascosto.

Questa riflessione vuole solo essere un invito a dare senso al diritto di espressione, e uno stimolo a responsabilizzare chi in questo mondo fa cultura o informazione, che troppe volte appare distorta, o di scarsa qualità.

La satira, come ha giustamente spiegato il disegnatore italiano Gipi durante un'intervista, ha ragione di esistere perché arriva dal buio, dal basso, e attacca chi detiene una posizione di potere.

Charlie Hebdo, però, oggi esercita (volente o nolente) un influenza sociale enorme, un vero e proprio potere mediatico, e rischia così di trasformarsi in un grido di distruzione pura, di violenza ambigua dietro la quale c'è il nulla.

E’ in grado di essere al centro di un dibattito culturale così ampio?

Oggi Charlie Hebdo, che è vittima innocente di un attacco disumano, assume un ruolo che non ha la forza di mantenere, e che probabilmente non desidera avere.

Pur nascendo forse per rivendicare l'uguaglianza, rischia di diventare uno strumento scorretto di culturalismo, che tende quindi a separare e delimitare nettamente mondi culturali, in realtà più interconnessi e uniti di quanto non pensiamo.

* * *

Come già detto, la “terza violenza”, nata come reazione pubblica spontanea alla strage stessa, riguarda il fenomeno mediatico e sociale.

Si è parlato di democrazia, di libertà, di terrorismo dilagante e di misure anti-terrorismo, di guerre di religione, di conflitti etnici, si è fatto allarmismo, si è messa in discussione Schengen, si è accusata l'Europa di essere debole.

Tante parole, esplosive, arroganti e allo stesso tempo vuote e inermi.

Nonostante la tragicità dell'avvenuto, pochi hanno avuto la decenza umana del silenzio e della riflessione.

Forse proprio le religioni, screditate e controverse anche per via degli ultimi tragici fatti, hanno ancora qualcosa da insegnare riguardo il silenzio.

Se i concetti di laicità e democrazia, valori profondi ed essenziali, vanno ad oscurare l'importanza assoluta del senso di pietà di fronte alla morte, ai morti ed ai vivi, e fanno dimenticare il dovere del silenzio reverenziale, il tempo della riflessione personale, la basilarità del rispetto collettivo, e tutti quei codici culturali che da secoli costituiscono l'essenza della civiltà europea e che oggi sono la colonna vertebrale della democrazia stessa, allora dobbiamo opporci sdegnati.

Libertà di espressione significa forse detenere il potere di attaccare, accusare e categorizzare indistintamente? Nessun uomo dovrebbe avere questo potere.

Il fenomeno mediatico che si è creato attorno a questa vicenda, le manifestazioni pubbliche, gli odiosissimi slogan, nonostante cerchino di rappresentare in modalità collettive il pubblico sdegno riguardo gli avvenimenti, hanno mostrato il viso di una reazione sociale che ha ben poco di umano, nel senso alto del termine.

La rabbia, il dolore, l'invettiva, la reazione, l'aggressività, sebbene incanalate in espressioni sociali accettate (manifestazioni e condivisioni mediatiche, appunto) in che modo possono ricordare anche vagamente ciò che è Umanità, se non sono precedute e seguite dal silenzio, dal pensiero e dalla riflessione ?

Ebbene, è giustificabile pensare che questa manifestazione di rabbia e sdegno fine a se stessa, che niente ha generato se non frustrazione, sia il lato più penoso di questa triste vicenda.

Come provocatoriamente Roberto Saviano ha commentato, “Arrivederci alla prossima strage”.

A mesi da questo terribile fatto le parole di chi ha rispettato la morte ed ha riflettuto profondamente nel silenzio, hanno un valore umano ed un'autorità superiore alle parole frettolose e disperate di molti, a quelle istintive di chi ha categorizzato persone ed ai discorsi di chi ha strumentalizzato la strage politicamente.

Ora è forse moralmente più giusto ricordare assieme, considerare ed agire; e dopo un'onesta riflessione, penso che nessuno possa essere così superficiale da affermare “Je suis Charlie”.

Io non sono Charlie, “Io sono Io, null'altro che Io”, come recita il protagonista della bellissima serie animata giapponese Evangelion.

Io sono Io, Io sono vivo, ed i morti, attentatori compresi, erano miei concittadini.

Questa esperienza, pur riguardando nella fattispecie poche persone, e solo indirettamente noi,  “gli altri”, può essere formativa.

L'Europa, necessita, nella sua costruzione in quanto stato federale, di un dialogo sociale e politico critico, attivo, ma degno, di qualità, rispettoso, che riesca a coinvolgere tutti in egual misura.

Ogni individuo ha il dovere morale di dire la propria opinione, senza censurare o auto censurarsi, ma nel rispetto assoluto di chi ha davanti, e solo dopo un'onesta e profonda riflessione.

Solo così si cresce in quanto persone, e solo così si progredisce in quanto civiltà.

E' bello poter concludere questo articolo con una breve poesia di Nazim Hikmet, poeta turco del secolo scorso, che vuole essere un invito ad ogni lettore ad esercitare pienamente il potere politico che ognuno ha, non lasciandosi sopraffare dal male del nostro secolo, che esiste, che è terribile, ma che troppo spesso nasconde tutto il bene, la speranza e l'amore il quale, come diceva J.R.R. Tolkien, “cresce forse più forte”.

 

  “Addormentarsi adesso

  svegliarsi tra cento anni, amor mio...”

   “No,

  non sono un disertore.

  Del resto, il mio secolo non mi fa paura

  il mio secolo pieno di miserie e di scandali

  il mio secolo coraggioso grande ed eroico.

  Non ho mai rimpianto d'esser venuto al mondo troppo presto

  sono del ventesimo secolo e ne sono fiero.

  Mi basta esser là dove sono, tra i nostri,

  e battermi per un mondo nuovo...”

  “tra cento anni, amor mio...”

  “No,

  Prima e malgrado tutto.

  Il mio secolo che muore e rinasce

  il mio secolo

  i cui ultimi giorni saranno belli

  la mia terribile notte lacerata dai gridi dell'alba

  il mio secolo splenderà di sole, amor mio,

  come i tuoi occhi...”

 

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